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venerdì 17 maggio 2024

GIANA GUAIANA CANTA "COMU FANNU A RACALÒ"


COMU FANNU A RACALÒ Testo e musica ©Piero Carbone I Sapiti comu fannu a Racalò? Scrìvinu li nomi ntre un rregistru di li politici all’elezzioni. D’ognunu fannu un bellu tabbutu e lu sàrbanu sutta un catarratu. Rit. : Fannu accussì a Racalò. Dicinu no no no no. II Ogni tantu nni piglianu quarcunu e lu portanu tutti n prucissioni: la banna, li tammùra, la simenza. Arrivati a Pizzu donn’Elia l’arrizzolanu sutta ppi la via. Rit. III Santa e arrisanta, s’arrizzola, si spascia in milli piezzi e menu mali ca la cascia è vacanti e nuddru vola. Contra li trunchi, li rocchi e purrazzi vannu a sbattiri tavuli e lapazzi. Rit. IV Di lu rregistru scancèllanu nomu, a carricatura battinu mani. Ah, chi santu, prigatu nginucchiuni! Mentri lu parrinu lu binidici, cu sputa all’ariu, cu jetta li vuci. Rit. V La curpa? Prestu prestu vi lu dicu. Duoppu vutati, canciaru partitu. Furbi, galantuomini o facciuoli? Stu cancia e scancia unn’è democrazia, è na pigliata… n giru. A ttia e a mmia. Rit. Recitato: Fannu accussì a Racalò! * Traduzione I Sapete come fanno a Racalò? Scrivono il nome su un registro dei politici a tempo di elezioni. Di ognuno fanno una bella cassa da morto e la conservano sotto una botola. Ritornello: Fanno così a Racalò. Dicono no no no no II Ogni tanto ne prendono qualcuna e la portano tutti in processione: la banda, i tamburi, i semi salati. Arrivati a Pizzo Don Elia lo fanno ruzzolare là sotto lungo la via. Rit. III Salta e rimbalza mentre precipita si sfascia in mille pezzi e meno male che la cassa è vuota e nessuno vola via. Conro i tronchi, le pietre e gli asfodeli vanno a sbattere tavole e tavolame. Rit. IV Dal registro cancellano il nome, a sfottò battono le mani. Altro che santo invocato in gionocchio! Mentre il prete benedice, chi sputa in aria, chi emette grida. Rit. La colpa? Presto ve lo dico. Dopo essere stati votati, hanno cambiato partito. Furbi, galantuomini o opportunisti? Questo cambia e scambia non è democrazia, è una presa... in giro. A te e a me. Recitato: Fanno così a Racalò! *** La canzone "Comu fannu a Racalò" è stata cantata da Giana Guaiana alle Fabbriche Chiaramontane di Agrigento sabato 26 giugno 2010 in occasione della presentazione del libro di poesie "Venti di sicilinconia", Medinova, Premio Martoglio 2009 inserita nella manifestazione POESIA E ACCOGLIENZA patrocinata dall'Assessorato Provinciale alla Cultura

giovedì 29 novembre 2018

LO SCRIVEVA GIANCARLO MACALUSO NEL 2014, NON IO. Alcuni leggono una cosa e ne pensano un'altra

Nelle polemiche, 
c'è chi scambia buzzìchi pi lanterni;

c'è chi, invece di smentire puntualmente  affermazioni altrui con carte, date e fatti "alla mano", reagisce dilatando le froge  e scantonando con poca classe e molto livore (ma il livore è fumo, non arrosto: impuzza, annerisce e basta); 

c'è  chi, non avendo argomenti ad hoc, tenta di demolire per altre vie la credibilità altrui, nel vano sogno di fare sparire le nubi dal cielo disegnando sull'ombrello aperto un sole sorridente;

c'è chi, nel timore di dovere ribattere e controribattere  di persona, si nasconde molto "coraggiosamente", e poco lealmente, dietro uno pseudonimo (ma uno a chi risponde? all'aria? a nessuno?  al nom de plume?);

c'è chi, non sapendo dire altro, tenta disperatamente di minimizzare o ridicolizzare le attività e la creatività altrui (ma se non valgono nulla, non è meglio non evocarle? Evocarle significa riconoscerne l'esistenza! Ciò vale terribilmente anche per le persone, gli autori di qualcosa, etc.);

c'è chi cita e... comu veni la pena si cunta. P. C.




