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lunedì 19 ottobre 2020

UN ROMANZO PIENO DI GESSO: IL MARCHESE DI ROCCAVERDINA (1901) DI CAPUANA. Il gesso nella scrittura

Pubblico questo  ennesimo Post infarcito di gesso
ricordando con piacere che mio nonno era gessaio
 e pensando a mio padre che attivò per l'ultima volta la carcara di contrada Buovo.

Sarebbe interessante adunare e pubblicare, con i dovuti permessi, 
le ricorrenze del gesso nelle opere letterarie dei vari autori.  P.C.

Luigi Capuana in un ritratto di Antonino Gandolfo

 


[...] Dalla parte del viale che conduceva lassù, la casa dei Roccaverdina aveva l'entrata a pianterreno, mentre dal lato opposto la facciata di pietra intagliata si elevava con tre alteri piani su le povere casette di gesso dalle quali era circondata. Gli altri lati, a mezzogiorno e a tramontana...

pag. 13

.

Così ora il marchese, passeggiando per la spianata, con le mani dietro la schiena, in pianelle, vestito come si trovava, stimava quasi di essere in casa sua, e teneva udienze seduto su gli scalini di gesso dello zoccolo, sul quale anni addietro i missionarii liguorini avevano piantato una croce di legno che un colpo di levante aveva portato via sfascian- dola, e non era stata sostituita.

Verso il tramonto, i contadini del vicinato... 

pag. 46, 47

.

Erano più di due mesi che il marchese tralasciava spesso quella passeggiata di cui sembrava non avesse potuto fare a meno. Infatti chi aveva bisogno di parlargli, in quelle ore, si avviava difilato lassù, sicuro di trovarlo a passeggiare o a tenere udienza su gli scalini di gesso dello zoccolo senza croce.

pag. 50

.

Di là, la vecchia sua sorella lo chiamava:
«Silvio! Silvio! Non senti? Picchiano».
Scesi con un lume in mano gli scalini di gesso della 
scaletta, egli avea domandato da dietro la porta: «Chi siete? Che volete?».

«Aprite, don Silvio! Sono io.»

«Oh, signor marchese!», egli esclamò stupito, ricono- scendolo alla voce.

pag. 80, 81

.

Si sarebbe detto che i denari presi in prestito dal Banco di Sicilia, gli scottassero le mani, ed egli avesse fretta di buttarli tutti via, in legname, in mattoni, in tegole, in calce, in gesso, in ferramenta di ogni sorta.

pag. 177

.

«Ma che! Tutti credevano: "Ora ammazza la moglie!". Niente. Dal giorno dopo, egli riprese il suo mestiere di gessaio. E con la moglie non una parola, non un gesto; se non che, di tratto in tratto, conduceva via la figlia alla fornace dove cuoceva il gesso. E la moglie tremava: "Che farà? Scannerà quella povera creatura?". 

Non osava di fiatare però. E i vicini, zitti; avevano paura di lui, tornato dalla galera, con quel viso smorto smorto che inverdiva sempre peggio dell'aglio, come se il sole e l'aria non riuscissero ad abbronzarlo. Per farla breve... Vergine benedetta! Pare impossibile!... 

Ormai egli era convinto che quella non fosse sua figlia; anche la disgraziata se ne era convinta, indotta da lui: e cominciò ad odiare la madre. Ogni giorno, bisticci, parolacce, quando non andava alla fornace col padre... 

Finalmente, la madre se n'accorse. Piangeva da mattina a sera nei giorni che restava sola. Le vicine: "Che avete, comare?". "Ho la maledizione di Dio in casa!" Non si spiegava. 

Poi, la cosa diventò palese a tutti... Bisognava esser ciechi per non capire. 

pag. 277

.

E due giorni dopo... Mio padre raccontava: "Avevo bisogno di un carico di gesso, e domando alla figlia: 'Dov'è tuo padre?'. Risponde: 'Nella stalla; dà la paglia agli asini'. 

Aveva sei asini per trasportare il gesso. E vo' nella stalla, una porta accanto. Chiamo; nessuno mi risponde. Spingo la porta, entro... – mio padre qui si faceva sempre il segno della santa croce... – Il Rospo s'era impiccato a uno degli anelli della mangiatoia con la cavezza d'un asino... 

I sei asini mangiavano tranquillamente la paglia... 

Si era fatto giustizia con le sue proprie mani! E la gente disse che era stato il castigo di Dio perché il Rospo aveva rubato gli ori della Madonna e i calici e le patene!... 

Fu il primo a Ràbbato. Nessuno si ricordava che un rabbatàno si fosse ammazzato da sé fino a quel giorno".»

«Il Rospo ha aperto la strada e gli altri gli vanno dietro!», disse compare Cola. «Io intanto me ne vado a dormire»

pag. 278

.

Citazioni da Il marchese di Roccaverdina di Luigi Capuana

Carcara di gesso di mio nonno Calogero  in contrada "Buovo"



LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/libri/licenze/

TRATTO DA: Il marchese di Roccaverdina / Luigi Ca- puana ; introduzione di Sergio Campailla. - Ed. In- tegrale. - Roma : Biblioteca economica Newton, 1998. - 192 p. ; 22 cm. - (Biblioteca economica Newton. Classici ; 116).

