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mercoledì 23 marzo 2016

IL "MINIMO" DEL "MASSIMO". Un teatro al minimo? Quando è chiuso!

Principe: - Ebbene, allora?...Avanti,vieni al dunque.
Shakespeare, Enrico IV, Atto I, Scena II









Il minimo di un teatro? Quando è chiuso!



martedì 1 marzo 2016

TEATRO E TEATRANTI. TEATRO CHI? TEATRO CHE?! Il teatro, chiuso, di Racalmuto in pompa magna



Metz 2002


TEATRI APERTISSIMAMENTE CHIUSI 

Riesumazione di vecchie cronache (e polemiche) mentre il teatro è chiuso.
Quante domande ci sarebbero da fare?


ECHI DAL SITO:

È online il programma della stagione teatrale 2003/2004 del teatro Regina Margherita di Racalmuto, di cui Andrea Camilleri è direttore artistico. Fra i titoli in programma, venerdì 30 e sabato 31 gennaio 2004, La Signora Lèuca, libero adattamento di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale della novella di Luigi Pirandello Pena di vivere così (con Ida Carrara, Pietro Montandon, Ileana Rigano; regia di Giuseppe Dipasquale).

http://www.teatroracalmuto.it http://www.reginamargherita.supereva.it 
 Gran festa quasi pirandelliana per il Margherita
Dandini, Marchesini, Lodato, Burruano, Lo Giudice sotto lo sguardo di patron Camilleri
L'inaugurazione del teatro riaperto dopo 40 anni ma rimasto senza pubblico
La situazione l’ha praticamente fotografata Luigi Maria Burruano:
«Il pubblico è fuori, morto dal freddo, e sul palco c'è questo idiota qui che ha l'arroganza di parlare alle poltrone vuote».
E giù battute, una tira l'altra, AcquadiCielo chiama in ballo i «Pagliacci» e dirige un'orchestra, la «Franco Ferrara» di Palermo, con cui ha provato soltanto pochi attimi prima.
Ad apertura Tiziana Lodato si è dedicata a Sciascia, Anna Marchesini a Verga e Mariella Lo Giudice a Ugo Chiti. Serena Dandini va a braccio, legge Strehler e chiama in campo il direttore artistico Andrea Camilleri, salutato come «il presidente del Consiglio... dei teatri».
Si ride, si ascolta dentro la sala dei Teatro Regina Margherita di Racalmuto; fuori sono rimasti in pochi, decimati dal freddo, ad indicarsi gli attori proiettati direttamente su un muro della facciata.
Il teatro è bellissimo, i palchetti disegnati da Dionisio Sciascia, si ritorcono attorno ai divisori arabescati, dorature e velluti conducono al palco dove il sipario cremisi nasconde «I vespri siciliani» di Giuseppe Carta.
Le poltrone in sala, eleganti, imbellettate, vuote sembrano aspettare spettatori fantasma: non c'è bisogno di scomodare Pirandello per notare la situazione paradossale. Il pubblico batte i denti fuori, gli attori sono un po' spaesati dentro, la stampa occupa i palchetti, c'è qualcuno anche nel loggione, Camilleri segue sornione dal palco di proscenio, e interviene qua e là, solleticato da Annalisa Spiezie. La festa è iniziata a piazza Castello (e lì finirà sotto i fuochi d'artificio) in un tripudio di giocolieri, mangiatori di fuoco, angeli volanti e dame (le Muse) sui trampoli che conduce il pubblico - numeroso, diminuirà col passare delle ore - verso il teatro che, vedi caso o strategia, dà proprio su via Leonardo Sciascia.
Convitato di pietra, dello scrittore si sente la mancanza anche se Camilleri ricorda che «ha accettato la direzione artistica per saldare il debito che mi legava a Leonardo». E aggiunge, «lui avrebbe preferito di certo i racalmutesi in sala, al posto delle autorità. Beh, l'importante è che questa sala ridiventi una spugna di suoni e di parole».
Non sembra molto d'accordo all’idea di spostare la festa su un livello “virtuale”, ma accetta una soluzione dettata dal bisogno, lui stesso parla di «problemi tecnici e burocratici che hanno impedito l'uso della sala».
Davanti al portone del teatro, siciliani tra i siciliani, ecco il sindaco Gigi Restivo e l'assessore regionale Fabio Granata: resteranno fuori per tutto il tempo, rinforzando la decisione di non dividere la città «in buoni e cattivi, eletti e non eletti».
In tanti hanno potuto assistere e, a spettacolo finito, qualcuno si è persino riversato all'interno, magari solo per un'occhiatina.
Nei prossimi giorni, completati i percorsi burocratici, il teatro sarà definitivamente consegnato a Racalmuto che potrà coccolarselo a dovere.
Simonetta Trovato - Giornale di Sicilia, 16.2.2003
Egregio Direttore,