Giancarlo Macaluso in primo piano nel fermo immagine del filmato postato su you tube:

CARRETTIERI E LAVANDAIE. Rievocazione etnografica (1987)... 
Prima Parte


"Mi dispiace, io non ci sto. Non si può trascinare l'onore e la storia di un giornale nel pantano delle beghe politiche. [...]

Probabilmente stanno naugrafando tutte le certezze con cui in questi anni abbiamo svolto il nostro mestiere di giornalista: non avere un piede in due staffe, raccontare la politica ma non farla, evitare strane commistioni col potere.

Certo, si può cambiare opinione; ma mi resta, al fondo, una specie  di retrogusto amaro, una piega malinconica per come la cosa è stata ed è gestita. Sono deluso anche da tutto il contorno: Egidio Terrana, Salvatore Picone, Gigi Restivo, Felice Cavallaro e compagnia cantando. Il giornale da questa storia avrebbe dovuto rimanere fuori invece di ridursi a una sfiatata trombetta di potere, sia pure di uno che ama molto Racalmuto e di uno che quel giornale ha contribuito a nascere, crescere, rafforzarsi.

Evidentemente non c’è posto per me. Questo sicuramente è l’ultimo contributo che do al mio vecchio giornale, prendendone le distanze. 

Un amico poco fa mi ha telefonato dicendomi che è arrivato il momento di una nuova 'voce' a Racalmuto, di un nuovo giornale. Arriverà, presto, si chiamerà: Malgrado tutti."

Giancarlo Macaluso, Macaluso contro Savatteri: "Tieni fuori il giornale", Malgrado tutto web, 01/04/2014
Sulle scale del Municipio di Racalmuto,
in occasione della mostra di Pippo Bonanno a Racalmuto nel 1989.


ph ©archivio e pensamenti blog

martedì 9 febbraio 2016

NENTI CI FA! Chi è corretto paga due volte, anzi, tre



Nota su facebook


È capitato a me, in quanto assessore (sia detto per inciso, "tecnico"). 

A proposito di telefonini, mi trovo ad essere creditore del Comune! Sì, proprio così. Il consumo l'ho pagato "due" volte, la prima volta con una trattenuta mensile così come abbiamo voluto deliberare nella prima giunta di cui ho fatto parte e la seconda volta per una non dovuta richiesta di pagamento sempre da parte del Comune e sempre per lo stesso consumo (destinato a conversazioni inerenti il proprio mandato). 

L'abbonamento mensile prevedeva una certa quantità di minuti di conversazione, terminati i quali o si pagava un supplemento o si ricorreva al telefonino personale.

In fase di accertamento, alcuni anni dopo, nel dubbio di chi avesse pagato e di chi non avesse pagato (capita!) è stato notificato a tutti il non avvenuto pagamento.

Si può immaginare il dispiacere nel ricevere una non bella comunicazione, non dovuta! Infatti, avevo già pagato!

Ora, non tanto per i soldi, ma per certificare le cose come stanno, ho fatto (nell'estate del 2012) formale richiesta di restituzione. Con tanto di numero di protocollo. 
Incredibile, vero?

Conclusione: chi è corretto paga due volte realmente e una terza volta per il dispiacere e le generiche allusioni quando capita (e capita!) di imbattersi in chi, sentenziando per luoghi comuni, fa di tutte le erbe un fascio. 
Un malo fascio.

Ph piero carbone (Cinisi, 6 dicembre 2015)

martedì 6 ottobre 2015

"DALLA MENZOGNA BISOGNA POI USCIRNE". Vittorini lo diceva. Ma è ancora valido?




"Maestri" rimossi

Guardandoci intorno, e non solo dal lato della politica, la domanda, circa l'attualità del pensiero di Vittorini, credo volga in favore dell'attualità; e direi, purtroppo.  






novembre '56


DALLA MENZOGNA BISOGNA POI USCIRNE

Le considerazioni di opportunità politica, se implicano una deformazione della verità dei fatti, si risolvono sempre, presto o tardi, proprio a danno della parte politica  in favore del cui prestigio vengono operate. 
In quanto presto o tardi s'impone, per la parte stessa, la necessità di uscire (se vuol sopravvivere) dall'arido terreno della menzogna; e allora, se tutto è stato menzogna, tutto crolla". 
(Tempo presente, n. 9, 1956)

in Elio Vittorini, Diario in pubblico, Bompiani, Milano 1991. Prima edizione 1957.

