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lunedì 13 maggio 2013

LA GELOSIA DELLE CAPRE



Può una capra essere gelosa, affettuosa, fedele? 
A queste domande sembra rispondere il racconto di Ignazio Maiorana inserito nel volume Italo. Storie di animali, a cura di Aurelio Caliri, e presentato all'Auditorium della sede Rai di Palermo giovedì 9 maggio 2013.

Una piacevole presentazione arricchita dalle musiche originali di Aurelio Caliri interpretate con grande sensibilità e maestria da lui stesso e dal pianista Giuseppe Campisi. 

Ad altre domande, tramite le storie di altri animali,  rispondono gli altri 79 racconti. In particolare, durante la presentazione del volume, ne hanno parlato  lo stesso curatore Aurelio Caliri, Flora Restivo, Ignazio Maiorana e il sottoscritto. 

La manifestazione è stata trasmessa in streaming:









Vincenzo, il pastore amico

Racconto di 
Ignazio Maiorana



Milioni di animali, milioni di persone. Caratteristiche morfologiche a parte, non sempre è facile distinguere gli uni dalle altre. Addirittura c'è qualcuno che ha certezze, se ha avuto il coraggio e la determinazione di scrivere sulla man­giatoia di una stalla di San Mauro Castelverde: "Più conosco l'uomo e più amo gli animali".

L'aggressività degli uomini non è da meno da quella degli animali, come pu­re la rispettiva dolcezza o docilità. A proposito di docilità, come considerare gli apprezzamenti del pro­prietario di un allevamen­to suinicolo verso i suoi maiali allo stato libero? Egli si offende quando le sue bestie vengono chia­mate porci: "Chiudi un es­sere vivente in gabbia e non lo riconosci più", so­stiene accoratamente. Un veterinario di Reggio Emi­lia ha addirittura fatto la tesi di laurea sul benessere
della scrofa: 
"Lo stress de­gli animali è controproducente per la loro prolificità e la loro crescita. Causa in essi turbolenza e aggressività".

È di alcuni anni fa, nei pressi del bosco Sugheri di Ceraci Siculo, l'indi­menticabile sensazione prodotta dall'immagine di una particolare catena nutrizionale-affettiva: sempre al pascolo brado, una bovina di primo parto divideva i quattro capezzoli della mammella materna col fratello dell'età di qualche set­timana e intanto allattava il proprio piccolo di pochi giorni di vita.

Le storie di cani e gatti umanizzati non si contano più. Ciò che sanno dare all'uomo è davvero incredibile. Le capre di contrada Vignicella a Castelbuono, per esempio, si distinguono per la gelosia morbosa nei confronti del loro amico-pastore, Vincenzo, che le porta a pascolare giornalmente, anche per Pasqua e per Natale.

Le capre si rifiutano di prendere cibo in sua assenza. Vincenzo è a letto con la febbre? La moglie comprende... la solitudine delle povere bestie e le con­forta con una razione in più di fave che in altri momenti divorerebbero avida­mente. Quel giorno non c'è verso per Nicolina di convincere le bestie a in­goiarle. 
Le capre vogliono lui. 
Lo circondano durante la mungitura e fanno a gara a chi deve stargli più vicino: una gli mordicchia la manica, l'altra il ber­retto, un'altra ancora gli annusa il collo o gli si strofina sulla schiena...
Ce n'è una che non lo molla neanche se l'ammazzi: sopporta le cornate delle sue com­pagne di ovile ma non si scosta dal pastore. 

Ma cosa fa Vincenzo a quelle ca­pre? 
Non le bastona, lui non sa fare una cosa del genere. Le sue compagne di lavoro saranno attratte o rassicurate soprattutto dalla sua bontà stampata sul vi­so: tra le sue guance paffute è scolpito un perenne sorriso. Eppure la sua età porta il peso di seri dispiaceri e una buona dose di reumatismi.

Adesso Vincenzo non ce la fa più ad uscire con le sue vivacissime capre, ma è la volontà di non darsi per vinto che gli permette di tenersi ancora su, di cam­minare sotto il sole o con la pioggia. Lui avanti e le sue amichette dietro, si fer­mano qua e là a brucare qualche ciuffo d'erba tra rovi e cespugli o sotto i ra­mi dei frassini per qualche foglia più tenera.

