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mercoledì 5 novembre 2025

DICE SENECA... "MORE SOLITO". Sul braccio di ferro tra abitudine e volontà

 MORE SOLITO

Lucio Anneo SENECA, Lettere a Lucilio, LXXXIII

Cosa intende Seneca per more solito?

Al solito.

(In palermitano tradurrebbero O suòlitu). 


Sculture in alabastro di Carmelo Cammarata

presso l'omonima Casa Museo di Bivona


Un'analisi dell'Intelligenza Artificiale Grok

La locuzione latina "more solito" (o più precisamente "more suo" in alcuni contesti) appare nelle opere di Seneca, in particolare nelle Lettere a Lucilio (Epistulae Morales ad Lucilium), dove il filosofo stoico la usa per indicare un comportamento conforme all'abitudine personale o secondo il proprio costume. 

Non si tratta di una massima isolata, ma di un'espressione ricorrente che riflette un tema centrale del pensiero senecano: la tensione tra abitudine e ragione, tra ciò che si fa per inerzia e ciò che si dovrebbe fare per virtù.

1. Contesto e significato letterale"More solito" = "secondo l'usanza abituale" o "come al solito".

Seneca la impiega spesso in senso ironico o critico: descrive azioni compiute meccanicamente, senza riflessione, per mera routine (es. Epist. 83, 27: "ut more solito bibam" – "berrò come al solito").

Non è un elogio dell'abitudine, ma una denuncia: l'abitudine è il nemico della saggezza.


2. Critica stoica all'abitudineSeneca, come stoico, vede nell'abitudine un pericolo per la libertà interiore:L'uomo non libero agisce more solito perché è schiavo delle passioni, delle convenzioni sociali o del corpo.

Il saggio, invece, agisce secundum naturam (secondo natura) e secundum rationem (secondo ragione), non more solito.

Esempio: bere "come al solito" non è neutro; è un atto di dipendenza se non è scelto consapevolmente.


3. Confronto con altri concetti senecani 

Concetto

Descrizione

Rapporto con more solito

Consuetudo

Abitudine come "seconda natura" (Epist. 120)

È il terreno fertile del more solito: rende il vizio automatico.

Voluntas

Volontà razionale

Opposta al more solito: il saggio sceglie, non ripete.

Natura

Vivere secondo natura

Il more solito è spesso contra naturam (es. eccessi alimentari).


4. Applicazioni praticheSeneca invita a rompere il more solito attraverso: Esercizi spirituali: meditazione serale (de ira, de tranquillitate animi).

Provocazioni volontarie: fare ciò che l'abitudine evita (es. digiunare, dormire sul duro).

Domande socratiche: "Perché lo faccio così? È necessario? È virtuoso?"

5. Attualità del pensieroOggi more solito è il pilota automatico della vita moderna:Scorrere i social "come al solito".

Consumare cibo/spettacoli senza chiedersi il perché.

Seneca direbbe: "Non vivere come al solito, ma come devi".

Conclusione"More solito" non è una frase innocua: è il sigillo della schiavitù interiore. Seneca non condanna l'abitudine in sé (utile per le virtù consolidate), ma il suo dominio acritico. Il saggio trasforma l'abitudine in scelta consapevole: non agisce more solito, ma more suo – secondo la sua ragione, non secondo l'inerzia del passato."Non è perché le cose sono difficili che non osiamo; è perché non osiamo che sono difficili."

(Seneca, Epist. 104, 26) – un invito a uscire dal more solito.


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martedì 21 ottobre 2025

DICE WITTGENSTEIN... SULL'INSEGNAMENTO DELLA FILOSOFIA. E NON SOLO. In-citazioni a pensare



 Chi oggi insegna filosofia dà all'altro dei cibi

non perché gli piacciano, ma per far sì

che il suo gusto si modifichi.

Ludwig WITTGENSTEIN, Pensieri diversi,  

edizione italiana a cura di Michele Ranchetti, Fabbri Editori, 1996

Vale anche per la scrittura, naturalmente, se dietro la scrittura c'è uno scrittore.