Quarta di copertina

martedì 10 marzo 2015

IL PD DEVE SAPER "PERDERE"





La notizia di un possibile Patto del Nazareno in salsa agrigentina ovvero la nascita di una coalizione elettorale di formazioni politiche che dovrebbero essere antagoniste, mi induce a rileggere e riproporre i timori che appena un anno fa avanzavo nelle fasi preparatorie delle elezioni comunali a Racalmuto, dove il Patto elettorale alla fine si fece con l'abbraccio, per così dire, tra Gesù e Barabba. Senza tuttavia voler connotare come Barabba una parte politica o qualche aggregato a vario titolo della società cosiddetta civile. 

Ma con quale risultato? 

Chi tira a manca e chi tira per la panca.

 

Il collante a Roma si chiama responsabile convergenza nazionale sulle riforme, a Racalmuto coalizione numerica per vincere, ad Agrigento lo si farebbe consistere in qualche emergenza. 

Ma con quanta buona fede e coerenza e lealtà sono sanciti i patti? 

Quanto dura il collante che vi sta a monte?


Alla luce dei fatti, prossimi o remoti, vicini o lontani, si direbbe che il patto alla fine non regge perché rischia di essere strumentalizzato soltanto al raggiungimento di un risultato elettorale o all'esercizio del mero potere. 

Ma il potere (in un sistema democratico), senza una visione comune e valori condivisi, collassa e dimidia.

Roma in grande e Racalmuto in piccolo hanno avuto il loro destino. Ora tocca ad Agrigento. Ma la storia non insegna proprio niente?




LA NOTA

IL PD DEVE SAPER "PERDERE"

11 marzo 2014 alle ore 20.47
Il Pd per vincere, deve saper perdere.

Fin'ora il PD ha perso (in credibilità) perché ha sempre vinto, ha sempre scelto la parte vincente, pur di stare al potere, nonostante le riserve iniziali ogni volta lo abbiamo ritrovato cuccuegghiè e comuegghiè, fino a identificarsi con una "piccola" logica aritmetica (un assessore? no, due; due assessori? no, tre). 

Invece, in nome anche della sua storia e della sua robustezza culturale, del suo impeto ed empito governativo, sarebbe ora che scegliesse finalmente di "perdere", per recuperare credibilità ovvero sarebbe ora di non temporeggiare e di presentare una sua linea, un suo programma, un suo candidato, e mettere gli altri in situazione di dovere scegliere. 

Se dovesse vincere in questo modo sarebbe vera vittoria, per se stesso come partito vero e rinnovato e per il paese, perché darebbe un esempio di chiarezza, di coerenza, di distacco dal potere per il potere. 

Se dimostrasse questo, vincerebbe in ogni caso, anche se dovesse numericamente perdere.

E' il caso di citare il Vangelo quando lancia il dilemmatico interrogativo "a che serve conquistare il mondo se uno perde la propria anima"?



Incisione di Francesco Paolo Violano


Incisione di Francesco Carlevalis

Nelle immagini: libere rappresentazioni della Torre di Babele, incisioni degli allievi dell'Accademia di Belle Arti di Napoli, allievi del maestro Patrizio Di Sciullo  http://archivioepensamenti.blogspot.it/2014/10/una-metafora-del-nostro-tempo-la-torre.html

mercoledì 20 febbraio 2013

IL PARTITO DELLE PELLICCE ovvero Socialisti di destra e socialisti di sinistra

Una volta le idee, che rimanevano fedeli a se stesse per lungo tempo, avevano la pretesa di cambiare il mondo, e non solo in politica, financo un papa era per sempre; ma recentemente, forse per effetto della modernità, il mondo s'è presa una bella rivincita: rimescola, ritocca e costringe le idee a trasformarsi, ad adeguarsi, a cambiare.
Se ne porta un esempio nel...


racconto pubblicato in rete qualche anno fa


http://www.socialisti.net/archivio23/00000d6a.htm




Il Partito delle Pellicce
 ovvero
 Socialisti di destra e socialisti di sinistra

Racconto
di
Piero Carbone


“S’ode a destra uno squillo di tromba; 
a sinistra risponde uno squillo: 
d’ambo i lati calpesto rimbomba
 da cavalli e da fanti il terren”. 
Alessandro MANZONI, Il Conte di Carmagnola, Atto Terzo.

