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martedì 5 febbraio 2019

"LA CITALENA" E IL DESIDERIO DI SCIASCIA. Una fonte "luminosa" ci vuole!

"Ci vorrebbe un giornale!", disse una volta Sciascia al Convegno sul "Ruolo della stampa minore nel territorio" svoltosi a Racalmuto nel 1985, al Circolo di Cultura. 
Lo ricordo benissimo.

Chissà se pensava a un giornale come "La Citalena"?

Ma "La Citalena" - fondata da Giovanni Salvo e Luigi Scimè - non c'è più.





Ringrazio l'amico e giornalista Totò Castelli per la rara e preziosa documentazione fotografica. 
Lui, al Convegno sulla stampa minore, c'era.









venerdì 27 giugno 2014

DIVERTISSEMENT CIRCA IL RIFERIRE FATTI (ALTRUI) E IL DISCUTIBILE CRITERIO DELLA VERITÀ 




Particolare ingrandito della foto




A VOLTE PUÒ SEMBRARE VERO, MA... SE A PARLARE È UN MERLO!


"Per come la cosa è stata raccontata ad Antonio Ferrari ("Corriere della Sera" di lunedì 4 ottobre), sembra vera. O meglio: sembrava vera. Vera, almeno, per colui che la raccontava: che era l'ingegnere Francesco Naselli Flores...".

Sembrava. E sapete perché? Perché a Sciascia tocca analizzare la testimonianza dell'ingegnere secondo il quale, anche se aveva un nome e un titolo di tutto rispetto, il merlo, regalato al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, suo cognato, sarebbe stato ammaestrato a dire "Ciao Carlo, morirai".

Un tale racconto fatto in privato agli amici o al bar ha un certo valore e può suscitare consenso o ilarità, ma reso pubblicamente o ufficialmente o addirittura offrirlo a un procuratore della repubblica, come presunta prova o inerpicante indizio, è un'altra cosa: c'è poco da ridere e molto da ponderare.

Infatti, continua Sciascia nella sua analisi del merlo parlante, "l'indomani, l'ingegnere ha smentito questa così chiara e inequivocabile dichiarazione. 'Il merlo', ha precisato, 'dice chiaramente - Ciao Carlo - . Ma poi aggiunge un suono indistinto che l'ingegnere a volte interpreta come - morirai -, ma che agli altri familiari resta indistinto'."

Sciascia, insomma, ne deduce l'inverosimiglianza e addirittura l'inopportunità di questo ricorso al merlo per spiegare la genesi e le conseguenze di fatti ben più importanti e ramificati.

Così conclude: "Non si capisce, però, perché abbia parlato del merlo: e al procuratore della repubblica".

Già! Perché? Forse per condurre altrove? Ad altri le allotrie o "lofie" conclusioni.

Qui non si voleva  andare chissà dove. 

Voleva essere semplicemente un divertissement.










Le citazioni sono tratte dall'articolo di Leonardo Sciascia pubblicato sul "Corriere della Sera" dell'8 ottobre 1982, riportato nel volume A futura memoria, ora in Opere 1984-1989, a cura di Claude Ambroise,  Bompiani, Milano 1991, pagine 804 e 805 passim.

Foto:  archiviopierocarbone
Foto scattata da mio fratello Gianni,  in occasione della mostra  di Nicolò D'Alessandro  inaugurata durante il periodo della Festa del Monte del 1988. La mostra è stata sponsorizzata dal Circolo di Cultura presieduto da Gregorio Casodino.

sabato 18 gennaio 2014

PARRU CU TIA

Link del Post riepilogativo sulla serata in cui è intervenuto Ignazio Buttitta
http://archivioepensamenti.blogspot.it/2014/01/eventi-virtuosi-che-generano-eventi.html




PARRU CU TIA... CU TIA... CU TIA...


Il poeta Ignazio Buttitta


Un attuale ricordo

Quando venne chiamato sul palco, il presentatore non fece in tempo a presentarlo perché ci fu un brusio di smarrimento proprio nell'istante in cui stava per partire l'applauso, che infatti non partì.

