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mercoledì 13 dicembre 2017

RABBIA VERA E RABBIA SIMULATA. La seconda è catartica, se è artistica


"Rabbia vera e rabbia simulata. La seconda è catartica, se artistica".
Smaragdos, Lo scornabecco non è un animale. Parainedito



Salvatore Romano, Rabbia repressa, china, Anni '90


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Scampolo di conversazione sui social
Salvatore Romano "pittore in bianco e nero" Caro Piero gentilissimo, ti ringrazio.

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5 h
Gestire
Piero Carbone da Racalmuto e io ringrazio te perché dai forma, bella forma, in b/n, a pensamenti e sentimenti vari della natura umana


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domenica 19 marzo 2017

MALEDETTI TOSCANI? MA QUANDO MAI! Dissimulata dichiarazione d'amore di un artista donchisciottesco che in Toscana ci vive: Salvatore Romano

Lucia
Perché parli così, figliuol mio!

Turiddu
Oh! nulla! 
E' il vino che mi ha suggerito!


A questo dialogo fra madre e figlio mi è corsa subito la mente quando ieri ho letto su facebook le dichiarazioni di Salvatore - che in dialetto siciliano è detto Turiddu) - Romano nei confronti della "sua" Firenze.
A volte è il troppo amore che ci fa vaneggiare che in dialetto siciliano con la stessa accezione si dice "sparlare". 

Ebbene, Salvatore Romano, che da una vita ormai vive e opera in Toscana,  "sparla" ovvero  camuffa il suo amore per Firenze facendosi velo dei fiorentini ma in fondo trapela proprio ciò che vorrebbe camuffare come in Turiddu l'amore per sua madre, addossando il suo vaneggiamento al vino. 
Eppure, così come per Turiddu nella Cavalleria rusticana "in vino veritas", nel caso dell'artista Salvatore Romano un altro amore viene dissimulato perché "in arte veritas".  


Autoritratto del 2001 (opera distrutta da atto vandalico)




Salvatore Romano
12 ore fa ·
E' innegabile dire che avere a che fare con i fiorentini sia alquanto difficile, problematico. Io siciliano, con loro, ho poco e nulla di simile, sono spesso arroganti, prepotenti, perché no? Anche ignoranti, spesso volgari nel linguaggio, non hanno peli sulla lingua ed è difficile che ti facciano entrare in casa loro, mentre sono sempre disponibili ad entrare nella tua. 

Prova ad invitarli a cena, non riceverai mai un rifiuto. Un favore che gli chiedi te lo fanno solo se capiscono che potrai ricambiarlo, non hanno il senso dell'amicizia come lo abbiamo noi meridionali. Vogliono ma non danno. Poi sono superiori a tutti, prima ci sono loro e poi gli altri. 
Ovviamente con me si son dovuti ridimensionare, sin da subito mi son posto su uno scalino più alto del loro e cosi mi son salvato. Per difendersi in questa terra bisogna mettersi sulla difensiva, se ti vedono debole sei spacciato. 
Sono furbi, sanno fare i loro interessi, non si muovono per nulla. Potrei continuare ma penso di essermi fatto abbastanza nemici per stasera. Però c'è un però: saranno pure stronzi ma Firenze è la terra dei grandi del Rinascimento e non solo. 

Io cammino per queste vie e non posso non pensare che prima di me queste strade sono state calpestate da Pico della Mirandola, Lorenzo il Magnifico, Cosimo, Brunelleschi, Giotto, Michelangelo, Leonardo, Botticelli, Cellini e tanti tanti altri, perfino quel delinquente, che hanno fatto santo del Savonarola che chissà quanta bella arte ha bruciato. Ditemi voi se in questa disamina non ci avete visto in qualche punto i comportamenti di noti politici di oggi, io credo di si. 

Insomma, io amo Firenze e ci vivo bene.

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Commenti
Piero Carbone da Racalmuto Io son di Prato, m'accontento esser di Prato, e se non fossi nato pratese vorrei non esser venuto al mondo... diceva quel "maledetto toscano" di Curzio Malaparte in quell'opera musicale che è "Maledetti toscani". Da quello che dici, come dargli torto?
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Piero Carbone da Racalmuto Ciao, Salvatore, posso pubblicare la tua nota sul blog?
Mi piaceRispondi111 h
Salvatore Romano libero Piero, non chiedermi il permesso
Salvatore Romano Grazie a te Piero, ti auguro la buonanotte


Opere a china di Salvatore Romano


Salvatore Romano, The isle of the dead n. 3 (china 100X70)



Don Chisciotte in città, 90X52 2001

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venerdì 9 settembre 2016

COMPLICE È IL PAESAGGIO, NEL ROMANZO DI GIUSEPPE ROMANO. Presentazione oggi al Museo del disegno



Oggi al Museo del disegno
Palermo, via Mogia 8
Presentazione del romanzo di Giuseppe Romano, Come una carezza
Edizioni Arianna

Con interventi di Piero Carbone, Salvo Ferlito, Nicola Romano



Di un romanzo se ne può parlare  da diversi punti di vista,  quello recentemente letto di Giuseppe Romano, che si presenta oggi al Museo del Disegno, Come una carezza (Edizioni Arianna), ne offre parecchi sul versante esistenziale e sociologico, e altri relatori sicuramente li scandaglieranno, io invece sono tentato di soffermarmi su un aspetto meno analitico, apparentemente meno introspettivo: il paesaggio.

http://www.edizioniarianna.it



La ragione è dovuta al ricordo di alcuni appunti sulla campagna toscana confrontata con quella siciliana risalenti ad un  appunto domestico di giovedì 15 ottobre 1998.