“Non muto sententiam”. 
Lucio Anneo SENECA, Ad Lucilium Epistulae morales

- Ma non erano morti? 
- Ma che morti!
 - Allora vuol dire… 
- Sì. 
- No. 
- Forse. 
Erano semplicemente congelati! Come nei dormiveglia può apparir vero ciò che non lo è, e viceversa, si sentì dire in Piazza – voce di popolo - che forse la facevano, l’assemblea, i socialisti; non tanto i vecchi ma i nuovi o seminuovi. Si tassarono, affittarono una grande sala e la fecero, di domenica, poiché loro a messa non ci andavano, da veri laici. 
- Non ci posso credere! – si stupiva qualcuno. 
– Sembravano morti. E i processi? 
- Non dire minchiàte! Ti dico ch’è vero. Tornati, e più arraggiati di prima. 

In Piazza si commentava. Chi ci credeva, chi non ci credeva. Qualcuno incominciava a dubitare. Piuttosto era disposto a “farseli tagliare” qualcun altro e negava, rischiando grosso perché quelli ritornarono veramente e, con tanto di annunci sui giornali, fecero in rumorosa pompa magna l’assemblea, che vollero qualificare “cittadina”. Ci fu la falce, ci fu anche il martello, sul tavolo degli oratori, ma subissati da fasci di fiori. Così, al consesso del ricostituendo Partito Socialista fu invitato tra gli altri un veterano, Zazà Terranova, tanto per non rinunciare alle origini, sempre suggestive: il popolo, i lavoratori, l’occupazione delle terre, l’anticlericalismo. 
Chi meglio di lui, vecchio minatore, sindacalista, avrebbe potuto ricoprire la carica di Presidente onorario? Gliel’avrebbero comunicato, con bella sorpresa, alla fine dei lavori assembleari.

Quando però, salito sul podio, subito dopo i saluti, gli fu fatto cenno, da un incauto delle prime file che nulla sapeva della sorpresa finale, di tagliare il discorso, di accorciare, di andare via insomma, e immaginate con quale mimo eloquente delle mani: la destra a taglio colpiva ripetutamente il palmo obliquo della ricettiva sinistra in direzione della porta!, il veterano Zazà non ci vide più dagli occhi, si fermò, tossì torcendosi da un lato, fece roteare il microfono con ampio gesto della mano, e ricominciò: 
- Sapete, – disse, stringendo gli occhi, - sapete che significa il socialismo, voi giovani leoni che mi fate cenno d'andare via? Lo disse con tono calmo, tutto pieno di pause, amaramente sorridendo.

Continuò: - Subito dopo la guerra, abbiamo affittato un casottino, era affumicato, c'era ancora il focolare, il soppalco di legno, la mangiatoia. L’abbiamo ripulito, vi abbiamo portato un tavolo, quattro sedie, il quadro di Pietro Nenni, e quella era la Sezione. Qualcuno, ignorante, voleva appendere accanto allo stemma del Partito il quadro del santo Patrono, ma l’avvocato Pagliardente ci ha spiegato che il libro disegnato sullo stemma non era la Bibbia, che il sole nascente non significava lo Spirito Santo e il rosso della bandiera stava per il sangue dei lavoratori. Certe cose, anche se uno è ignorante, non ci vuole molto cervello a capirle, se le capivo io!, ma come dice il proverbio ogni inizio è duro. I primi ad aprire la Sezione siamo stati io, Ciambella che faceva il bracciante e Pagliardente, avvocato di Grotte. Venivano alla sezione contadini, minatori, disoccupati, povera gente; abbiamo organizzato lì i primi scioperi, abbiamo lottato. Questo, signori, era il Partito Socialista. All’inizio ci hanno preso per illusi, ma i galantuomini hanno smesso di spegnere con arroganza i sigari nelle pipe dei poveri braccianti, di rimproverarli davanti a tutti, di schiaffeggiarli, non hanno più affittato i ragazzi per mandarli all’acqua d’estate, hanno incominciato a sfruttare meno le donne.