La mattina non occorre mettere la sveglia nell'adiacente abitazione di Vincenzo: nell'ovile i belati si fanno sentire appena fa giorno. Chi agitazio­ni c'hannu...! "Come sono ansiose...!, esclama l'ultimo capraio del pae­se, non senza un affettuoso disappunto verso quelle "anime terribili".

Resisti, Vincenzo, resisti ancora, lontano da quanti sono caduti nelle brac­cia di quella ricchezza artificiale che raggela l'uomo e pian piano ne estingue i primitivi valori.





Ignazio Maiorana, nato a Castelbuono, ha fondato (nel 1982) e dirige l'Obiettivo, quindicina­le siciliano del libero pensiero. Ha collaborato con emittenti televisive e radiofoniche. Dal 2000 coordina la Redazione del mensile regionale Sicilia Zootecnica. E autore di versi in lingua e in dia­letto (Alba, 1976; Poesie Siciliane, 1982; Faìddi, 1983); Appunti sul cuore, 2007; di opere tea­trali (Tatidddu 'u siggiaru, 1979; Cercasi cammarera, 1980; Don Nunziu Attanasio, 1981; Il contrabandiere, 1985); sordomuti, 2008; di racconti (Gente così..., 2003).


Italo. Storie di animali, a cura di Aurelio Caliri, Edizioni Arte e Musica, Siracusa 2012.



Da sx: Aurelio Caliri, Flora Restivo, Ignazio Maiorana, Piero Carbone.
Foto di Anna Ortisi.




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giovedì 8 novembre 2012

HO PIANTO PER FLORA



Racconto inserito nel volume collettaneo Italo. Storie di animali di prossima pubblicazione.


1.


Flora, la gazza ladra

                                     Racconto di Piero Carbone



Quella sera ho pianto.  
Per una gazza ladra. 
Nonostante mi vergognassi un po’ di quel pianto, ho appeso al muro della stanzetta una sua foto sotto vetro. E le ho dedicato una poesia. 
Quasi fosse una persona a cui può legarsi un ventenne.

            Ero studente universitario e mentre facevo un giro in bicicletta vidi un ragazzo che seduto su uno scalino giocherellava con un uccello dalle penne nere e dalla coda bianca. Era una scena abituale al mio paese vedere nel mese di maggio ragazzi trastullarsi con uccelli di primo volo o sottratti ai nidi dai genitori per regalarli ai figlioletti. – Lo vuoi? - mi disse quel ragazzo. – Tanto, lo devo buttare. – Lo presi.



            All’indomani, Flora, la gazza ladra che ancora non aveva messo su tutte le penne per volare, fece con me il suo primo viaggio dentro una scatola di scarpe bucherellata, da Racalò a Palermo. Una volta arrivati, le trovai una sistemazione nel soppalco della stanzetta al Pensionato universitario “San Saverio”. Comprai del fegato al vicino mercato “Ballarò”. Presi la piccola gazza dal soppalco, la poggiai sul davanzale della finestra e l’imboccai. Terminata l’operazione, la riposi nella scatola senza coperchio. Appena una breve pausa e subito a studiare. 

Si avvicinava il periodo più intenso dell’anno accademico con la sua raffica di esami. In tutto “San Saverio” i cervelli fumavano. Nel pomeriggio c’era un silenzio surreale. Io portavo avanti lo studio di tre materie contemporaneamente ma quella che mi appallava di più era la Teoretica. “Il pensiero che pensa se stesso e nel gioco dialettico con l’infinito misura la propria finitezza, etc. etc. etc.”. Roba da super intelligenti. O da depressi.



             Un rumore per fortuna mi distrasse. Mi girai verso il soppalco e vidi Flora scavalcare la scatola e dal soppalco lanciarsi verso di me. Planò sulla mia testa. Saltò sulla spalla, beccò i lobi senza orecchini, dalla spalla sul davanzale della finestra e infine sul terrazzo che ricopriva i quattro lati del porticato. La mia stanzetta era al primo piano, potei saltare anch’io sul terrazzo e riprenderla subito. Ma quando il giorno dopo ripeté la stessa acrobazia, la lasciai passeggiare, libera, sul terrazzo, sotto gli occhi rilassati degli studenti che si affacciavano dalle finestre dei quattro lati interni del Pensionato.