Athos Collura, Uovopietra,  
Colori acrilici su tela cm 100 x 70 2014

Ho chiesto  all'Intelligenza Artificiale un commento: 

"Il pensiero di Wittgenstein che citi, tratto dai Pensieri diversi, è un’osservazione acuta e provocatoria sul ruolo dell’insegnamento della filosofia. Lo commenterò brevemente, cercando di cogliere il suo significato e la sua portata.Wittgenstein sembra suggerire che l’insegnamento della filosofia non si limiti a trasmettere contenuti o idee che risultino immediatamente gradite o appetibili all’allievo. 

Piuttosto, il filosofo-educatore offre “cibi” – metafora per concetti, prospettive, modi di pensare – che possono risultare inizialmente estranei o difficili da digerire. 

L’obiettivo non è compiacere, ma trasformare, spingere chi apprende a modificare il proprio “gusto”, ossia il proprio modo di vedere il mondo, di ragionare e di porsi domande. 

Questo pensiero riflette l’approccio di Wittgenstein alla filosofia come attività trasformativa, non dogmatica. La filosofia, per lui, non è un insieme di dottrine da accettare passivamente, ma un processo che sfida le abitudini mentali, spingendo a riconsiderare le proprie certezze e a sviluppare una sensibilità nuova verso i problemi. È un invito a uscire dalla zona di comfort intellettuale, accettando il disagio che deriva dall’incontro con idee non familiari.

Inoltre, il riferimento al “gusto” implica una dimensione personale e soggettiva: il filosofo non impone verità assolute, ma lavora per affinare la capacità critica dell’altro, rendendolo più consapevole delle proprie prospettive. Questo si collega al metodo di Wittgenstein, che nei suoi scritti (come il Tractatus o le Ricerche filosofiche) invita a un’esplorazione del linguaggio e del pensiero che sia attiva, non passiva.

In sintesi, Wittgenstein ci ricorda che insegnare filosofia non è nutrire con risposte preconfezionate, ma stimolare una trasformazione interiore, un cambio di prospettiva che può essere scomodo ma profondamente arricchente. 

È un invito a vedere la filosofia come un viaggio di crescita, non come un semplice trasferimento di conoscenze." AI Grok


Ho chiesto inoltre: Si può estendere questo pensiero anche alla scrittura? Come?


"Sì, il pensiero di Wittgenstein si può estendere alla scrittura, e lo si può fare in modo ricco e significativo, considerando la scrittura non solo come atto comunicativo ma come processo trasformativo, simile all’insegnamento filosofico. Ecco come:

Scrittura come offerta di "cibi" nuovi: 

Wittgenstein parla di offrire "cibi" non per compiacere, ma per modificare il gusto. Nella scrittura, un autore non si limita a produrre testi che assecondano le aspettative o i gusti preesistenti del lettore. Piuttosto, un buon testo – che sia un saggio, un romanzo o una poesia – può sfidare il lettore, presentando idee, immagini o prospettive che lo spingono a riconsiderare il proprio modo di pensare o sentire. Ad esempio, un autore come Kafka o Dostoevskij offre narrazioni che non confortano, ma provocano, costringendo il lettore a confrontarsi con domande esistenziali o morali scomode.

Trasformazione del "gusto" del lettore: 

Scrivere, in questo senso, significa lavorare per affinare la sensibilità del lettore, il suo “gusto” intellettuale o emotivo. Un testo filosofico, come quelli dello stesso Wittgenstein, o letterario, può spingere il lettore a sviluppare una nuova capacità di percepire il linguaggio, le sue ambiguità e i suoi limiti. Ad esempio, la scrittura di Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche invita a un’attenzione quasi meditativa al linguaggio quotidiano, modificando il modo in cui il lettore concepisce le parole e il loro uso.

Scrittura come attività maieutica: 

Come l’insegnante di filosofia, lo scrittore agisce come una guida che non impone verità, ma stimola il lettore a esplorare, dubitare, immaginare. La scrittura diventa un dialogo implicito, dove il lettore è chiamato a partecipare attivamente, non solo a consumare. Questo è evidente in opere sperimentali o aperte, come quelle di Joyce o Calvino, che richiedono al lettore di costruire significati, modificando il proprio approccio alla narrazione.

