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mercoledì 30 dicembre 2015

LE NEVIERE DI RACALMUTO. IERI. OGGI. E DOMANI? Conversazione con Calogero Taverna


Ieri





Oggi






"L'altra neviera" di Calogero Taverna

Quella del Raffo o di San Mattè era la neviera che conoscevo e alla quale si riferisce il documento riportato nell'apposito post, ma Calogero Taverna, nel corso di una conversazione, con la solita verve e il solito impegno "civico" che mira a valorizzare la nostra storia e il nostro territorio, ci fa sapere di una seconda neviera. 
Entrambe le neviere sono private ma una lungimirante politica si periterebbe di valorizzare il patrimonio collettivo e che va oltre le scansioni delle private particelle catastali, basti pensare ai cinque o sei mulini ad acqua disseminati nella vallata del Raffo: potrebbero far parte di un sentiero inedito e dalle notevoli potenzialità turistiche e quindi economico-produttive: a Roccapalumba lo fanno.



- Ne conosco una di nivera al lato nord del Castelluccio, sempre più cadente; un figureddra di la "Mmaculateddra' nella dismessa curva di "Caracuollu" tra breve al macero.
Questo Comune, con tanti bravi murifabbri pronti a far qualcosa come hanno dimostrato nel recupero del bordo dell'odiata fontana della Piazzetta , non ha neppure il destro di un semplice atto di pietà conservatrice. Che cavolo di amministratori abbiamo avuto, abbiamo ed avremo a Racalmuto. Tutti buoni a parlare, nessuno che si svegli per "fare". Insomma, si vuol dare ragione a Tommasi di Lampedusa!

- Grazie per l'apprezzamento. Ho trovato interessante il commento sulle neviere dove ne menzioni un'altra oltre quella del Raffo.

- Sì, sta, come ti ho detto, al Castelluccio, credo nelle terre abbandonate dell'avvocato Vinci. E' più complessa di quella del Raffo. Peccato che si stia tutta diroccando.
- Bisognerebbe fotografarla.

- A suo tempo con l'architetto Romano l'abbiamo strafotografata e messa in un depliant pubblicitario.

- Benissimo, almeno c'è la documentazione fotografica.

- Ma sarebbe bene che te la prendessi tu in cura. Io ho 82 anni e si cci sugnu oi nun cci sugnu dumani.

- Non dire così, sei più "giovane" di tanti che lo sono anagraficamente; proprio domani avrei intenzione di mettere a confronto le foto della neviera del Raffo nelle condizioni di ieri e di oggi, col tuo permesso vorrei inserire il commento che hai postato sul blog dove parli della seconda neviera.

- Ne sono lusingato.

- Grazie a te.


Link correlati:

Il mulino Fiaccati di Roccapalumba

Il recupero di San Mattè

Ph ©piero carbone

lunedì 5 ottobre 2015

ANNUNCI VIRTUALI O FINTI? E PERCHÈ? A proposito del vecchio post "Lettera aperta alla Fondazione 'Leonardo Sciascia' per il neoeletto Felice Cavallaro". Duetto con Calogero Taverna

archivio e pensamenti: LETTERA APERTA ALLA FONDAZIONE "LEONARDO SCIASCIA" PER IL NEOELETTO FELICE CAVALLARO



Nel riproporre qualche giorno fa su facebook il post sopra linkato "Lettera aperta alla Fondazione etc" introdotto da due semplici domandine "Chi l'ha visto? La vita è tutta un web?", Calogero Taverna, citato mesi e mesi fa sul web dal neo eletto consigliere-tesoriere della Fondazione "Sciascia" Felice Cavallaro,  assieme a tanti altri, quale possibile risorsa da valorizzare per potenziare l'attività culturale della Fondazione Sciascia, ha giustamente precisato che dopo quel pubblico proposito nessuno si è fatto più sentire.

Per dimenticanza o perché la Fondazione ha nel frattempo trovato in sé tutte le energie e risorse sufficienti per il conclamato rilancio? O sono stati contattati soltanto alcuni? Se così fosse, perché degli altri si è fatto il nome senza accertarsi preventivamente della loro disponibilità? (Questo metodo mi ricorda fatti antichi).

Poiché mi sono trovato nella stessa situazione di Taverna, ho ritenuto per solidarietà di fare eco alla sua precisazione, visto quello che nel frattempo è accaduto nei fatti e nei giornali dove sono fioccate altre reboanti proposte-invito che, sebbene generiche e al di là di ogni recondita intenzione ed efficacia, risultano un tantinello poco rispettose per le persone tirate in ballo precedentemente, considerandole prima risorse per poi non interpellarle mai più!

RISORSE E VIRTU' (SOLTANTO) ANNUNCIATE?
Commenti su fb
    • Lillo Taverna Son passati sei mesi ed ancora aspetto la convocazione minacciatami.
      • Piero Carbone questo ci fa capire, a parte la correttezza e direi il galateo, quanta reale intenzione ci fosse dietro, ma la cosa, secondo me, più grave o più comica è che altri sostenitori a suo tempo, anche sulla stampa, della nomina del Cavallaro a consigliere-tesoriere auspicano oggi il ricorso alle risorse al di fuori degli organismi della Fondazione stessa. Ma non era stato già fatto dal Cavallaro con un programma-proclama? O vuol dire che coloro che eravamo stati nominati prima siamo "superati" e saremo rimpiazzati e scavalcati senza neanche essere stati mai interpellati realmente, senza mai essere stati in sella insomma. O mossa di distrazione è? per non risalire alle responsabilità di chi ha dimenticato di presentare l'istanza alla regione siciliana per il contributo dei cianquantamila euro andati in fumo... Son codesti i frutti del rilancio promesso? I consiglieri, i sostenitori di allora, non hanno nulla da dire? Nessuna ammenda? Che cattiveria pensare ciò!

martedì 31 marzo 2015

UN CALZOLAIO IN PIÙ O UN EROE IN MENO? Leva dei ricchi e stratagemmi dei poveri

Al calzolaio di Eduardo Chiarelli non sarà andata giù che in paese ad essere arruolati per andare a morire in guerra fossero soltanto i poveracci, i figli del popolo, contadini, minatori, artigiani, piccoli commercianti etc., mentre i figli di papà, ricconi o ammanigliati con il potere,  come sostiene Calogero Taverna sulla scorta di specifiche ricerche (su cui prossimamente varrà la pena ritornare a riflettere),  rimanevano in paese, dal momento che alla visita medica venivano dichiarati "riformati" e quindi inabili al servizio di leva o al richiamo per andare dritti dritti al fronte.