L'atteso Ignazio Buttitta si era messo a fare dei cenni a qualcuno dietro le quinte e visto che niente succedeva incominciò ad alzare la voce intimando "a luci, a luci". Niente! Di nuovo: "A luci! a luci! astutati ddra luci, mi viene davanti e non mi fa taliari li pirsuni nta l'occhi".

Finalmente il faretto venne smorzato, qualcuno dalla platea gridò "viva Buttitta" e nella sala gremita scrosciò l'applauso.

"Parru cu tia" incominciò a recitare Buttitta, guardando dritto negli occhi il pubblico e sembrava che non recitasse ma interloquisse con ognuno.

Una poesia che Ignazio aveva recitato nelle piazze, affollate di contadini e minatori, giornatari e lavoratori e sfruttati d'ogni genere. Ma quella sera, al Cine-Teatro "Vittoria" di Racalmuto, c'era un pubblico non di soli lavoratori ma di uomini, donne, giovani d'ogni età e condizione, con l'aria festosa delle grandi occasioni.

Eppure, il monito di Buttitta, come nelle piazze, sembrava diretto ad ognuno in sala per richiamarlo alle proprie responsabilità e al proprio impegno:


Parru cu tia, to è la curpa... cu tia, mmenzu sta fudda chi fai l'indifferenti... Parru cu tia. 

Guardatilu chi facci! Parru cu tia, to è la curpa... si porti lu sidduni e un ti lamenti... to è la curpa... Sfarda sta cammisazza arripizzata, tìncila e fanni un pezzu di bannera...


A tratti alzava lo sguardo, quando con i versi trasportava l'uditorio in una società diversa e fantasticava un'utopica Sicilia, ma non perdeva mai il contatto con la realtà, puntando il dito moralizzatore, incitatore come un rivoluzionario. Premonitore o timoroso del futuro?

***

Ho voluto iniziare con Buttitta il ricordo di una serata memorabile perché simbolicamente, quell'invettiva, pur nelle mutate condizioni storiche, a distanza di quarant'anni, continua a interpellare la nostra coscienza di uomini moderni, in una Sicilia non sappiamo quanto e in quali aspetti peggiore o migliore di allora.

Un monito attuale, comunque, se non ci vogliamo fermare a guardare il dito invece di ciò che esso voleva allora e può oggi indicare.





Il presentatore della serata Egidio Terrana, di Grotte, ammira compiaciu
to l'abbraccio delPresidente del Circolo di Cultura, Luigi Alaimo, con il Direttore
dell'Associazione culturale folcloristica "A Virrineddra" Domenico Mannella,
organizzatori dell'evento assieme all'Assessorato alla Cultura di Racalmuto.




Con questo episodio, su cui mi sono intrattenuto con Domenico Mannella per meglio definirlo, quasi interrogarlo per la sua simbolicità, si vuole introdurre la rievocazione di un evento culturale e artistico che assumerà un valore fondante per la storia culturale e artistica degli ultimi quarant'anni a Racalmuto, quasi un prius storico, molto fecondo, da cui discenderanno molti altri frutti.
Alla rievocazione verrà dedicato un apposito post.


Le foto pubblicate in questo post sono state messe a disposizione da Lina Alfano.



Ignazio Buttitta scrive a Giuseppe Pedalino Di Rosa
http://archivioepensamenti.blogspot.it/2013/02/cumpari-beddu-ignazio-buttitta-scrive.html






































martedì 18 dicembre 2012

UN MUSEO ETNOGRAFICO A RACALMUTO







Nei locali del Castello Chiaramontano, l’Istituto professionale "Fermi" vi ha trascorso l’ultimo anno scolastico nel 1988 ed era in fase di trasloco quando, in occasione dei festeggiamenti del 50° dell’incoronazione della Madonna del Monte, con un nutrito gruppo di giovanissimi ed entusiasti volontari vi organizzai le seguenti quattro mostre: etnografica; delle bandiere del Cero; di "brillanti" (cristalli di sale e di zolfo); del pittore Guccione.

