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sabato 5 settembre 2020

GLI OCCHI, LA STATUA E IL "GESSO PARLANTE" IN BOITO, D'ANNUNZIO E SCIASCIA. Il gesso nella scrittura






Camillo Boito, Senso (1883)



"L'avvocatino impallidì per modo che i suoi occhi neri parvero due buchi in una faccia di gesso; s'alzò dal canapè barcollando ed uscì senza guardarmi. 
Tornerà, tornerà, scommetto. 
Ma è un gran dire che a commuovermi l'anima non ci sia altro verso che il rammentarmi d'un uomo, nel quale, ad onta della mia furibonda passione, vedevo intiera la bassezza infame."

Da: Camillo Boito, Senso (1883)


Gabriele D'Annunzio, Forse che sì forse che no (1959)

"- Ma che furia! Isabella, vi farete male alle dita. Certo, così spaventerete il custode che rifiuterà di lasciar entrare a quest'ora una piccola folle polverosa.
Paolo rideva, rapito tuttavia da quella vitalità volubile, da quella diversità d'aspetti e d'accenti, da quell'ardo- re e da quel tumulto che del luogo ov'ella era sembravano fare il punto più sensibile dell'Universo.
- C'è il campanello - disse una voce timida. Ed entrambi soltanto allora si accorsero che dietro i due sedili emergeva, di mezzo a un cumulo di cerchioni sovrapposti, il meccanico trasfigurato dalla polvere in un busto di gesso parlante.
L'impaziente si maravigliò, poi rise. Cercò il campanello, tirò con tutta la forza. Il tintinno si propagò nell'ignoto. S'udì un passo, un borbottio, uno scrocco di chiave; l'imposta s'aprì; il custode apparve su la soglia. Barbuto e canuto, era la figura volgare del Tempo senza clessidra né falce. Non gli diede agio d'aprir bocca ella, ma subito lo avvolse nella sua implorazione irresistibile.
- Lasciateci entrare! Siamo di passaggio. Ripartiamo prima di notte. Non torneremo forse mai più. Vi prego, vi prego! Nessuno vede, nulla può accadere. Lasciate che entriamo, per un'occhiata almeno! Mi chiamo Isabella.
Più di quella grazia infantile e di quella calda voce supplichevole e di quel nome dominante valse l'offerta del compagno. Il Tempo sorrise nella barba gialliccia, e si scansò."
pag. 21-22



Da: Gabriele D'Annunzio, Forse che sì forse che no - Ed. integrale - Milano, A. Mondadori, 1959. - 367 : 19 cm. – (Biblioteca moderna Mondadori. Sezione romanzi racconti ; 309)
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet: http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/


Leonardo Sciascia, Candido (1989)

"Si buttò o fu buttato a terra, la borsa con le cartelle del processo stretta al petto. Dieci minuti dopo - ché tanto, seppe poi, era durato il bombardamento - si rialzò in un silenzio attonito, pauroso: un silenzio che pioveva polvere, fittissima e infinita polvere. Ma dapprima fu come cieco: fu il pianto, furono le lacrime, che gli aprirono lo sguardo a quella pioggia di polvere. Quando, secoli dopo, la polvere cominciò a diradarsi, vide che la strada non c'era più, che non c'era più la stazione ferroviaria, che non c'era più la città. Uscì dalla corolla facendosi scivolare nell'immenso fossato che c'era intorno e poi faticosamente risalendolo. E si trovò davanti una grottesca statua di gesso, vivi e come appena strappati, atrocemente strappati a un uomo vivo e trapiantati nella statua, soltanto gli occhi."

Da: Leonardo Sciascia, Candido, in Opere 1971-1983, Bompiani, Milano 1989. pag. 351


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Carcara di mio nonno Calogero in contrada "Buovo"



ph ©piero carbone


sabato 29 agosto 2020

IL MONDO DEL GESSO EVOCATO FREQUENTEMENTE NEL "MASTRO DON GESUALDO" DI VERGA. Il gesso nella scrittura

Pubblico questo Post
ricordando con piacere mio nonno gessaio
 e pensando a mio padre che attivò per l'ultima volta la carcara di contrada Buovo.

Sarebbe interessante adunare e pubblicare, con i dovuti permessi, 
le ricorrenze del gesso nelle opere letterarie dei vari autori.  P.C.