Chi ricco o potente o amico di potenti non era e non era per natura "difettoso", poteva tentare di farsi riformare ugualmente menomandosi in qualche modo, e a quanto pare uno dei modi era quello di farsi cavare un occhio: chissà se ve ne sono stati di questi casi a Racalmuto o a Palermo?




E' vero che l'occhio cavato li risparmiava dal militare o dalla guerra ma è anche vero che per questo "privilegio", i cittadini meno abbienti pagavano un prezzo salato, come se il "non militare" o la "non guerra" scontassero per tutta la vita.

Il calzolaio, protagonista del racconto di Eduardo, era purtroppo svantaggiato dalla sua bella costituzione fisica che lo faceva apparire financo prestante e forse non sarebbe bastato il sacrificio di un occhio solo per essere credibilmente "riformato". Eppure...  rimase integro e vi riuscì ugualmente. Vedremo come.

Eduardo, pur nel rispetto di chi in guerra è andato, e vi è morto, come è accaduto a qualche suo familiare, è portato a disincantate riflessioni sull'agire umano.
         ( P. C.)


Banchetto di lavoro (vancarieddru) del calzolaio (mastru scarparu)
esposto al museo etnografico di Palazzo Giandalia a Castronovo di Sicilia. Ph ©archivioepensamentiblog


Lo "scarparo" che non partì per la guerra
di 
Eduardo Chiarelli

Oggi come oggi è il Presidente della Repubblica in persona a riceverli, e i funerali sono celebrati con grande pompa, ai Fori Imperiali. Ma nonostante tutto, i morti rimangono morti , e il dolore straziante delle loro Mamme sempre lo stesso.


*


Era troppo alto e robusto per essere uno scarparo! Ma perché, si chiederà qualcuno, i calzolai dovevano essere per forza tutti gracilini, scardebbuli o n´ticchinuti?

Ebbene sì, a quei tempi, tutti coloro che non fossero sufficientemente forti da sopportare il duro lavoro dei campi, o delle miniere, erano mandati fin da bambini dal sarto, dal barbiere, o dal calzolaio per imparare una professione .

Lui aveva la sua bottega vicino casa mia e per tutti era “lu mastru”.

Spesso mi chiedeva di andargli a comprare le sigarette, compito che svolgevo volentieri visto che mi era molto simpatico , ma la cosa che più mi piaceva in lui era il fatto che, nonostante avesse l´età dei miei Nonni, non mi trattava come un bambino, e cià mi lusingava.

Seduto nella sua bottega che odorava di colla e di cuoio, stavo ad ascoltarlo per ore, le storie che più mi piacevano erano quelle sulla guerra, che raccontava con tono grave, con ricchezza di particolari , ma sopratutto con obiettività. Sembrava non metterci nulla di suo, quando finiva di raccontare era come se dicesse: così è stato! adesso tirate voi le vostre conclusioni.

Non era un uomo istruito eppure sono sicuro che certi sedicenti giornalisti laureati avrebbero potuto imparare tanto da lui.

Una volta mi raccontò di quando ritornato da una breve licenza, arrivato in caserma, fu informato che il suo nome figurava nella lista di coloro che dovevano partire per la Russia.

Non si sapeva molto sulla campagna di Russia, poiché i pochi che ritornavano erano tenuti in contumacia, il Comando taceva, e i giornali, continuavano a parlare di inarrestabili avanzate e gloriose vittorie, ma i soldati sapevano che in quelle gelide lande si stava consumando un'immane tragedia.

Così il nostro calzolaio, spinto forse dall'istinto di sopravvivenza, chiese d´essere ricevuto dal comandante di compagnia.

Prima però andò in camerata, prese il fiasco dell'olio, un sacchetto di fichi secchi e due carte di pasta, che aveva portato da casa e con quelle cose in mano entrò nell'ufficio del comandante.

Questi nel vederlo entrare con quel ben di Dio saltò dalla sedia, e per tutto il tempo che il soldato parlò non distolse lo sguardo dalle cibarie neppure per un istante.
Alla fine, prima di ritirarsi, posò tutto sul tavolo del Capitano, e raccomandandosi di controllare meglio la lista, e vedere se non c'erano stati errori, salutò militarmente e uscì.

In Russia non ci andò mai, e rimase fino alla fine della guerra a fare scarpe e scarponi.

Adesso non sarò io, seduto sulla mia comoda poltrona, a giudicarlo! Di cosa potrei accusarlo poi? di viltà o di scaltrezza ? Che differenza avrebbe fatto un cadavere in più abbandonato nella steppa?

Forse sarà meglio fare come lui mi ha insegnato . Questo è ciò che accadde, ognuno tragga le proprie conclusioni.


Didascalia di  Eduardo Chiarelli.
"Questa foto ritrae mio zio Vincenzo (quello più alto) insieme ad un commilitone;
è stata scattata poco prima di partire per la 
Russia."


sabato 21 febbraio 2015

ATTENTI A QUEI DUE, SECONDO L'ANONIMO






Signor Cavallaro apprezzo la sua genorisita e l’impegno di coinvolgere tutti per valorizzare Racalmuto,pero coinvolgere Carbone e Taverna persone che contestano lapiu piccola decisione mi sembra fuori luogo.



Commento anonimo di Anonimo pubblicato, dopo l'approvazione redazionale, in coda all'articolo che contiene le ecumeniche intenzioni programmatiche di Felice Cavallaro, giornalista del Corriere della sera in pensione, all'indomani della sua elezione a segretario tesoriere della Fondazione "Leonardo Sciascia" di Racalmuto, contenute nel suo articolo: "Fondazione Sciascia, le idee di Felice Cavallaro: “Operazione porte aperte”' ("Malgrado tutto, 19 febbraio 2015)


Screen shot



Taverna e Carbone sono rei di parlare, rei di fare cultura e di possedere due armi di distruzione di massa, gli artigianali blog "contraomnia Racalmuto" e "archivioepensamenti" dove scrivono.
Servono altri capi di accusa per condannarli?



