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lunedì 22 aprile 2019

ALTRIMENTI QUELLI... La permuta vincolata della statua di San Michele per una botte di vino, tra menfitani e santamargaritesi





Altrimenti quelli...


L’Angelo precede e annuncia l’Incontro. Ogni anno per Pasqua. Sempre. Per sempre. Dopo varie rincorse, finalmente la Madonna incontra il Cristo Risorto.


Se l’Incontro, per qualsiasi motivo, un anno, la domenica di Pasqua, non dovesse avvenire, la statua ritornerebbe nella patria originaria: questa la condizione dei santamargaritesi nel cedere la statua dell’arcangelo  san Michele ai menfitani in cambio di una botte di vino, tanto e tanto tempo fa. Così fu. Così si tramanda. 
Privilegio con spada di Damocle. 

Per questo onore e con questo timore, il tradizionale Incontro (o Scuontru) è avvenuto anche nell’anno in cui ci fu il terremoto. E ogni anno così dev'essere, dicono ancora gli anziani, anche nelle condizioni più avverse, anche se dovesse esserci la neve, anche se la pioggia dovesse cadere dalle cateratte del cielo pisuli pisuli.

Insomma, viva San Michele Arcangelo l'Annunziatore. La banda suona, i tamburi rullano e il prete benedice.

Altrimenti quelli... Il paese di Santa Margherita è a due passi da Menfi.





ph ©piero carbone

martedì 6 novembre 2012

ALTRO CHE PRESEPE!

Non so se il fondatore del Presepe vivente di Contrada "Cinquanta" - presso Menfi - sia ancora alle prese con il pagamento della tassa comunale, che una volta si chiamava ICI e che ora si chiama IMU; certo è che tasse a parte, è difficile stabilire quando e quanto la creatività che sconfina dalle regole tradizionali debba pagare pegno. 





IL PRESEPE  APOTROPAICO  DI  BALDASSARE  
INTERRANTE 
ovvero 
MUSEO, ARCHITETTURA O SCULTURA? 



Lungo uno stretto e tortuoso sentiero acciottolato ci si imbatte in varie casupole e strani assembramenti di oggetti a cielo aperto che sembrano sculture.
Nella prima casupola è apparecchiato un presepe con statuine di pasta di sale, nelle altre  viene fatto rivivere un mondo scomparso indicato dalle didascalie: fabbro, pastaio, fornaio, pastore. 
Personaggi in costumi israelitici offrono pane, uova, formaggi.  In una casupola si vendono prodotti biologici tra cui nchiappe di pomodori secchi con tanto di traduzione inglese: “Sun Dried Tomatoes in Oil”, in un’altra è ricreata la scena della natività: un giaciglio per Gesù Bambino, una carrozzella con le ruote in legno rivestite di corda, l’asinello e due pony al posto del biblico bue. 
La notte di Natale lo scenario si anima, il bambino e la sacra coppia diventano in carne ed ossa, Baldo impersona San Giuseppe, il sei gennaio invece prende altre sembianze:


 “Baldassare è il mio nome di Re Magio
    e su questa terra sono di passaggio”.



Fra il sacro e il profano, finalmente si arriva in cima al percorso dove si trova la “locanda” . Entrando si viene assaliti da stupore e da qualche dubbio: alle pareti di forma circolare è un’esplosione di oggetti, appesi, inchiodati, appoggiati: gioghi di buoi, sfilze di lumi a petrolio, cannìstra, capizzùna, capizzàglia, forme del calzolaio, stadere, falci, roncole, seghe, morsetti, pialle, chianùzza, sorpassati ferri da stiro a carbone, macchine da cucire a pedale, arcaiche macchine per scrivere Continental, crìva, brascèri, cafìsa, pompe arrugginite per spruzzare ddt, mortai, vèrtuli, coffi, cufina, cuffùna, vascèddi, recipienti in terracotta e una miriade di altri oggetti accompagnati da incredibili didascalie: 


“L’Amore è la gioia dell’Armonia / L’Armonia è l’Anima della vita”.      “Non voglio perché lo voglio”. 
“Chi rompe le cose / ci rompe pure le cosone”.




       In un canto è ricreato amorevolmente l’interno di una casa contadina. Nell’altro ambiente, anch’esso circolare, riluce una funzionante  e odorosa macchinetta per il cafféspresso.  

       Seduti su rustici sgabelli di vimini, sotto un tetto di cannìzzi,  attorno un tavolo ricavato con il fondo di una botte, cerco di capirci qualcosa e chiedo a Baldo se intendeva rifarsi alla casa-museo di Antonino Uccello o alla “Godranopoli” di Francesco Carbone. “Né a questi né ad altri,” che tra l’altro non conosce, è la risposta. Anzi è convinto che la sua sia una scultura: la gente la visita, la fruisce, la vive, vi si muove dentro. E’ una moderna scultura circolare. Come ce ne sono negli “ateliers” degli artisti e nei musei.




Nel contenzioso col comune, che vorrebbe fargli pagare l’I.C.I., è prevalsa finora questa tesi. Su quali parametri – questo è il problema - i tecnici comunali dovrebbero fargli pagare la tassa che  normalmente  viene applicata alle comuni abitazioni e agli esercizi commerciali?

In effetti, la sua raccolta di oggetti e i suoi manufatti non solo non hanno il rigore scientifico di un museo etnografico ma neanche le pacifiche simmetrie dell’architettura corrente. Interrante non è Gaudì. Ciò non toglie ch’egli vorrebbe per sue creazioni comprensione e sostegno dagli enti pubblici: in fondo dà una mano all’economia locale attirando migliaia di visitatori.