sarebbe stata un’ “idea” quella di inaugurare, dopo quarant’anni di chiusura, la riapertura del Teatro Margherita di Racalmuto con la sala vuota, è stata definita “pirandelliana”, invece ha messo a nudo semplicemente l’incapacità da parte degli organizzatori a gestire l’evento.
“Il pubblico è fuori, morto dal freddo, e sul palco c’è questo idiota qui che ha l’arroganza di parlare alle poltrone vuote” ha detto coraggiosamente Gigi Burruano.
Tutto questo avveniva venerdì 14 febbraio 2003, a soli tre giorni dalla “storica” visita del Presidente della Repubblica, di passaggio a Racalmuto per una preinaugurazione a porte chiuse del Teatro.
E’ un vero peccato per Racalmuto avere trascinato nella magra figura nomi come Camilleri, Di Pasquale, Cavallaro, Giambrone, attori come Anna Marchesini, Serena Dandini, Tiziana Lodato, Mariella Lo Giudice, Gigi Burruano, il maestro Caruso e financo l’assessore regionale alla Cultura Fabio Granata.
E’ vero che su tutto questo, il celebre scrittore Andrea Camilleri, direttore artistico del Teatro Margherita, ci ha scherzato su. Lui babbìa. Ma i racalmutesi credo non siano d’accordo.
Anzi, visto che pagano le tasse,vorrebbero sapere quanto è costato questo babbìo per una falsa e farsesca inaugurazione.
La cantante Raina Kabaiwansca (invitata, come gli altri artisti del resto, gratis o a pagamento per una sala vuota?) dinanzi alla sala vuota si è rifiutata di cantare. Non solo, ma, colpo di scena!, i previsti spettacoli a pagamento su prenotazione di sabato 15 e domenica 16 febbraio, cioè all’indomani dell’inaugurazione a porte chiuse, non hanno avuto luogo a causa della mancata agibilità definitiva.
Se non è stata leggerezza degli organizzatori, cosa sarà stato mai?
E che cosa è venuto ad inaugurare allora il Presidente della Repubblica?
I mezzi di informazione hanno dato la notizia della “non apertura” senza alcuno scandalo, senza alcuna critica, senza alcuno sprone. Dunque, abbiamo scherzato!
Chissà cosa avrebbe scritto Sciascia.
Camilleri si è rammaricato che ben 250 teatri rimangono ancora chiusi in Italia eppure per quello di Racalmuto ha detto: “E la nave va, è partita!”.
Oltre il danno, la beffa.
Capisco che lui, di Porto Empedocle, di navi se ne intende, ma non è generoso far credere ai terrigeni racalmutesi, e non solo a loro, di veleggiare sul mare dello spettacolo e della cultura con una nave ferma ammirata per giunta dalla banchina ovvero con un teatro chiuso.
Chiuso, nonostante le strombazzate e costose pluricerimonie di apertura.
Altrimenti finisce che, col solito sofisma “alla siciliana”, tra una nave ferma e una in movimento non c’è proprio differenza. Con un particolare: il biglietto, in un modo o nell’altro, finisce che lo paghiamo sempre.
Piero Carbone - Racalmuto
 Aperto il teatro dell'assurdo
La rivoluzione del teatro operata dall'agrigentino Luigi Pirandello era arrivata a concepire sei personaggi in cerca d'autore, ora a inventare attori e orchestra che si esibiscono davanti ad una platea vuota, non per mancanza ma per eccesso di pubblico, ci hanno pensato in provincia di Agrigento, all'inaugurazione del Teatro Margherita diretto da Andrea Camilleri nella Racalmuto di Leonardo Sciascia.
La versione ufficiale propone una strana concezione della democrazia: o tutti o nessuno. E poiché il teatro appena restaurato non poteva contenere un'intera cittadinanza, con l'aggiunta degli ospiti, si è scelto di fare esibire attori, suonatori e cantanti davanti alle poltrone vuote. I
l pubblico stava altrove, all'esterno davanti ad uno schermo, a godersi le immagini riprese da un solerte epigono del pirandelliano Serafino Gubbio operatore. Avanguardia dell'avanguardia? Recita al vuoto? La solitudine delle maschere? Una trovata comica? Oppure una pietosa bugia?
Certo è che la soluzione ha tutta l'apparenza di una involontaria parodia autopunitiva per i proclami, per l'enfasi data all'avvenimento, per aver scomodato tante personalità, compreso il presidente Ciampi, tante glorie e tanti ricordi. Uno spiritello maligno si è vendicato rendendo inagibile il teatro.
Ed è finita in una sorta di commedia dell'assurdo. Del resto quando ci si affida ad un geniaccio come Camilleri tutto è possibile.
Non è stato lui a scrivere «Il birraio di Preston»? Un romanzo in cui per una recita succede di tutto.
La differenza è che ieri l'azione non si svolgeva nella Vigàta immaginaria dello scrittore, ma nella Racalmuto reale.
Salvatore Scalia - La Sicilia, 15.2.2003