E se Carbone e Taverna  avessero ragione?
In via ipotetica non si può escludere. L'Anonimo lo esclude. E se fossero persone avvedute? L'Anonimo lo esclude. 

E se hanno ragione, come si giustifica semmai il silenzio o il frastornato assenso che c'è attorno alla scelta di Cavallaro e alle sue dubbie e sicuramente poco trasparenti modalità? Mi riferisco alle modalità di composizione e ai tempi di proposizione della terna.

Calogero Taverna mette in guardia dalle mille insidie burocratiche e finanziarie che insidiano la Fondazione e si strappa l'anima affinché se ne colga la gravità e si appianino. Questa sarebbe contestazione di minuzie? 

A poche ore dalla votazione, tanti politici in carica e non, sentiti telefonicamente, riguardo alle modalità statutarie e ad eventuali altre incongruenze, dicevano di non saperne nulla e affermavano candidamente di cadere dalle nuvole, ma tanti altri che ne avevano contezza hanno ugualmente taciuto. Perché? 

Solo voci isolate, isolatissime. Alcuni si sono esposti e hanno avuto le... forze morali per parlare. Ma non bastonateli per carità! Almeno taccia dopo chi ha taciuto prima. 

Quante altre cose ci sarebbero state da chiarire! 
E' mai credibile, o normale, ad esempio, che si propongano tre personalità per una carica senza che le persone interessate ne sapessero nulla e non avessero dato preventivamente la loro disponibilità e lo apprendano, con sorpresa, non si sa da dove né quando, come candidamente confessa Cavallaro? 
"Quando appresi della “terna”, cosciente delle grandi qualità del poeta e del critico, sperai nella saggezza dei grandi elettori..."
  E intanto i 60 giorni di tempo utili per la votazione scorrevano. E se qualcuno fosse stato eletto e non avesse  accettato o per qualche incompatibilità o impedimento non avesse potuto accettare? 

Chi ha interesse a tacitare i problemi che, da diverse specole, vengono sollevati? 

E non dimentichi l'Anonimo e chi si trova nella sua situazione che il passato è un criterio per valutare la validità o la credibilità di ciascuno. 

Va notata una piccolissima differenza tra 

chi, unitamente a decine, a centinaia di giovani, adulti, anziani, colti e meno colti, casalinghe e laureate, laici ed ecclesiastici, insegnanti, impiegati, contadini, minatori, pensionati, disoccupati,  studiosi, sportivi, emigrati... ha cercato di essere attivo, di valorizzare il paese, la sua storia, le sue feste, le sue tradizioni, le sue foto, le sue carte, le sue radio, i suoi "fogli" cittadini, la sua arte, i suoi gruppi folkloristici, le sue pietre, le sue fontane, le sue chiese, i suoi castelli, il suo teatro, le sue campagne, le sue miniere, i suoi dolci, il suo vino, le sue tradizioni,  i suoi emigrati, i suoi tenori, i suoi scrittori e uomini d'ingegno, i suoi poeti, i suoi eretici, i suoi santi... non a scopo di lucro o strumentalmente per conseguire cariche, 

e chi questo non lo ha fatto o non lo ha fatto con le stesse disinteressate modalità.

Pertanto, riguardo al già fatto va dato atto a Felice Cavallaro che ha  riconosciuto l'impegno di tanti racalmutesi che si sono prodigati in mille iniziative, anche se di tanti, di molti, non sa.

Avere un futuro dietro le spalle potrebbe essere un triste e malinconico bilancio ma avere un passato pieno di tante cose è una inalienabile ricchezza. C'è bisogno di citare Vittorini che definiva triste la situazione di chi non può attingere nulla dal suo passato?
Anche per questo essere anonimi non ha senso, non si sa chi parla, ammesso che dietro questo anonimo ci stia una persona reale e non sia una finzione, come qualcuno in rete va ipotizzando.


I citati Carbone e Taverna, da cui l'Anonimo mette in guardia il neosegretario tesoriere Cavallaro, e  sicuramente non solo da loro, lo creda bene l'Anonimo, hanno anche un passato da difendere per la semplice ragione che qualche cosa in passato l'hanno fatta e non aspettavano certo né Cavallaro né altri per esistere, per fare quello che assieme a tanti altri hanno sempre fatto,  né hanno voglia e tempo di esibire manfrine per acquisire benemerenze ai suoi occhi, ben contenti invece di collaborare con chiunque si metta a disposizione del paese non necessariamente supportato da cariche o incarichi e non soltanto nei dì di festa. 

venerdì 30 gennaio 2015

DIPINGENDO TRA LE PARROCCHIE DI RACALMUTO





Manca la data finale che ha chiuso la vicenda di Alfonso Puma
come uomo come sacerdote come artista: 2 gennaio 2008.
Una data che si schiude al ricordo. Triplice ricordo.








Links correlati








Testi e immagini dal catalogo della mostra: Alfonso Puma,  La natura delle cose, Auditorium "Santa Chiara" (Racalmuto),  5 - 16 luglio 1991

giovedì 15 gennaio 2015

LIBERTÀ DI STAMPA VÒ CERCANDO



...libertà va cercando, ch’è sì cara, 

come sa chi per lei vita rifiuta 

Purgatorio, canto I, vv 71-72)


Ho letto ieri su fb una riflessione disincantata di Pietro Ancona sull'informazione e l'indipendenza della stampa ovvero dei giornali(sti) e mi sono ricordato di altre riflessioni convergenti di tanti anni fa.
Mi è sembrato opportuno riportarla sul blog assieme ai commenti e alle riflessioni che  ha sollecitato.
Purtroppo un'amara morale se ne ricava: non sempre le grida di allarme e i consigli anche di voci autorevoli sortiscono gli effetti desiderati, anzi...
Colgo l'occasione per ringraziare Roberto Salvo per avermi segnalato su fb la presenza di Pietro Ancona a cui va dato il merito di utilizzare la rete come un mezzo democratico per riflettere e far riflettere senz'altro scopo se non quello di essere coerenti principalmente con se stessi.