Ricorrenze del gesso nel 
 Mastro don Gesualdo (1888)
di Giovanni Verga

a. carriari issu
"Me lo ricordo io manovale, coi sassi in spalla... sissignore!... Mastro Nunzio, suo padre, non aveva di che pagare le stoppie per far cuocere il gesso nella sua fornace..."
pag. 50
b. sacchi di issu
"Gesualdo, intanto che gli altri si davano da fare, mogi mogi, misurava il muro nuovo colla canna; si arrampacava sulla scala a piuoli; pesava i sacchi di gesso, sollevandoli da terra: ― Sangue di Giuda!... Come se li rubassi i miei denari!... Tutti quanti d'intesa per rovinarmi!... Due giorni per tre canne di muro? Ci ho un bel guadagno in questo appalto!... I sacchi del gesso mezzi vuoti! Neli? Neli? Dov'è quel figlio di mala femmina che ha portato il gesso?... E quella calce che se ne va in polvere, eh?... quella calce?... Che non ne avete coscienza di cristiani? Dio di paradiso!..."
pagg. 76-77
c. carriari issu n capu li spaddri
"[...]santo diavolone! santo diavolone, badate!... a quest'ora sarei a portar gesso sulle spalle!..."
pag. 78
d. essiri di lu mistieri
"Che non ne avete occhi, corpo del diavolo!... L'intonaco che screpola e sbulletta!... Mi toccherà poi sentire l'architetto, malannaggia a voialtri!... Quando torna quello del gesso ditegli il fatto suo, a quel figlio di mala femmina!... ditegli a Neli che sono del mestiere anch'io!... Che ne riparleremo poi sabato, al far dei conti!..."
pag. 79
e. scecchi di issara e vurdunara
"Gli venivano tanti ricordi piacevoli. Ne aveva portate delle pietre sulle spalle, prima di fabbricare quel magazzino! E ne aveva passati dei giorni senza pane, prima di possedere tutta quella roba! Ragazzetto... gli sembrava di tornarci ancora, quando portava il gesso dalla fornace di suo padre, a Donferrante! Quante volte l'aveva fatta quella strada di Licodia, dietro gli asinelli che cascavano per via e morivano alle volte sotto il carico! Quanto piangere e chiamar santi e cristiani in aiuto! 
Mastro Nunzio allora suonava il deprofundis sulla schiena del figliuolo, con la funicella stessa della soma... Erano dieci o dodici tarì che gli cascavano di tasca ogni asino morto al poveruomo! – Carico di famiglia! Santo che gli faceva mangiare i gomiti sin d'allora; Speranza che cominciava a voler marito; la mamma con le febbri, tredici mesi dell'anno!... – Più colpi di funicella che pane! – Poi quando il Mascalise, suo zio, lo con- dusse seco manovale, a cercar fortuna... Il padre non voleva, perché aveva la sua superbia anche lui, come uno che era stato sempre padrone, alla fornace, e gli cuoceva di vedere il sangue suo al comando altrui. – Ci vollero sette anni prima che gli perdonasse, e fu quando finalmente Gesualdo arrivò a pigliare il primo appalto per conto suo... la fabbrica del Molinazzo... Circa duecento salme di gesso che andarono via dalla fornace al prezzo che volle mastro Nunzio..."
pagg. 93-94
f. la carcara
"― Ah!... il vostro mestiere?... perché avevate la fornace del gesso?... e mi è toccato ricomprarvela due volte anche!... vi credete un ingegnere!... Ecco il bel mestiere che sapete fare!..."
pag. 106-107
g. commerciari issu
"Gli era toccato ricomprargliela due volte la fornace del gesso! E continuava a metterlo in quegli impicci!... E se lui diceva ahi! quando era costretto a farsi aprire la vena e a lasciarsi cavar dell'altro sangue per pagare, allora il padre gridava che gli si mancava di rispetto. La sorella ed il cognato che lo pelavano dall'altra parte. Una bestia, quel cognato Burgio! bestia e presuntuoso! E chi pagava era sempre lui, Gesualdo!... Suo fratello Santo che mangiava e beveva alle sue spalle, senza far nulla, da mattina a sera: ― Col mio denaro, capite, vossignoria? col sangue mio! So io quel che mi costa! Quando ho lasciato mio padre nella fornace del gesso in rovina, che non si sapeva come dar da mangiare a quei quattro asini del carico, colla sola camicia indosso sono andato via... e un paio di pantaloni che non tenevano più, per la decenza... senza scarpe ai piedi, sissignore."
pagg. 111-112
h. cuntrati di issu
"― Caro don Nunzio!... vi rammentate la fornace del gesso... vicino Fontanarossa?...
Il vecchio burbero fece una spallata, per levarsi d'addosso la manaccia del barone Zacco, e rispose sgarbatamente."
pag. 183
i. ereditari la carcara di issu
"Andremo alla Canziria. Andremo piuttosto alla fornace del gesso che ha lasciato mio padre, buon'anima... Quella sì!... Colà almeno saremo a casa nostra. Non direte d'averla comperata coi vostri guadagni la fornace del gesso!... No, no, sto zitta, massaro Fortunato! Se ne parlerà poi, chi campa. Chi campa tutto l'anno vede ogni festa. Vi saluto, don Gesualdo. Sarà quel che vuol Dio. Beato quel poveretto che adesso è tranquillo, sottoterra!..."
pag. 329
l. putìa e commerciu di issu
"― La roba tua?... sentite quest'altra! Allora vuol dire che nostro padre buon'anima non ha lasciato nulla? E il negozio del gesso che avevate in comune? E quando avete preso insieme l'appalto del ponte? Nulla è rimasto alla buon'anima? I guadagni sono stati di voi solo? per comprare delle belle tenute? quelle che volete appropriarvi perché avete dei figliuoli?... C'è un Dio lassù, sentite!... Ciò che volete togliere di bocca a questi innocenti, c'è già chi se lo mangia alla vostra barba! Andate a vedere, la sera, sotto le vostre finestre, che passeggio!..."
pag. 342

***

CITAZIONI TRATTE DA: 
Mastro-don Gesualdo / Giovanni Verga; con la cronologia della vita dell'autore e dei suoi tempi, un'introduzione all'opera, una bibliografia e un'antologia critica a cura di Corrado Simioni. - Milano : Mondadori, 1973. - 379 p. ; 19 cm. – (Oscar ; 59).

Testo distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/libri/licenze/

N. B. I titoletti in dialetto sono miei.



ph ©piero carbone

martedì 25 agosto 2020

IL GESSO NELLA SCRITTURA. Gli abitanti di Gesso detti frustagalli in un racconto del Pitrè






TRATTO DA: Fiabe novelle e racconti popolari siciliani / raccolti ed illustrati da Giuseppe Pitre con discorso preliminare, grammatica del dialetto e delle parlate siciliane, saggio di novelline albanesi di Sicilia e glossario. - Rist. anast. - Sala Bolognese : Forni. - 4 v. ; 22 cm. - Ripr. facs. dell'ed. di Palermo, 1870-1913.
Vol. IV : stampa 1985. - 456 p. ; 22 cm.