Misteri: 
qualificato come Fondazione e come tale amministrato per alcuni anni con tanto di Consiglio di amministrazione Presidente, Consiglieri etc. ma... Fondazione non era! E' certificato.
E un consigliere di codesta, supposta Fondazione una volta mi disse, additando il teatro a parecchi chilometri lontano: "Io mai ci sono andato".
!

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sabato 16 febbraio 2013

IL DRAMMA DI TAZIO CAPIZZI E IL TEATRO CHIUSO





Un cane abbaia dentro il teatro chiuso. Surreale? Pirandelliano? Vero?






RECITARE LA VITA, RECITARE LA MORTE


            Si faceva sempre tardi dopo l'ultima proiezione al cinema. 
            Filippo e Martino detto Tinè commentavano il film visto ed erano abbastanza accalorati in prossimità dell’Abadiola. Come d’abitudine, quando arrivavano davanti al teatro, si separavano: uno proseguiva in direzione della Villa comunale e l’altro intraprendeva la salitella del “Purgatorio”. 
             Facevano sempre così.
            Quella volta a  Filippo il film era piaciuto semplicemente perché il protagonista andava su una Vespa e a lui piacevano i motori ma Tinè avrebbe voluto più azione, più movimento, qualche inseguimento, il picciotto che non moriva mai e almeno una scena d’amore.
            -  Anche le parole sono azione, - argomentò Filippo, - dipende dalle parole che si dicono, come  e quando si dicono. E poterle dire è già un miracolo.
-                   Ma Tinè, gesticolando, dissentiva e alzava la voce. La piazza dell’Abadiola solitamente era deserta, semibuia, e il teatro chiuso da anni.


            Erano fermi davanti al grande portone istoriato del teatro quando in un momento di silenzio, che avrebbe dato nuovo impulso alla discussione, sentono abbaiare. I latrati, a singhiozzo,  sembravano vicini. Ma erano come attutiti, potevano essere anche lontani: continuavano cadenzati. 
Filippo e Tinè lasciando perdere la discussione sul film tesero l’orecchio per indovinarne la provenienza. Poi si guardarono negli occhi meravigliati per interrogarsi e rispondersi reciprocamente: un cane dentro il teatro?! 

Accostarono l’orecchio al portone di ferro: ne ebbero conferma. Sebbene il teatro fosse inaccessibile. Sapevano che il teatro moderno introduceva bizzarrie, e gli attori si agitavano, ma fino a questo punto!
Né poteva essere  una comparsa  canina nel bel mezzo di una recita notturna.  Il teatro era chiuso. L’ultima rappresentazione risaliva a oltre quarant’anni fa. Forse qualche cane randagio si era intrufolato, improbabile tuttavia perché in attesa dei restauri il teatro era stato recintato, le porte erano sigillatissime, qualcuna addirittura murata.

            Strutture bucherellate in ogni ordine di palchi, lungo i corridoi stormivano fronde di alberi altissimi, divelti gli applicchi, sfondate le poltrone, brandelli di tela, fili penzolanti, locandine ammuffite, il tetto odorava di stelle e il pavimento di umida terra, agli angoli pietre accatastate e ortiche. Era in questo stato il teatro, in attesa di tornare agli antichi splendori, eppure a Filippo e Tinè, oltre ai latrati, parve di udire qualcuno, anzi, dal tono studiato della voce, che recitasse.
      Ssst!
      Ssst! Aspetta aspè.
            Si incollarono al portone.
            - Senti, senti, Tinè!
            - Sento, sento, Filì.




            “Signori, quando avrò da parlare, tacerò; quando da tacere, griderò. No. Non dico. Taccio. Del silenzio ho paura. Me ne fotto dei modelli, per non essere fottuto. Io insisto all’eversione, quando l’uomo è forte. La mia stagione preferita è la simulazione…”.

-       Che strane parole! – commentò Filippo.
-       A me pare più strano che a dirle sia Tatà! – integrò Martino detto Tinè.
-       Certo che non è normale recitare al buio davanti alle sedie vuote.
-       Con un cane che abbaia.
-       Ma è sicuro Tatà?
-       La voce è quella sua. E’ la sua cadenza.
-       Ma non l’abbiamo visto ieri sera in piazza? Ricordi?
-     Eccome no! Finita la vampa di San Giuseppe si è messo a salutare tutti, abbracciava, stringeva la mano a conoscenti e non conoscenti, come se dovesse partire, ma non si è capito per dove. Aveva una carpetta sotto il braccio.