Pietro Ancona
La libertà di stampa non esiste: credete che un giornalista che la pensa come me possa scrivere sulla Stampa di Torino, o sul Corriere della Sera o su Repubblica?
I giornali sono strumenti politici ed economici di gruppi politici o economici.
Non solo la stampa non è libera ma produce danni immensi alla democrazia con la manipolazione della verità

Giovanni Salvo
Ma va' !

Piero Carbone
Proprio per questo, nel 1982, Sciascia assegnava alla stampa minore o di provincia, che riteneva necessaria, il ruolo di fare opposizione al potere. Quella "maggiore" è infatti costituita dai giornalisti grafici pubblicitari stampatori distributori professionisti che vivono di solo giornalismo e "quindi" non possono disattendere le aspettative o gli ordini o gli interessi del padrone-datore di lavoro altrimenti rischiano di non portare il "panuzzo a casa", di non fare carriera. 
La stampa di provincia, invece, legata ad entusiasmi o a rabbie o a sogni e che si regge sul volontariato e non dipende da nessuno per campare o semplicemente per esistere,  è precaria, aleatoria, provvisoria, "debole", ma libera, l i b e r a, poiché da nessuno dipende e NULLA pretende!!! 
Tutto il contrario quando anche la stampa minore di provincia, senza averne neanche il "bisogno", scimmiotta la "maggiore" e diventa intollerante a sua volta e asservisce l'informazione al potere o alla convenienza magari per conseguire utili "conoscenze" incarichi vari presidenze in consigli di amministrazione sindacature assessorati etc. o finalizzandola alla lucrosa pubblicità. 
Tradendo, con un tal procedere, Sciascia, e la mission stessa della stampa minore che dovrebbe rappresentare un faro nella notte verso cui tendere le grandi navi dell'aperto mare!

Lillo Taverna
Caro Piero, se parliamo di uno Sciascia scrittore sgoliamoci a lodarlo... ma penso che bisogna fermarsi lì. O meglio, spero che accantonando "Ambrroase" et similia, sviluppando il Montalbàn, recuperando il ruolo culturale non familista della Fondazione, consentendoti di sviluppare il tuo pensiero e via discorrendo si potrà resuscitare Sciascia Leonardo. 
Mi sento un grande dissacratore e quindi ribadisco: così come Sciascia si fece facoltoso parlando male di Racalmuto, Racalmuto deve trovare sbocchi economici ... parlando bene di Sciascia. Con buona pace di un tal Di Grado che una volta scrisse un elzeviro di tono opposto.

Piero Carbone
Per certi aspetti, concordo, e ciò infiammerà, come sappiamo, i presunti detentori, interessati, della presunta ortodossia... ma resta sempre in piedi l'indicazione per la stampa minore di fare opposizione! 
Solo che l'opposizione comporta più perdite che guadagni, e molte rinunce. 
Resta in piedi il principio, nella pratica poi potrebbe essere un'altra cosa per chi si professa sostenitore di quei principi e, sulla stampa, se ne fa banditore.




Foto: ©pierocarbone

sabato 10 maggio 2014

LA MINIERA DEI MODI DI DIRE A RACALMUTO 4 Lu munnu chianu chianu





I precedenti post:

LA MINIERA DEI MODI DI DIRE A RACALMUTO 1
Sulla genesi di questa raccolta:
http://archivioepensamenti.blogspot.it/2013/11/la-miniera-dei-modi-di-dire-racalmuto-1.html

LA MINIERA DEI MODI DI DIRE A RACALMUTO 2
http://archivioepensamenti.blogspot.it/2013/11/la-miniera-dei-modi-di-dire-racalmuto-2.html

LA MINIERA DEI MODI DI DIRE A RACALMUTO 3
http://archivioepensamenti.blogspot.it/2014/03/la-miniera-dei-modi-di-dire-racalmuto-3.html

Gaetano Cipolla, Learn Sicilian - Mparamu lu sicilianu, Legas



Trascrizione a cura di Calogero Taverna

1. Quannu era sana la tò pignatedda
lu primu fuvu iu ca cucinavu,
ora ca ti la ruppi la scutedda:
mangiati amici mia ca mi sazziavu.

1. Bedda p’amari a tia persi lu suonnu
ca è la cosa cchiù bedda di lu munnu.

1. Bedda p’amari a tia di notti viegnu
e nun mi curu si chiovi e mi vagnu.

1. Ludia brutta facciazza di mulu
tu va diciennu ca t’ha’ mmaritari,
nun n’ha né robba nemmenu dinari,
cu è ddu sceccu c’havi a pigliari?

1. Bedda ca di li beddi la bedda siti
ca di li beddi bannera purtati.

1. Bedda ca sì rappa di racina
lu cori ti mangiassi a muzzicuna.

1. Quannu nascisti tu nascì na rosa
lu suli si firmà a la tò casa.

1. Bedda ca di sì m’aviatu dittu
nun c’arrivasti a cunzari lu liettu.

1. Si sì vera fimmina di nasu
m’ha’ a diri unni sta lu vientu appisu.

1. Matri ivu a perdiri la testa
pi nna truiuzza, ‘mpami e tosta.

1. Di nnomu ti cangiasti traditura
di zappa ti chiamasti matacona.

1. La cosa è già bedda e caputa,
lu sceccu nin si pungi a la muntata.

1. Lu sienti ca sona la campana
la pesti è junta a li mulina.

1. Aviti la facciuzza comu un piriddu
e la vuccuzza n’anidduzzu
siti ‘mpastata di zuccheru e meli
mmiatu l’omu ca spusa a vui.

1. Quannu arrivu dda bbanna, scrivu cara
ricordati di mia na vota l’ura.

1. Quantu è intrinsicu st’amuri
cu nun lu cridi lu pozza pruvari.

1. Nun lu fazzu cchiù lu lassa e piglia
p’amari na picciotta si travaglia.

1. Comu è fari cu sta ma vicina
ca notti e jornu colari mi duna?

1. Curuzzu nun aviri no lagnanza
si vò accuminciari a chiangiri accumenza
curuzzu nun aviri cchiù lagnanza
ca cu t’amava cchiù mancu ti penza,
curuzzu mi vò diri chi ti fici
ca quannu vidi a mmia ti fa’ la cruci.