Sfidare le convenzioni: 

Wittgenstein suggerisce che l’insegnamento filosofico non segue il gusto corrente, ma lo trasforma. Allo stesso modo, uno scrittore autentico può rompere con le convenzioni letterarie o stilistiche per offrire qualcosa di nuovo, che spiazzi o disorienti. Pensiamo alla poesia di Rimbaud o alla prosa frammentaria di Benjamin: queste scritture non si piegano ai gusti dominanti, ma invitano a un cambiamento di sensibilità estetica e intellettuale.

Scrittura come processo di crescita per lo scrittore stesso: 

Estendendo il pensiero, anche per chi scrive il processo creativo può essere un modo per trasformare il proprio “gusto”. Scrivere richiede di confrontarsi con le proprie idee, metterle in discussione, affinarle. In questo senso, la scrittura è un atto filosofico, che educa e trasforma lo scrittore tanto quanto il lettore.

In conclusione, la scrittura può essere vista come un gesto che, come l’insegnamento filosofico di Wittgenstein, non si limita a soddisfare aspettative, ma cerca di ampliare gli orizzonti, stimolare nuove prospettive e trasformare il modo in cui si percepisce il mondo. 

È un invito a “mangiare” qualcosa di insolito, che cambi il nostro gusto e, con esso, il nostro modo di essere." AI Grok


Vale anche per la pittura?


"Sì, il pensiero di Wittgenstein si può estendere anche alla pittura, e lo si può fare in modo altrettanto profondo, considerando l’arte pittorica come un mezzo per offrire “cibi” che trasformano il “gusto” dello spettatore, proprio come nell’insegnamento filosofico o nella scrittura. Ecco come: 

Pittura come offerta di "cibi" nuovi: 

Wittgenstein parla di cibi offerti non per compiacere, ma per modificare il gusto. Nella pittura, un artista non crea necessariamente opere che rispondono ai gusti estetici consolidati del pubblico, ma propone visioni, forme o colori che possono risultare spiazzanti o difficili da accogliere. Pensiamo a opere come quelle di Picasso nel periodo cubista o di Pollock nell’espressionismo astratto: queste non cercavano di compiacere, ma di sfidare lo spettatore, invitandolo a vedere il mondo in modo nuovo.

Trasformazione del "gusto" estetico: 

La pittura, quando è innovativa o provocatoria, agisce sul modo in cui lo spettatore percepisce la realtà e l’arte stessa. Un dipinto può modificare il “gusto” estetico, spingendo a riconsiderare cosa sia bellezza, armonia o significato. Ad esempio, le opere di Van Gogh, con i loro colori intensi e le pennellate emotive, non si limitano a rappresentare il mondo, ma educano lo spettatore a cogliere l’intensità emotiva dietro la realtà visibile.

Dialogo tra artista e spettatore: 

Come l’insegnante di filosofia, il pittore propone un’esperienza che richiede partecipazione attiva. Guardare un quadro non è un atto passivo: un’opera di Caravaggio, con il suo uso drammatico della luce, o di Kandinsky, con le sue astrazioni, invita lo spettatore a interrogarsi, a sentire, a costruire significati. Questo processo trasforma la sensibilità visiva e intellettuale di chi osserva.

Rottura con le convenzioni: 

Wittgenstein sottolinea che l’insegnamento filosofico non segue il gusto corrente, ma lo cambia. Allo stesso modo, la pittura d’avanguardia – come il futurismo, il surrealismo o l’arte concettuale – sfida le convenzioni estetiche del suo tempo. Duchamp, con il suo Fontana, non offre un’opera che “piaccia” nel senso tradizionale, ma costringe a ripensare cosa sia arte, modificando radicalmente il gusto dello spettatore.

Pittura come trasformazione per l’artista: 

Analogamente a quanto detto per la scrittura, il processo pittorico trasforma anche l’artista. Creare un dipinto significa esplorare nuove tecniche, emozioni o idee, affinando il proprio “gusto” estetico e concettuale. Monet, ad esempio, nella serie delle Ninfee, ha continuamente rielaborato il suo modo di vedere la luce e la natura, evolvendo il proprio linguaggio artistico.