Sempre a cura dello stesso gruppo di lavoro, altre due mostre fotografiche vennero organizzate contemporaneamente nei locali dell’ex caserma del Monte: una con le foto storiche sulla Festa del Monte messe a disposizione dai cittadini  e  l'altra  sulla fauna e la flora di Castronovo di Sicilia, paese "gemellato" nel 1986.

Una settima mostra, di grafica, venne allestita infine all’auditorium  "Santa Chiara" e il cui catalogo venne finanziato dal circolo di Cultura presieduto da Gregorio Casodino.


 Auditorium Santa Chiara, mostra di grafica di Nicolò D'Alessandro. Da sinistra verso destra: Salvatore Tirone, Salvatore 
Belgrado, Carmelo Mulè, Leonardo Sciascia, Piero Carbone, Carmelo Rizzo, Nicolò Restivo Pantalone, Carmelo Collura. 

 Ben 6 mostre sono state organizzate per conto del Comitato le cui finanze non ne hanno risentito granché in quanto fatte in stretta economia. Ne hanno risentito però le automobili private, uscite a fine mostra con le ossa, anzi, con gli ammortizzatori rotti per avere trasportato  dalle campagne più scognite, su stradelle malmesse, aratri e panieri, selle e falci e zappe e forconi  e tummina e munneddra e sacchi di iuta e otri etc etc. etc. 



Da sinistra: don Luigi Mattina, Elia Marino, mons. Domenico De Gregorio, Francesco Marchese. Sullo sfondo, il Castello Chiaramontano prima del restauro.

Per fortuna, molti oggetti e attrezzi di lavoro venivano portati dagli stessi proprietari: alcuni raccomandavo di riaverli indietro, altri pensavano di farne una donazione se ci fosse stato un museo, come era intenzione ad esempio dello chaffeur (detto in siciliano gnuri) zi Cicciu Di Marco: avrebbe donato l’imbracatura dei cavalli che tiravano la carrozza prima dell’avvento dei taxi. Molti racalmutesi mettevano piede nel castello per la prima volta e firmavano convinti l'appello "Perché il Castello viva". 

Al termine della mostra venne restituito tutto: sia il castello sia l’ex macello dovevano ancora essere restaurati e non c’era dove ricoverare i reperti. Il Museo era di là da venire.
Se ne parlava in giro, ma l’idea del museo rimaneva un etnodesiderio, come testimonia il seguente articolo che due anni prima con ingenuo ottimismo e tanta voglia di fare avevo scritto e inviato a “Malgrado tutto”, pubblicato sul numero di aprile del 1986, nell’angolo dei lettori.


Il pittore Attilio Guccione al Castello Chiaramontano



Un Museo Etnografico a Racalmuto

Palazzolo Acreide ce l'ha, ce l'ha Gibellìna, quello di Godrano è in versio­ne modernizzata; un po' inconsueto, quello della Facoltà di Lettere di Pa­lermo. E perché non anche a Racal­muto?
Sto parlando dell'eventualità di crea­re nel nostro paese un museo etnogra­fico. Una proposta pertinente, credo, per il nostro centro.
Di Racalmuto si dice essere un « cen­tro agricolo e minerario » (cosi l'Enci­clopedia Rizzoli-Larousse, la Treccani, le guide turistiche, etc.) dove predo­mina la cerealicoltura, con notevole produzione di zolfo, salgemma e sali potassici, e ancora olio, vino, latticini.

Che c'entra, dunque, un museo et­nografico a Racalmuto con la sua eco­nomia mineraria, agricola e pastorale? Rispondo: per « ricordare » la cultura legata a quelle forme economiche men­tre stanno scomparendo non solo quel­le forme economiche ma anche la cul­tura ad esse legata.
« Cultura o civiltà — scrive il Tay­lor — è quel complesso insieme che comprende conoscenze, credenze, arti, morale, legge, costume, e ogni altra capacità ed abitudine acquisita dall'uomo come membro della società."