1. Ti mannavu nna littra cu du essi
risposta nun n’appi cchiù, chi fici morsi?

1. Chista è la vera pena ca si senti,
iri surdatu e lassari l’amanti.

1. Nun aiu pena ca vaiu surdatu
la pena aiu ca lassu a tia.

1. Sì comu nna fussetta di Natali
cu prima arriva si mitti a iucari.

1. Li donni sunnu comu li mulina
ca fannu li vutati di la luna.

1. Li donni sunnu comu li mulina
tuorti come la vruca e li gadduna.

1. Amaru cu di li donni si ’nnamura
ca squaglia comu l’uogliu a la cannila.

1. Lu vuò sapiri pirchi nun ti vuogliu?
Eratu schetta e accattasti un figliu!

1. Aiu piersu la canna di la pipa
forsi l’ahiasti tu bedda pupa.

1. Li cuorna ti parinu ornamientu,
t’annachi tutti e ti nni fa’ un vantu.

1. Curnutu, sta’ attentu t’impidugli
cu li piedi li tò corna ‘ngagli.

1. La robba si nni va comu lu vientu
ma di nna bedda ti nni prieghi tantu.

1. A don Cicciddu lu vitti lu vitti
ntra un punticieddu ca sucava latti.

1. Quantu è cani, cani stu patruni
ca iddu mangia pani e nantri fami,
vinti quattr’uri di stari a buccuni,
li rini si li mangianu li cani,
lu vinu si lu vivi a l’ammucciuni
e nantri passa l’acqua di gadduni
unni mitti a muoddu li liami.

1. Cori di canna, cori di cannitu
truiazza ca ha’ lu cori canniatu,
lu facisti ammazzari a tò maritu
pi dari gustu a lu tò ‘nnamuratu.

1. Curnuti nun cci vannu n’ paradisu
San Pietro l’assicuta pi lu nasu.

1. Lu suli è russu e vui lucenti siti,
lustru faciti quannu v’affacciati.

1. Quannu la mamma fa lu figliu fissa
sempri ci avi a cummattiri cu passa.

1. Sapiti chi successi all’acqua nova
un punci assicutà na lavannera.

1. A vu cummari, ca siti sutta stu ficu
o mi chiamati o viegnu dduocu.

1. O Pippinedda cuocciu di granatu,
unni lu truvasti stu bieddu maritu?

1. Sapiti chi rimediu c’è pi unu ca mori?
Ca mori e si nni va a lu cimiteriu.

1. Lu suonnu di la notti m’arrubasti
ti lu portasti a dormiri cu tia.

1. Affacciami bedda e pisciami tra un occhiu
quantu ti viu lu parrapapacchiu.

1. Comu aiu a fari cu la ma vicina,
avi la figlia schetta e nun mi la duna.

1. La donna c’avi lu maritu viecchiu,
lu guarda e lu talia di mal’uocchiu.

1. Curnutu ca ha’ li corna ‘n tri maneri,
luonghi e pizzuti comu li zabbari.

1. Curnutu ti prisienti arridi, arridi.
li corna t’arrivanu a li piedi.

1. Lu carzaratu la notti si sonna:
penza la libirtà, mori e si danna.

1. Cu dici ca lu carzaru è galera,
a mia mi pari ‘na villeggiatura.

1. Lu carciari pi mia è paradisu,
unni truvavu l’abbientu e lu ripuosu.

1. Carzari Vicaria quantu si duci,
cu ti fabbricà, bieddu ti fici.

1. Amuri di luntanu nun è filici;
amuri di vicinu, carizzi e baci.

1. Ha’ la vuccuzza comu lu curaddu
piensu ca ancora nun ha vasatu a nuddu.

1. Ha’ li capiddi nivuri ‘na pici,
ti li taliu e nun truovu paci.

1. Pienzi ca stu munnu è chianu, chianu,
nun vidi la muntata e lu pinninu?

1. To matri t’addivà cu pani e latti,
ora dariti a mia ci pari forti.

1. Ni sta vanedda ci abita ‘na quaglia,
tutti la vuonnu e nuddu si la piglia.

1. Ni stu quartieri ci sta ‘na picciuttedda,
idda mori pi mia e iu pi idda.

1. Bedda, ci pienzi quannu jammu fori,
ca ti purtavu sutta li ficari,
ti detti du pumidda e du zalori,
di tannu t’affirravu a ‘nguliari.

1. Mi nn’aiu a gghiri di stu paisazzu
cu li ‘mpami e li sbirri nun ci la puozzu.

1. Mi ‘nnaiu a gghiri a Cartanissetta,
unni ca fannu giustizia torta.

1. Cu avi grana la libirtà s’aspetta,
cu grana nun avi lu zainu porta.

1. Pedi di zorba e pedi di zurbara
cu è ca ti chiantà mmiezzu la via,
e li zorbi ca fa su tanti amari
amari e allappusi comu a tia.

1. Stidda lucenti, lucenti
chi c’aiu fattu a la me cara amanti?
Quannu passu di ccà nun mi dici nenti,
si cridi ca truvavu ‘n’ antra amanti.

1. Siddu sapissi di la tò vinuta,
d’oru e d’argentu faria la me intrata.

1. Vaiu a lu liettu e ripuosu nun aiu,
priegu ca l’arba fa, quantu ti viu.

1. Affaccia bedda di sta finestredda,
lu sientilu tò amuri quantu arraggia?
Vasari ti vurria, quantu sì bedda,
mmientri chi tieni l’uocchi a pampinedda.

1. Quannu nascisti tu fici un gran sfuorzu,
parsi ca ti purtà un carcarazzu.

1. Buttana di tò mà, lorda buttana;
nun è amicu tò si nun ti la duna.
Dda amicu ti la riì la suttana
e tu lu mangi a muzzicuna.
Tò mà è ‘na pezza di buttana,
ca sapi tutti cosi e nun dici nenti.