            Questo rito durò una settimana; qualcuno incominciò a mormorare; qualche altro sibilò che “l’amico dell’uccello nero dalla coda bianca” fosse esaurito o che addirittura avrebbe “soffiato” al direttore del Pensionato quella presenza animalesca, proibita dal regolamento. Gli impiegati della mensa, però, ogni giorno avevano la premura di mettere da parte frattaglie di carne per lo studente del primo piano. Fatto sta che appena gli studenti non videro per due pomeriggi di seguito la gazza ladra trotterellare sul terrazzo, vennero a bussare per chiedere sue notizie. 
Dissi che si era spezzata una zampetta. Una studentessa in medicina, con cui in seguito saremmo diventati amici, si offrì all’istante di rimediare e fissò la zampetta rotta con uno stecco rigido. All’indomani, con piacevole sorpresa, lungo il terrazzo, tutti gli studenti poterono vedere divertiti la gazza incerottata e più saltellante di prima.

            Dopo un mese la zampetta era perfettamente guarita e l’esame di Teoretica era andato benino. Mi rimanevano quelli di Filosofia morale e di Psicologia. Ero stanco, ma Flora mi teneva occupato e mi faceva distrarre.  Leggevo Kant quando la vidi volare per la prima volta. Prese un’altra abitudine: subito dopo il pranzo, andava ad appollaiarsi sul tetto del Pensionato e rientrava nella stanzetta nel tardi pomeriggio, all’imbrunire. Solo allora chiudevo la finestra. E mi sentivo in compagnia. 
Qualche volta le parlavo, specialmente alla vigilia degli esami, e avevo la sensazione che gorgogliasse qualcosa in risposta.

            Ma una sera, ahimè, ritornando al Pensionato, dopo essere stato in pizzeria per festeggiare l’esame di Psicologia, trovai una brutta sorpresa. Me ne accorsi appena aprii la porta della stanzetta, guardando la finestra. Avevo chiuso inavvertitamente le ante prima di uscire, non pensando che Flora era già volata, come d’abitudine,  sul tetto del Pensionato. Avrà sicuramente tentato di rientrare prima di sera; forse avrà sbattuto, facendosi male, contro i vetri della finestra chiusa. Speravo di trovarla sul davanzale, su uno dei quattro lati del terrazzo, o che addirittura si fosse imbucata in un’altra stanzetta con la finestra aperta. Attaccai perfino un avviso in portineria. Niente. Nessuno l’aveva vista.

            Nell’abbassare la serranda, prima di andare a letto, avvertii una specie di vuoto, quasi l’assenza di una persona vera. Piansi. Incominciai a scrivere. Riaprii la serranda, preparai il caffè, e rimasi più di un’ora a guardare e riguardare il terrazzo, il tetto del Pensionato, la palma immobile al centro del cortile sotto una bellissima luna.  



2.


                                               A Flora
 A la carcarazzòtta c’addrivavu / e nun turnà cchjù.
Alla gazzaladra che ho allevato / e che non è più tornata.

Fusti pi mia un suonnu.

D’unni vinisti un sappi,
un misi di vita assiemi
fusti ccu mia sullena;
duoppu ti nni scappasti.

Chistu un lu pozzu cridiri
né ancora oi lu sacciu
quali fu la to sorti:
la libbirtà o la morti.

Ma si si’ ancora viva
spirticchja e rumutusa,
nun ti scantari, torna,
un fàriti apprïari.

E allegrami li jorna.



Fosti per me un sogno. // Donde venisti non l’ho mai saputo, / un mese di vita insieme / sei stata con me giuliva;// dopo sei scappata. //  Questo non posso credere / né ancora oggi lo so / quale è stata la tua sorte: / la  libertà o la morte. // Ma se sei ancora viva, / scaltra e giocherellona, / non temere, torna, / non farti pregare.  // E rallegrami i giorni.  
                                                                                                             



3.

                  



Le foto 1e 3, molto recenti, sono di Giuseppe Sardo Viscuglia, fotografo "naturalista".
La foto 2, senza pretese tecnico-estetiche, ritrae Flora sul terrazzo del Pensionato Universitario "San Saverio" a Palermo, 1980 o 1981.