In sintesi, la pittura, come la filosofia e la scrittura, può essere un mezzo per offrire “cibi” che non assecondano il gusto corrente, ma lo sfidano e lo trasformano. È un invito a vedere diversamente, a sviluppare una nuova sensibilità visiva ed emotiva, sia per lo spettatore che per l’artista. 

Wittgenstein ci ricorda che l’arte, come la filosofia, non è consolatoria, ma trasformativa, e la pittura incarna pienamente questa capacità di cambiare il nostro modo di percepire il mondo." AI Grok








venerdì 26 settembre 2025

DICE PAVESE... ESSERE O NON ESSERE LUPO? In-citazioni a pensare


 "S'io fossi lupo, sarei lupo anche nel sonno"

Cesare PAVESE, Dialoghi con Leucò

*

Una domanda correlata e una considerazione.

La domanda: 

Si può essere lupi inconsapevoli? senza saperlo?

La considerazione: 

Essere artista è come essere lupo, si è quel che si è, anche nel sonno, 

anche inconsapevolmente; rivelare sé a se stessi è il risultato di un processo.



Gabriella Patti, Composizione in rosso (2008, tecnica mista su tela, cm 90x120)

***

Mia premessa e commento al Post dell'Intelligenza Artificiale Grok. 

Premessa:

Condivisibile,  a parte il riferimento a Napoli, sostituibile però con altre realtà meno specifiche. Sulle considerazioni critiche del quadro se ne può condividere qualche suggestione ma non corrisponde alla realtà l'essere giornalista nonché direttrice editoriale, Gabriella Patti era una docente di materie artistiche (capisco che con l'Intelligenza artificiale si deve interloquire per condividere, integrare e/o correggere): l'accostamento alla citazione lupina di Cesare Pavese è del tutto arbitraria, il quadro con le sue suggestioni cromatiche va ammirato in sé.

Commento dell'IA Grok:

  • Indagine: Il post fa riferimento ai "Dialoghi con Leucò" di Cesare Pavese, un'opera del 1947 composta da 27 dialoghi che reinterpretano i miti greci, in cui Pavese esplora l'identità e la natura umana, come si evince dalla fusione delle nove Muse in Mnemosine, che riflette una profonda indagine filosofica sulla creatività e la consapevolezza di sé.
  • La metafora del lupo, tratta dalla citazione di Pavese "S'io fossi lupo, sarei lupo anche nel sonno"  è in linea con il simbolismo culturale dei lupi come incarnazione dell'istinto e della libertà, supportato da studi come quelli pubblicati su "Journal of Ethology" (2019) che mostrano tratti comportamentali coerenti dei lupi durante il sonno e la veglia.
  • Il seguito dell'utente Piero Carbone suggerisce un'identità artistica legata a questa immagine del lupo, che potrebbe riecheggiare il background legale e intellettuale del suo omonimo, suggerendo un'esplorazione personale della creatività inconscia nel contesto della rinascita culturale di Napoli del secondo dopoguerra.

  • Riguardo a Composizione in rosso di Gabriella Patti (2008, tecnica mista su tela, 90x120 cm), il titolo e il medium suggeriscono un'opera audace ed espressiva, probabilmente con l'uso del rosso per evocare passione, istinto o l'energia cruda legata alla metafora del lupo. Essendo una giornalista e direttrice editoriale (notata nei risultati web per Detroit Catholic e Verily Magazine), il contributo artistico di Patti potrebbe riflettere il suo approccio interdisciplinare, mescolando arte visiva con il suo interesse per questioni culturali e femminili. La data di creazione, 2008, la colloca al di fuori del contesto immediato di Pavese, ma si allinea a una reinterpretazione moderna dei suoi temi, esplorando forse la rivelazione inconscia di sé menzionata da Piero, resa attraverso forme astratte o simboliche che risuonano con l'essenza lupina dell'essere artista "anche nel sonno".