1. Chi mi nn’importa ca sugnu curnutu,
basta ca mangiu e bivu e vaiu vistutu.

1. A idda vuogliu, a idda m’ata addari,
idda mi trasì ‘nni lu ma cori.

1. Di schetta nun t’appi
e di maritata t’appi;
abbasta ca t’appi
e comu t’appi, t’appi.

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Strambotti di microstoria racalmutese.

Donna Aldonza del Carretto
1. Cu li biddizzi ma senza pitazzu
sanu cci arristà lu pirripipazzu.

Girolamo e Giovanni del Carretto
1. Quannu arriva lu conti Giluormu
cu gran prescia lèvati di tuornu;
ma s’arriva lu baruni Giuvanni
allura sì ca sunnu guai ranni.

I Magnifici
1. Cu Tudiscu e Piamuntisi
si piersiru sina li maisi.

Beatrice Del Carretto Ventimiglia.
1. Cci arrubbaru a donna Biatrici,
e nantri tutti siemmu beddi e filici.

Arciprete Vincenzo del Carretto.
1. Cu l’arcipresti di lu Carrettu
cci appizzammu sinu a lu liettu.

L’aggressione licatese sotto Matteo del Carretto.
1. Di la Licata vinniru li lanzichinecchi
a ccà nastri ristammu propriu becchi.

Il conte Girolamo del Carretto
1. A Paliermu don Giluormu lu ranni,
cu tanti onzi conti divinni;
ma a marchisi nun arrivà
e a nantri viddani nni cunzumà.

Maestranze locali
1. Lu mastru Picuni, lu farmacista Pistuni,
lu miedicu Alajmu, la famiglia Pirainu:
C’era Zagarricu, c’era Mastrarrigu;
nun siemmu tutti ricchi, nun siemmu tutti bieddi,
ma siemmu tutti di ccà e chistu a nantri nn’abbastà.
************
Epiloghi.
1. Onestà cumanna a donna
cchiù cci nn’è, cchiù nn’abbisogna.

1. Arangi, arangi
cu avi li guai si li chiangi.

1. Addalalò addalaliddu;
so mà sì tu, so pà sopiddu.

1. Calati Giona a mari,
ca passa la timpesta.

300) PREGHIERA DELLA SERA

Iu chiuju la porta mia
cu lu mantu di Maria
lu vastunieddu di S. Simuni
'un nna nn'aviri né forza né malia
comu li petri di 'mmezzu la via.

301) Tutti l’aucelli mi cacanu ‘n testa
sina a lu attassatu ciciruni.
[variante]
sinu a li attassatu pipituni

martedì 19 novembre 2013

LA MINIERA DEI MODI DI DIRE A RACALMUTO 1

Quella che si propone è soltanto una parte, molto sapida tra l'altro, delle trascrizioni di Calogero Taverna. A dimostrazione della bontà del suggerimento di arricchire la raccolta con altri apporti, ho trovato in rete un detto mai sentito prima e pubblicato recentemente da Edurado Chiarelli, emigrante racalmutese che vive a Setùbal in Portogallo in vena di ancestrali ricordi: "Come diceva Tanu Bamminu: ci su tanti maneri d´ammazzari li punci ". Come diceva Tano Bamminu : ci sono tante maniere per ammazzare le pulci.

Società di Mutuo Soccorso di Racalmuto, durante il convegno "Elegia e Protesta", 1993. 
Da sx: il poeta futurista Giacomo Giardina, Calogero Taverna, Piero Carbone

"Ecco la raccolta di proverbi, strambotti ed altro del CIRCOLO UNIONE. Vanno limati e corretti. Si gradiscono apporti."

Nel leggere questo annuncio del Taverna su fb ho provato immediato piacere, è una raccolta interessante e cospicua. Buona l'idea di ulteriori apporti e arricchimenti.
Per un mio antico interesse, anche se in misura molto ridotta, alcuni proverbi, strambotti e modi dire, li avevo pubblicati in A lu Raffu e Saracinu nel 1988.

Ho subito espresso il desiderio di ripubblicarli in questo blog e Calogero ha acconsentito prontamente. Data la vastità del materiale ne pubblico, come si diceva una volta, un'excerpta ovvero una piccola parte.

La mia richiesta:
Vorrei pubblicarli anche sul mio blog, citando la fonte naturalmente. Offrono spunti interessantissimi, non solo linguistici.

La risposta di Calogero Taverna è interessante per le notizie sulla genesi della raccolta e  sulle precauzioni linguistiche; le altre annotazioni "laterali" sono la spia della passione con cui si rievoca la vita del circolo di conversazione di ieri a fronte del successivo evolversi o involversi, a seconda dei punti di vista. 

Calogero Taverna:
Perché no? ovvio che l'autore non sono io, sono quei soci del 1974 e successivi anni. Molto vi contribuì l'avv. Totò Carlisi. Quasi tutti i coautori sono laggiù al Convento di Santa Maria; residuano il presidente Marchese, anche lui molto attivo e il buon Jachinu Farrauto, ilare che dava un tocco di erudizione. Nessun mio contributo. 

Io ebbi tra le mani i tanti fogli manoscritti che raccoglievano gli appunti buttati là man mano che a qualcuno veniva il destro di uno spunto, una rievocazione; la proponeva se ne dibatteva, l'eterno presidente Cicciu Marchese (ma anche prima di essere presidente) fungeva da segretario. 
Nasce il problema linguistico.

Tutto sommato è prevalsa l'opzione la lezione Marchese (piuttosto erudita). Io che sono pessimo dattilografo e non ho nessuna propensione addottorata verso il nostro grande dialetto racalmutese ho trascritto di gran fretta. Tutto andrebbe limato, corretto, non vorrei che la mia sbadataggine e il mio scarso acume linguistico tornassero a disdoro di quel CIRCOLO UNIONE che mi sta tanto a cuore (Quello di oggi, passato da granmassone a clerico-matriciano, non mi interessa più). 

Questa mia proposta è solo un invito a rendere omaggio al glorioso, e sciascianamente celebre, grande casino di Conversazione di via Rapisardi di Racalmuto. Naturale quindi che addirittura è tuo diritto pubblicare quello che vuoi e come più ti aggrada. Meglio sarebbe forse che andassi a fotocopiarti gli originali che dovrebbero stare nell'armadietto antistante il gabinetto. Ma di questi tempi di devianze cultural-giornalistiche, ci stanno ancora? Se poi gli interessanti fogli di quaderno manoscritti sono conservati meglio, meglio ancora.

