Giovanni Verga, nella Cavalleria
rusticana, per annunciare l’eleganza vistosa di Turiddu Macca, il figlio della gnà Nunzia,
dice che “come tornò da fare il soldato, ogni domenica si pavoneggiava in
piazza coll'uniforme da bersagliere e il berretto rosso, che sembrava quella
della buona ventura, quando mette su banco colla gabbia dei canarini.”
Io lo so a cosa si riferisce il Verga perché nella mia
infanzia, in paese, ho visto l’uomo col
canarino che vendeva “pianete”: i
bigliettini colorati con su scritta la ventura; lo richiedevano zitelle in attesa
di risposte amorose o braccianti che cercavano lavoro o ammalati che volevano
guarire; il canarino ammaestrato afferrava col becco i bigliettini da due
diverse cassettine a seconda della cifra pagata, le offerte maggiori
riservavano un futuro più roseo e promettente.
Quando l’uomo della pianeta srotolava il bigliettino tutti si
raccoglievano in un silenzio gravido di timori e speranze. Attorno a lui si
creava un’atmosfera festosa che Verga immagina intorno a Turiddu Macca della
gnà Nunzia quando indossava l’uniforme da bersagliere e il berretto rosso: “Le ragazze se lo rubavano cogli occhi,
mentre andavano a messa col naso dentro
la mantellina, e i monelli gli ronzavano attorno come le mosche”.
Queste scene sono ormai scomparse, ma qualche venditore di
sogni è stato avvistato ancora nei primi
Anni Settanta a ridosso del quartiere di Santa Rosalia a Palermo, come mi riferisce il mio giovane preside Vito Pecoraro. E in una
versione un po’ diversa a Caltanissetta, col pappagallo verde al posto dei
gialli canarini, come ce lo racconta poeticamente Carlo Lapaglia, le cui raccolte di poesie mi sono venute tra la mani grazie al figlio Antonio:
Passava un fintu zingaru vinnennu la “furtuna”
Ccu un virdi pappagaddru. Chissu ccu u beccu duna,
tirannilu da un mazzu, culuratu un pizzinu.
E ddocu, paru paru, cc’era lu to distinu.
E ‘n funnu a lu pizzinu un ternu cc’era scrittu
Ca s’aveva a jucari ccussì com’era dittu…
Ma chistu era impossibili nun si puteva fari
Pirchì ppi u jocu i Napuli… nun c’eranu dinari.
Né donna Patrunedda e né lu so maritu
Pottiru mai capiri comu lu “cocoritu”
Du casciuneddu pizzica e nzerta la furtuna
(ca a ranni ed a picciddi tanta spiranza duna).
La nzerta a lu braccianti ed a la vicchiredda
Comu all’omu eleganti ed a la picciuttedda.
Ma certu chissu armali devi essiri fatatu…
Com’è ca lu pizzinu veni sempri azziccatu?
Ma a nuddu ci vinìa ‘n testa d’addumannari
Pirchì dui su i purtedda d’unni si fa tirari
O da manca o da dritta o di ‘n funnu o davanti
Da dd’aceddu fatatu pizzinu mportanti.
Passava un finto zingaro vendendo la fortuna
Con un verde pappagallo. Questi con il becco dà,
estraendolo da un fascio, un biglietto colorato.
E lì, per intero, si trovava (scritto) il destino.
E in fondo al biglietto un terno c’era scritto
Che si doveva giocare così com’era detto…
Ma questo era
impossibile, non si poteva fare
Perché per la ruota di Napoli… non c’erano i denari.
Né donna Petronilla e né suo marito
Poterono mai capire come il pappagallo
Dal cassettino estraesse e indovinasse la fortuna
(che a grandi e piccini tanta speranza accendeva).
La pronostica al bracciante e alla vecchierella
Così come all’uomo distino e alla giovincella.
Certamente quell’animaletto deve essere ammagato…
Com’è che il biglietto (giusto) viene sempre azzeccato?
Ma a nessuno veniva in mente di chiedere
Perché due erano gli sportellini da dove si poteva estrarre,
O da sinistra o da destra o dal fondo o dalla superficie,
Da parte dell’uccello presago, quel bigliettino importante?
Potrebbe sembrare ingenuo e fin troppo scontato un tal modo
di voler indovinare il futuro, ma da che cosa si discosta lo srotolare
bigliettini colorati con la ventura
preconfezionata dal leopardiano venditore di “almanacchi, almanacchi
nuovi!”?
O dal richiedere positivi mutamenti dei nostri destini
affidandoci a tecnologici oroscopi o a promesse di tesori gratta e vinci? Da
cinque, da dieci, da venti euro. E forse più.
Foto e traduzione proprie
Foto e traduzione proprie
Caro Piero, un grazie affettuoso per la citazione dei versi di mio padre. Gli farà molto piacere! Antonio
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