Il tempo di schioccare la lingua e cambiò tono al discorso: - E oggi che vedo? Tacque sugli ex portaborse, sui superstiti, sui vecchi e recenti “giovani” che fortunosamente non erano incappati nelle furibonde campagne giudiziarie e denigratorie, ma puntò gli occhi sulle sussiegose consorti, sedute in prima fila, che le cosce annoiate accavallavano vertiginosamente una sull’altra. Vedo - proseguì, - tante signore in pelliccia, le mogli di tanti compagni, compli- menti!, in pelliccia e ingioiellate. 

Una pausa ancora più lunga, e, ampliando lo sguardo, riprese: - Mi compiaccio per voi, compagni vecchi e nuovi, che state bene, vi siete fatta una posizione, avete case, macchine, pellicce, conti in banca. Mi pare giusto. Molti siete figli di quei contadini e minatori sfruttati che venivano alla Sezione, ma ora, guardandovi dico: è questo il Partito Socialista? a questo s'è ridotto il partito dei lavoratori, dei minatori, di quelli che hanno occupato le terre? dei morti di fame? Un partito che ha tanta dignità alle spalle? un secolo di vita? Assemblea socialista è questa? Questo è il partito delle pellicce, no del socialismo. E chi ci pensa ai lavoratori? Unni sièmmu iùnti! Sembriamo all'Opera... 

Qualche malizioso pensò all’Opra dei pupi; Terranova, nella foga del discorso, non precisò. Il coordinatore dell’assemblea si strappava i peli ramati in cui le dita sterpose si imbattevano dal mento in su; gli occhi strabuzzati gli uscivano dalle orbite come ad un grillo papanzico; era pentito, pentitissimo d’averlo invitato, a Zazà Terranova. A pensarci bene, neanche si sapeva da quale benedetto nome venisse fuori il vezzeggiativo Zazà. Altro che Presidente onorario! “Presidente dei miei stivali”, piuttosto. 
Dal pubblico si levò un intervento risentito. 
- Ma noi – diceva la voce, - siamo i figli dei nostri padri che erano socialisti di sinistra, ora i tempi sono cambiati e siamo socialisti di destra. 
Altri interventi non fu possibile raccogliere. La sala rumoreggiò. Fu una selva di mani alzate.

Gli organizzatori cercarono di coprire quella gran confusione – che vergona se trapelava fuori! “Siamo alle solite”, avrebbero pensato i soliti nemici – rovesciando nella sala a tutto volume le corpose note dell’Internazionale, ma tale era la gazzarra che non funzionò il musicale richiamo all’ordine. Successe un fatto incredibile, nel tramestio sembrava di udire Giovinezza Giovinezza, la canzone dei fascisti. Che avessero sbagliato disco? O di scherzo “di cattivo gusto” si trattava? 

Rimasero tutti immobilizzati, come nel gioco dei ragazzi quando uno più veloce degli altri recita: Sutta u lettu da zzà Cicca c’è na gatta sicca sicca, iu sugnu figliu du spiziali, pozzu arridiri e pozzu cantari. L’antifascista Terranova, rimasto stranamente imperturbabile, si accinse a concludere, mentre l’uditorio si ricomponeva.
 La musica venne fatta sfumare. 
Quello del casotto - disse con voce appassionata, - quello del casotto e dei contadini era il Partito Socialista, non quello di oggi, delle pellicce!, che voi dite di destra. E per giunta venite a dire a me, a me!, di tagliare, di andare via. Qualcuno battè ironicamente le mani, ma nessuno lo seguì. C’era tensione in sala. 
- No, cari compagni di una volta, - concluse il nostro oratore, - non ci sto, sono io ad andarmene, perché non è questo il Partito Socialista. Anzi, sapete che vi dico? Sento dire socialisti di destra, socialisti di sinistra e mi girano i coglioni come le firriòle per la festa di santu Rocco che alla fine fischiano, fischiano e fanno il botto. 

Non disse altro, Zazà Terranova. 
Scese dal podio seguito da occhi che sprizzavano cento espressioni diverse. 
Non ci furono fischi, non ci furono applausi, questa volta. Solo il rumore di qualche sedia.