Frammenti
1° gennaio 1974
a cura di Calogero Taverna
zolfatai


1. E vannu a la matina e li viditi
parinu di li muorti accumpagnati
vistiti di scuru ca li cumpunniti
‘mmiezzu lu scuru di li vaddunati

scinninu a la pirrera e ‘mmanu
portano la so lumera pi la via
ca no’ pi iddi pi l’erbi di lu chianu
luci lu suli biunnu a la campia.

1. Lu munnu è tradituri e ‘nganna genti
prumitti cuntintizzi e duna chianti

1. Buttana di tò mà, ngalera sugnu
senza fari na macula di dannu

1. Sì comu lu cannuolu di la chiazza
cu arriva, arriva, la quartara appuzza.

1. Cu dici ca lu carzuru è galera
a mia mi pari na villeggiatura

[zolfatai]
1. Mamma nun mi mannati a la pirrera
ca notti e jurnu mi pigliu turrura
scinnu na scala di cientu scaluna
cu scinni vuvu muortu s’innacchiana

1. Mamma nun mi mannati a l’acqua sula
lu vientu mi fa vulari la tuvagliola
e c’è un picciuttieddu ca mi vuliva
e mi vinni appriessu a li cannola

1. Puttani quantu trappuli sa’ fari
mancu nna forgia fa tanti faiddi

1. Sutta lu to palazzu c’è un jardinu
ci su chiantati arangi e pumadoru
e ni lu miezzu c’è cunzatu un nidu
ancidduzzi ci sunnu a primu vuolu.

Cala Rusidda e s’inni piglia unu
e si lu minti ‘nni la caggia d’oru.
La caggia siti vu timpa d’amuru
lu cardiddu sugnu iu ca canta e vuolu.

1. Dicci a to mamma ca nun si piglia pena
la robba ci ristà ‘nni li casciuna.

1. La donna c’avi lu maritu viecchiu
lu guarda e lu talia di maluocchiu

1. Di quinnici anni vi puozzu assicurari
un’ura di cuietu nun puozzu aviri
e m’haiu misu tuttu bieddu a cantari
darrieri la porta di l’amanti mia;
di ‘nna picciotta mi sientu chiamari:
trasi ca t’arrifriddi armuzza mia.
Iu ci lu dissi: nun vi stati a ‘ncumudari
lassatimi addivertiri cu l’amici mia.

1. Cartanissetta è’ncapu na rocca
chiunu di buttani e scarsu d’acqua.

1. E comu t’aiu a vidiri arridutta
a lu burdellu di Cartanissetta.

1. Primu tamava e ti tiniva stritta
Eratu lorda e mi parivatu netta
Ora ti vitti né ‘ncapu né sutta
e sì na buttana netta netta

1. Quann’era picciliddu nicu, nicu,
l’amuri cu li donni iu faciva
tutti li schetti mi pigliavanu ‘mbrazza
e ‘nni li vradduzza so m’addummisciva

Ci nni fu una ca mi piglià mbrazza
e mi dissi: vo’ minna amrmuzza mia?
P’essiri ‘nnamuratu di li donni
ristavu curtu e mancu spuntu fici.

1. M’addisiddassi scursuni di chiusa
quantu m’inni issi ‘nni la tò casa
a to maritu lu mannassimu a fusa
e n’antri du guardassimu la casa
e ni mintissimu cu la porta chiusa
e a lu scuru cu si vasa, vasa.
Quannu vinissi lu crastu di fusa
la truvassi carricata la cirasa.

1. Arsira mi arricuglivu notti, notti;
mi misi a cuntrastari cu du schetti;
una mi li ittava li strammotti
l’antra m’arriscidiva li sacchetti.
Quannu mi vitti li sacchetti asciutti:
Vattinni picciuttieddu ca è notti!
Iu mi misi a gridari a vuci forti:
cu havi dinari è amatu di tutti!

1. L’omu ca è ‘ngalera è miezzu muotu
l’omu ca nun havi dinari è muortu tuttu.

1. L’amuri s’arridducu a malatia,
veni e finisci comu uogliu santu;
iu curuzzu pi amari a vui
sugnu ‘mmiezzu quattru miedici malatu;
unu di li quattru m’arrispusi:
vo’ stari bbuonu? Nun l’amari cchiuni!
Iu di lu liettu ci arrispusi:
l’amari di cori, o muoru o campu.

1. L’amuri è cu lu lassa e piglia
comu lu fierru ‘mpisu a la tinaglia.

1. M’addividdassi gaddu di innaru
quantu cantassi la notti a lu scuru
e mi mintissi supra un campanaru,
e mi mintissi a ricitari sulu:
Domanna la me amanti di luntanu:
Chi hai gadduzzu ca reciti sulu?
Iu cci arrispunnivu di luntanu:
persi la puddastra e sugnu sulu!

1. Passu e spassu di la tò vanedda
‘nni la cammara tò luci ‘nna stidda
quantu po’ essiri currivusa e bedda
ca lu ma cori si fici pi idda

Oh Diu chi fussi cun na vannachedda
ca m’appinnissi a lu cudduzzu d’idda
quantu nni patu iu p’amari na bedda
idda mori pi mia ed iu pi idda.

1. Amuri, amuri pampina di canna
quantu sparaci fa la sparacogna

1. Arsira passavu di na banna
e vitti la ma amanti ca durmiva
era curcata ‘ntru un liettu di Parma
pi capizzieddu la mani ci aviva
nun l’addivigliati ca si spagna
ca l’addivigliu cu li muodi mia;
ti fazzu li carizzi di tò mamma:
ddivigliati, ddivigliati, armuzza mia.

1. Cori di canna, cori di cannitu
truiazza ca lu cori canniatu
lu facisti ammazzari a to maritu
pi dari agustu a lu tò nnamuratu;
ora nun hai né garzu né maritu
sì comu un casalinu allavancatu;
lu va a truvari a tò marito
darrieri di San Giorgiu truvicatu.