L’input per rileggere quegli antichi appunti me lo ha dato il riferimento al paesaggio con le sue descrizioni nel romanzo di Giuseppe Romano.


Nel Capitolo I, il paesaggio amico, familiare, spensierato, vien fuori da cromatissime quanto veloci pennellate:

“…con gregge da pascolare si dirigeva per colline e campi verdi, inebriandosi di quei paesaggi. Le belle giornate di quel fine marzo gli garantivano parecchie scorribande per i prati ancora verdi delle montagne; da lì scorgeva gli aguzzi tetti delle case ed il campanile della chiesa… 
Passo dopo passo Antonio sentiva soltanto il crepitio delle suole consumate contro il brecciolino. Quando prese le pecore da pascolare, non aveva altri pensieri per la testa che godere di quella libertà, tra i campi sparsi di ginestre e gli odori intensi della natura.”, pag. 21.



Nel Capitolo II, il trasferimento della famiglia del protagonista, Antonio, da Bisacquino a Castelnuovo in Val di Cecina, viene sancito dal paesaggio, non inerte contenitore o spettatore ma compartecipe del destino dei migranti che lasciavano alle spalle una situazione problematica e andavano incontro al sogno di una vita migliore.  
Il viaggio viene scandito in due tempi che assumono il valore di una rappresentazione scenica: il paesaggio che si lascia e il paesaggio che si trova.




Il paesaggio che si lascia.

“Sedeva accanto al finestrino, quasi accucciato nel suo sedile di  antico vagone di terza classe, dove attraverso i vetri sporchi ammirava per la prima volta l’azzurro del mare e le onde increspate rincorrersi una dopo l’altra. 
Il suo volto imberbe, dove spuntavano occhi azzurri e profondi, nascondeva un forziere nel quale erano nascosti segreti inconfessabili. Li avrebbe portati con sé, lontani da Bisacquino, seppellendoli nel piano silenzioso amaro del dolore”. Pag. 29

Come un intermezzo.

“Quel treno procedeva veloce verso  luoghi lontani e sconosciuti. 
La notte trascorsa su quel vagone, cigolante e rumoroso, acuiva nel silenzio respiri profondi di viaggiatori stanchi…”.
Pag 29


Il paesaggio che si trova.

“La Sicilia era alle spalle. 
La strada ferrata serpeggiava tra boschi e anonimi paesi, tra ponti e stazioni sonnecchianti. 
La Toscana fino a quel momento era soltanto una macchia marrone nelle cartine geografiche della classe elementare.” Pag. 30

“Nei giorni a seguire, Antonio e la sua famiglia cominciarono a prendere dimestichezza con il nuovo mondo: la nuova casa condivisa con i parenti, facce nuove e scolpite nella loro secolare memoria, case strette le une alle altre a formare un reticolo urbano ordinato, immutato ed immutabile. 
Quello non era Bisacquino, non assomigliava per nulla a qualsiasi paese della Sicilia. La gente era sempre intenta a lavorare, andava via di fretta ed amava riunirsi in associazioni politiche; 
lì trascorrevano le serate attorno ad un buon bicchiere di Chianti e a volte si scatenavano in chiassose feste paesane. ” pag 31

“La vita a Castelnuovo Val di Cecina si trascinava monotona fra la bottega del panettiere, i campi da coltivare e la fattoria. […] 
La nostalgia si era impossessata delle sue giornate e dei suoi pensieri, permeandolo di malinconia. Così l’anno 1959 volgeva al termine e l’autunno aveva ingiallito i rami di alti castagni, faggi, sugheri ed ebani. 
Le piogge abbondanti avevano riempito i letti dei fiumiciattoli vicni al borgo e la temperatura gradualmente si era irrigita”. Pag. 31


Giovanni Papini:

La campagna che sento io, la campagna mia, è quella di Toscana, quella dove ho imparato a respirare e a pensare; campagna nuda, povera, grigia, triste, chiusa, senza lussi, senza sfoggi di tinte, senza odori e festoni pagani, ma così intima, così familiare, così adatta alla sensibilità delicata, al pensiero dei solitari.
Campagna un po’  monacale e francescana, un po’ aspra, un po’ nera, ove senti lo scheletro di sasso sotto la buccia erbosa, e i grandi monti bruni spopolati si rizzano a un tratto, quasi a minaccia delle valli placide e fruttifere.
Campagna sentimentale della mia fanciullezza; campagna eccitante e morale della mia gioventù, campagna toscana magra ed asciutta, fatta di pietra serena e di pietra forte, di fiori onesti e popolani, di cipressi risoluti, di quercioli e di pruni senza moine, quanto mi è più bella delle campagne famose del sud, colle palme e gli aranci e i fichi d’India e la bianca polvere e il furente sole d’estate” (Un uomo finito).


Vitaliano Brancati

“Toscana: il paese, che scorre ai due lati del treno, sembra conservato in un armadio: appassito dal tempo più che dalla stagione. […] Campagne magre, al confronto di quelle siciliane. I miei amici e conterranei, che sospirano amaramente al pensiero di vivere in paesi e cittadine, si confortino pensando che quanto manca alle nostre città, al paragone di queste, manca a queste campagne al paragone delle nostre.
I campi siciliani sono metropoli vegetali: e questi, paesini. […] In quelle campagne, si vive una vita intensa. 
Qui invece, in questi campi, la vita vegetale esiste senza dubbio, ma al confronto di quella che si svolge in Sicilia, è rada, impacciata, leggermente provinciale come, nella sfera dei rapporti umani, la società dei paesini”.