       “E’ un’opera d’arte in divenire,” spiega l’artista Baldo, “se tu vieni fra quindici giorni non la troverai più la stessa. Per me è un gioco, mi diverto. Nulla si crea, tutto si trasforma. Per me è un sogno, vivo nel mio regno. Forse un giorno farò qualcosa di stabile, una struttura agrituristica per assicurare un futuro ai miei figli”.

       Personalmente credo che tutto ciò assuma un significato apotropaico: come per i popoli primitivi, una sorta di recinto che serva a preservare un’area circoscritta da qualsiasi influsso negativo proveniente dall’esterno: decadenza morale, conflitti, disastri ecologici. Baldo Interrante se ne preserva a suo modo: tappezzando il suo mondo fittizio di oggetti desueti, obsoleti, “antichi”.

 Nel fare i conti con il proprio tempo c’è chi reagisce internazionalizzandosi, proiettandosi nel futuro, legandosi ai prodotti appartenenti a correnti artistiche moderne, come gli amministratori della vicina Gibellina ad esempio: non avendo più le pietre antiche incistano il loro immaginario nel tecnologico cemento, lo legano agli altisonanti nomi del mondo dell’arte.

Interrante nel suo piccolo, segue il movimento opposto. Con un certo fascino di ieraticità.

          Al di là di ogni intenzione,  il suo “mondo” risulta essere un archivio sentimentale della memoria dismessa di un paese terremotato.





domenica 16 settembre 2012

LA LINGUA BATTE...




La coppia di ieri sera induceva all’adulterio, doppiamente. Era una coppia invitante, una coppia strana, formata da due parole: bellezza e rovina. 
La suggestiva cornice potenziava la tentazione:  con i pensieri e con la fantasia.

Pensieri per circondare e stringere rovine, ognuno le proprie: personali e storiche; fantasie per trasfigurare la realtà - ciascuno la propria - da cui scaturisce la bellezza.

Galeotti: musici e poeti, teatranti e mecenati, fotografi e cerimonieri orchestrati dal gran cerimoniere Beatrice Agnello, una corte o cortile  della sicula Menfi del casato dei Ravidà; vento che fletteva palme e soffiava dalle casse degli altoparlanti; un deus, anzi, una dea ex machina palermitana nonché agguerrita ed entusiasta promotrice di poesia: Patrizia Stagnitta col suo Circolo di lettura “Sabir”. 

Solitamente i recital di poesia sono una noia mortale ma quello di ieri sera era intelligente miscela di parola poetica e accattivante intrattenimento: chi può permettersi, in un contesto serio e di indiscussa qualità,  di suonare la viola con i denti o di picchiettare le sue corde con una penna biro invece di farvi scorrere il setoso archetto? Giovanni Sollima può.

Clima festoso delle grandi occasioni. Pubblico numeroso e interessato, locale e forestiero, soprattutto palermitano. Artisti e poeti provenienti dalle varie parti della Sicilia: Palermo, Marsala, Caltagirone, Catania, Caltanissetta, Menfi, Sciacca. Tanti, tantissimi i nomi; i sei poeti declamanti credo siano stati prescelti in rappresentanza dei seicento o seimila o seicentomila poeti siciliani dialettofoni e italofoni, raggruppabili per categorie: superpremiati, minimalisti, sperimentali, meditabondi,  mediorientaleggianti, teatrali. Tutti erano rappresentati. 

Questo è avvenuto ieri sera, sabato 15 settembre 2012, con la manifestazione “La bellezza e la rovina. Poeti a Menfi” nella splendida location di Villa Ravidà aperta per la seconda volta a manifestazioni culturali pubbliche.

Frequentando Menfi, anni addietro ero rimasto incuriosito dal frontale classicamente colonnato di questa villa, intravisto dagli interstizi di un cancello chiuso; con alcuni amici menfitani, auspice un “gancio” palermitano, avremmo voluto si aprisse per ospitare un’analoga manifestazione con  presentazione di libri di storia locale, esposizione di macchine parlanti e delle pietre superstiti della villa Palminteri e commemorazione di un ottocentesco compositore locale con esecuzione al pianoforte di alcune sue arie. Semplicemente non fu possibile. O i tempi non erano maturi.

Grande gioia, perciò, provai ieri sera, per tanti motivi, nel varcare quel cancello solitamente chiuso,  nel rivedere tanti amici e conoscenti palermitani e non, nell’ascoltare i poeti che, contrariamente al titolo della manifestazione, non erano lì per cantare le bellezze e le rovine di Menfi, quanto piuttosto le loro, le loro intime esperienze di vita, le loro aspirazioni e disillusioni, le loro percezioni della realtà, che poi, quando le canta un poeta, non sono strettamente personali e localistiche ma universali.

 Comodamente seduto, nella semioscurità della platea all’aperto, accarezzato dalla musicalità delle parole, sollecitato  da tanto materiale poetico insomma, cercavo di seguire i poeti nelle loro parabole esistenziali, nei luoghi e nelle atmosfere da loro evocati.  Ma come diceva il poeta antico, “voglio dir degli Atridi, voglio cantar degli Achei, ma nelle corde risuona il solo Amore”.
E inevitabilmente finisce che uno ripensa la propria vita, le proprie esperienze, la bellezza e la rovina dei propri luoghi, e tra i tanti mi è venuto davanti agli occhi il Castelluccio di Racalmuto, dove magari celebrare la prossima edizione de “La Bellezza e la Rovina”.



Video:
http://www.youtube.com/watch?v=k0wFlaW64-c



Locandina:

La Sicilia 14 settembre 2012