1. Stritta la cigna e larga la cudera
l’omu ca è minchiuni pari allura.

1. Ti lu facisti lu ippuni russu
nun lu vidi ca to patri scarsu
ti lu facisti lu jppuni a la moda
ti lu facisti a la garibaldina

1. Cummari sugnu muortu di la pena
c’aiu un mulinieddu e nun macina
mprustatimi lu vuostru pe na simana
vi lu martieddu e vi lu mintu ‘n farina
Aiu lu mulinieddu a la rumana
lu tiegnu ni li canzi di la tila
aiu un mulinieddu a la rumana
pi sta picciotta ca si chiama Nina.

1. O Mariuzza chiàmati sti cani
nun li teniri cchiù mmiezzu la via
ca mi strazzaru un paru di stivali
lu miegliu vistitieddu ca tiniva
e lu purtavu a lu mastru a cunzari
e lu pagavu di sacchetta mia;
mariuzza si mi vo’ pagari
spogliati e curcati cu mia.

1. Si Diu voli la mula camina
ci ammu arrivari a la missa a Ragona.
1. Carzaru a Vicaria quantu si duci
ca cu ti fabbricà beddu ti fici.

1. Amaru ca m’avera a maritari
presti lu siminavu lu lavuri
quannu fu ura di zappuliari
l’erba mi cummiglia lu zappidduni
poi vinni lu metiri e lu pisari
e mancu potti pagari lu patruni;
ora curuzzu si mi vo aspittari
d’auannu nun si po’, l’antra stagiuni.

1. Primu t’amava e ti tiniva stritta
eratu lorda e mi parivatu netta._
Ora nun ti vitti né ncapu né sutta
e si na liccatura netta netta
‘m Palermu ti sunaru la trummetta
cu si piglia a tia gran chiantu scutta.
Un jurnu t’aiu a vidiri arridutta
né maritata, né zita, né schetta
un jornu t’aiu a vidiri arridutta
a lu burdellu di Cartanissetta

1. Travagliu e nun travagliu, nun aiu casa
megliu ca quannu stancu m’arripuosu.

1. Lu sa chi dissi lu dutturi Vespa
cu havi lu chiuritu si lu raspa.

1. Lu puddicinu dissi ni la nassa
quannu maggiuri c’è minuri cessa.

1. Lu maritu ci dissi a la muglieri
la vesta cu la fa, l’av’a pagari.

1. La muglieri ci dissi a lu maritu
ad Agustu pari cu va carzaratu.
1. Lu suli si nni va dumani veni
si mi nni vaiu iu nun torna cchiuni.

1. Chiddu chi voli Diu la notti a gregni
lu jurnu a racinidda ni li vigni

1. Chiddu chi voli Diu dissi Guaglianu
la notti chiovi e lu juornu fa bbuonu

1. Vitti lu mari, vitti la marina
vitti l’amanti mia ca navicava

1. Comu aiu a fari cu sta ma vicina
c’avi lu meli mpiettu e nun mi nni duna.

1. M’aiu a maritari nun passa ouannu
pi campari muglieri nun mi cumpunnu

1. M’avera a maritari senza doti
chi sugnu foddi ca fazzu sta cosa

1. Dicci a tò mamma ca nun si piglia pena
la robba ci ristà ni li casciuna.

1. Si piccilidda e vatinni a la scola
ca quannu ti crisci m’è pigliari a tia.

1. Si piccilidda e ha lu cori ngratu,
mi vidi muortu e nun mi duni aiutu
quannu vidi affacciari lu tabbutu
tannu mi cierchi di darimi aiutu.

1. Si piccilidda e fa cosi di granni
pensa quannu ti criscinu sti minni

1. Quantavi chi studiu sta canzuna,
pi mpararimilla sta simana

1. L’aiu avutu na donna taliana
ca la so facci era na vera luna
nni lu piettu porta na cullana
si vuogliu lu so cori mi lu duna.

1. Vieni stasira ca mi truovi sula
l’ura è arrivata di la tò fortuna.

1. La carta di la leva a mia vinni
m’accumanciaru a viniri li malanni.

1. Partu e nun partu, comu vurria fari,
bedda sugnu custrittu di partiri
sugnu custrittu di lassari a tia
e quannu pienzu ca t’aiu a lassari
la vucca di feli s’amaria.
Lu vaiu diciennu nun ni puottimu amari
si nun muoru cca muoru addavia.

1. Mamma priparatimi un maritu
ca sutta lu fallarieddu c’aiu lu fuocu
Sutta lu fallarieddu c’aiu lu fuocu
dintra lu russu e fora è sbampatu
sutta lu fallarieddu ci hai lu meli
sugnu picciottu e lu vuogliu tastari
Sugnu picciottu e mi nni vaiu priannu
schiettu mi l’haiu a godiri lu munnu.

1. Vidi chi fannu fari li dinari
fannu spartiri a du filici cori
Ti pigliasti ad una ca nun sapi parlari
tutta pirciata e china di valori;
mancu a la chiazza cchiù la po’ purtari
vidi li beddi e lu cori ti mori.

Affaccia amuri e sientimi cantari
ca t’è fari pruvari comu si mori.

1. quannu ti viu lu me cori abballa
comu lu fuoco ni la furnacella,
quannu ti viu lu me cori abballa
comu lu vinu russu nni la buttiglia

1. Lu sabbutu si chiama allegra cori
mmiatu cu avi bedda la muglieri
cu l’avi ladia ci mori lu cori
e prega ca lu sabbatu nun veni.

1. Comu ci finì a lu gaddu di Sciacca
pizzuliatuddu di la sciocca.

[Pasqua 74]

1. Veru ca la mintissi la scummissa
cu si marita lu fuocu ci passa

1. L’omu ca si marita è ammunitu
la muglieri ci fa da diligatu

1. Hann’a passari sti vintinov’anni
unnici misi e vintinovi jorni

1. E li minneddi tò sciauru fannu
sunnu viglianti e mi cala lu suonnu

1. Chiddu chi voli Diu dissi Marotta
quannu si vitti lu fuocu di sutta.
[variante oscena e beffarda]
quannu si vitti la soru di sutta.

1. Chiddu chi voli Diu dissi Guaglianu
la notti chiovi e lu jornu fa bbuonu