            Mentre sussurravano i loro dubbi, sembrò di non udire più nulla. La voce di Tazio non poteva essere: vollero pensare che dopo la vampa se ne fosse andato a casa assieme al pastore belga che lo seguiva ovunque. E a casa sua immaginavano che fosse. 
            Comunque, era già tardi. 
            Si staccarono dal portone e se ne andarono anche loro. 
            Si diceva  che dopo la morte della madre, con la quale conviveva, Tazio avesse dato segni di squilibrio, ma fino a tal punto? Che fosse vera la voce di averlo visto dormire su una lastra di tomba al cimitero? Senza parenti prossimi, solo al mondo, si sarà visto perso, sempre in attesa di un impiego che non arrivava mai, con un inutile diploma in tasca.

            Arrivati a casa, Filippo e Tinè non potevano chiudere occhio. Quelle strane parole, il latrato del cane nel teatro chiuso, il repentino silenzio, e loro che erano andati via tranquillamente. Qualcuno poteva avere bisogno del loro aiuto. Il rimorso li spinse a fare qualcosa. Dopo una telefonata angosciosa  per mettersi la coscienza in pace reciprocamente, presero la decisione di avvisare subito i carabinieri.   

            Dopo mezz’ora, la pattuglia formata dal maresciallo e da due appuntati, dopo avere constatato un silenzio assoluto nei pressi del teatro, andò a bussare insistentemente alla porta di Tazio Capizzi. Perché non rispondeva? Occorreva assicurarsi che non rispondeva perché immerso nel sonno profondo, e per accertarlo il maresciallo diede ordine agli appuntati di chiamare i pompieri e di avvisare il sindaco per procurare le chiavi del teatro. Nel pieno del sonno il sindaco sobbalzò ma le chiavi non le teneva con sé, il sindaco fece avvisare il dirigente che a sua volta avvisò l’impiegato e questi i manutentori. In tante case si creò un notturno trambusto tra imprecazioni, passi strascicati, odore di caffè e compassione per il povero Tazio che chissà cosa gli era successo.


            Intorno alle due di notte si ritrovarono tutti all’Abadiola. 
            Sopraggiungevano nel frattempo la sirena e i lampeggianti dei pompieri ai quali, nella concitazione, per sbaglio era stata data l’indicazione del teatro che loro ben conoscevano e non dell’abitazione di Tazio che si trovava in un cortiletto internato del centro storico. Al passaggio si illuminarono alcune finestre. Non si poteva continuare a dormire  senza sapere cosa fosse successo: un incendio? un crollo? e dove?
            Si radunò una piccola folla. I manutentori infilarono la chiave nella toppa, ma andava a vuoto, provarono nel catenaccio ma questo non si apriva, gli occhi del sindaco fulminarono il dirigente che a sua volta rimproverò i sottoposti; gli altri mormoravano. I pompieri avevano soltanto piccozze e accette.
            - Qui ci vuole la tronchesina, - dissero i manutentori.
            Dove procurarsela a quell’ora di notte? Ci pensò Bertino, che aveva l’officina a due passi: finalmente tranciarono il catenaccio e spinsero piano piano il portone. 

            Quando furono dentro il teatro, dimenticarono per un momento il motivo per cui  si trovavano lì, rimasero  come incantati; sindaco, carabinieri, impiegati, pompieri, curiosi, tutti col naso all’insù: al posto del tetto si vedeva il cielo, a terra calpestavano erba, addossati alle pareti sbrecciate giganteschi alberi appena smossi dal vento. L’oscurità non faceva distinguere altro. Sembravano rovine. Sembrava campagna.  Poi i fari delle macchine spararono dentro la luce e illuminarono ogni cosa con violenza. Oh, che nisce! Ovunque nisce, polvere, ragnatele, precipitavano a festoni, si inarcavano come vele al minimo refolo. Un cane abbaiò brevemente e andò a nascondersi. Al centro del palcoscenico stava appeso ai cordami di scena un lungo fagotto che oscillava  come un battaglio di campana, a terra  una carpetta, fogli sparsi.

            Con uno sguardo, Filippo e Tinè capirono: Tazio aveva voluto recitare il suo dramma prima di morire.
            Nelle tasche gli rinvennero un foglietto con le ultime volontà: non nutriva rancore per nessuno, voleva raggiungere la madre, desiderava un funerale con la banda musicale e i fuochi d’artificio. 
             Insomma, se non l'aveva avuto in un teatro chiuso, al funerale avrebbe voluto un pubblico vero. 




Foto proprie.
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