E quindi cultura sono anche tutti gli arnesi di lavoro: aratri a chiodo, setacci, cofficuffuna,  citaleni, picconi, cafisa, vasceddi: gli stru­menti, cioè, della cultura cosiddetta materiale. Ma anche le serenate, le canzoni d'amore e di protesta, le stor­nellate, le orazioni, le feste, la cucina, il linguaggio, le più svariate tradizioni; in breve: tutto quel patrimonio che col tempo decade e si dimentica per sem­pre.
Oggetti e tradizioni a cui tutti ci sen­tiamo legati, in proporzione diretta al­l'età; eppure, quanti di questi oggetti ammuffiscono nelle cantine o vanno a finire nelle discariche? E quanti altri vengono svenduti per una manciata di ceci? Del patrimonio orale non occor­re dire: si rischia la tabula rasa.




Sull'importanza della memoria, del resto, non mi soffermo solo per esaltare-sospirare il passato, altrimenti sa­rei un conservatore, ma non posso non citare il pensiero di un poeta inglese (gente astorica per eccellenza, si sa, i poeti): «A questo serve la memoria:
A liberarci... » (T.E. Eliott).
A liberarci dallo stupido linguaggio dei mass media, dalla loro petulante pubblicità: oggi per democrazia si in­tende livellamento di gusto nel con­sumo.



Un museo etnografico, invece, è crea­tività, se lo si intende come l'intende A.M. Cirese, se lo si fa come lo ha fatto Antonino Uccello a Palazzolo Acreide o Francesco Carbone a Godrano. E se noi sul serio decidessimo di farlo, non ci negherebbero il loro contributo, la loro consulenza, né il Direttore del museo di Godrano né il Direttore del centro di etnostoria di Palermo, prof. Aurelio Rigoli.
A Racalmuto, il museo potrebbe fun­zionare anche, perche no?, da centro di coordinamento delle varie attività culturali che rientrano nella sua natu­ra, nel suo ambito di interessi. Mette­rebbe in moto tante energie, coinvol­gerebbe tanti giovani.
Due gruppi folkloristici, un'Associa­zione Pro-Loco, un Circolo di Cultura, due radio, un giornale, un teatro... 
Chi può disporre di tante e tali strutture e gruppi? Racalmuto lo può. Coordina­re e lavorare di concerto sarebbe per il nostro paese un salto di qualità: non beghe né campanilismi ma un'unica vo­lontà di lavorare. Magari all'insegna del seguente motto: "Emulare, non invidiare."




Sogno? Alle volte vorrei svegliarmi senza fare svanire le larve dei miei sogni. Non sarebbero più larve, non sa­rebbero più sogni.
Intanto, per iniziare, basterebbe an­che una sala del Castello, u Cannuni, (sarebbe, tra l'altro, una buona occasione per riparlare del povero Ce­stello), dove poter eventualmente de­positare i materiali del futuro museo. 
Per storicizzare siffatti propositi, per realizzare il progetto del museo occor­rono — l'ovvietà è lapalissiana — fon­di, disponibilità. Ogni anno, mi chie­do, quanto spendiamo per il calcio? Se cento milioni o giù di lì si reperisco­no per un pallone di cuoio, mi auguro se ne reperiscano almeno la metà per un più duraturo, e utile (culturalmen­te, turisticamente ovvero economicamente) museo etnografico. Mi capisca­no gli amici sportivi: la mia vuole essere una benintenzionata provocazione: per discuterne, purché se ne discuta.
Il fatto è che se una cosa la si vuo­le, i modi per ottenerla si sapranno escogitare, possibilmente senza sconten­tare nessuno.
Io, per la mia parte, ho voluto, con la suddetta proposta, lanciare una pie­tra nello stagno (nel paese che sem­pre rischia di ristagnare), sperando che l'acqua ci sia, e che non sia marcia o avvelenata. 
Non altro mi proponevo: le mie volevano essere riflessioni di un racalmutese dirette a racalmutesi.