CODICE ISBN FONTE: 88-8183-948-2

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 10 gennaio 2002 

2a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 21 maggio 2013

Il romanzo è stato pubblicato la prima volta nel 1901  


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Tag:gesso nella scrittura


sabato 5 settembre 2020

GLI OCCHI, LA STATUA E IL "GESSO PARLANTE" IN BOITO, D'ANNUNZIO E SCIASCIA. Il gesso nella scrittura






Camillo Boito, Senso (1883)



"L'avvocatino impallidì per modo che i suoi occhi neri parvero due buchi in una faccia di gesso; s'alzò dal canapè barcollando ed uscì senza guardarmi. 
Tornerà, tornerà, scommetto. 
Ma è un gran dire che a commuovermi l'anima non ci sia altro verso che il rammentarmi d'un uomo, nel quale, ad onta della mia furibonda passione, vedevo intiera la bassezza infame."

Da: Camillo Boito, Senso (1883)


Gabriele D'Annunzio, Forse che sì forse che no (1959)

"- Ma che furia! Isabella, vi farete male alle dita. Certo, così spaventerete il custode che rifiuterà di lasciar entrare a quest'ora una piccola folle polverosa.
Paolo rideva, rapito tuttavia da quella vitalità volubile, da quella diversità d'aspetti e d'accenti, da quell'ardo- re e da quel tumulto che del luogo ov'ella era sembravano fare il punto più sensibile dell'Universo.
- C'è il campanello - disse una voce timida. Ed entrambi soltanto allora si accorsero che dietro i due sedili emergeva, di mezzo a un cumulo di cerchioni sovrapposti, il meccanico trasfigurato dalla polvere in un busto di gesso parlante.
L'impaziente si maravigliò, poi rise. Cercò il campanello, tirò con tutta la forza. Il tintinno si propagò nell'ignoto. S'udì un passo, un borbottio, uno scrocco di chiave; l'imposta s'aprì; il custode apparve su la soglia. Barbuto e canuto, era la figura volgare del Tempo senza clessidra né falce. Non gli diede agio d'aprir bocca ella, ma subito lo avvolse nella sua implorazione irresistibile.
- Lasciateci entrare! Siamo di passaggio. Ripartiamo prima di notte. Non torneremo forse mai più. Vi prego, vi prego! Nessuno vede, nulla può accadere. Lasciate che entriamo, per un'occhiata almeno! Mi chiamo Isabella.
Più di quella grazia infantile e di quella calda voce supplichevole e di quel nome dominante valse l'offerta del compagno. Il Tempo sorrise nella barba gialliccia, e si scansò."
pag. 21-22



Da: Gabriele D'Annunzio, Forse che sì forse che no - Ed. integrale - Milano, A. Mondadori, 1959. - 367 : 19 cm. – (Biblioteca moderna Mondadori. Sezione romanzi racconti ; 309)
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet: http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/


Leonardo Sciascia, Candido (1989)

"Si buttò o fu buttato a terra, la borsa con le cartelle del processo stretta al petto. Dieci minuti dopo - ché tanto, seppe poi, era durato il bombardamento - si rialzò in un silenzio attonito, pauroso: un silenzio che pioveva polvere, fittissima e infinita polvere. Ma dapprima fu come cieco: fu il pianto, furono le lacrime, che gli aprirono lo sguardo a quella pioggia di polvere. Quando, secoli dopo, la polvere cominciò a diradarsi, vide che la strada non c'era più, che non c'era più la stazione ferroviaria, che non c'era più la città. Uscì dalla corolla facendosi scivolare nell'immenso fossato che c'era intorno e poi faticosamente risalendolo. E si trovò davanti una grottesca statua di gesso, vivi e come appena strappati, atrocemente strappati a un uomo vivo e trapiantati nella statua, soltanto gli occhi."

Da: Leonardo Sciascia, Candido, in Opere 1971-1983, Bompiani, Milano 1989. pag. 351


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"gesso e scrittura"

Carcara di mio nonno Calogero in contrada "Buovo"



ph ©piero carbone


sabato 29 agosto 2020

IL MONDO DEL GESSO EVOCATO FREQUENTEMENTE NEL "MASTRO DON GESUALDO" DI VERGA. Il gesso nella scrittura

Pubblico questo Post
ricordando con piacere mio nonno gessaio
 e pensando a mio padre che attivò per l'ultima volta la carcara di contrada Buovo.

Sarebbe interessante adunare e pubblicare, con i dovuti permessi, 
le ricorrenze del gesso nelle opere letterarie dei vari autori.  P.C.



Ricorrenze del gesso nel 
 Mastro don Gesualdo (1888)
di Giovanni Verga

a. carriari issu
"Me lo ricordo io manovale, coi sassi in spalla... sissignore!... Mastro Nunzio, suo padre, non aveva di che pagare le stoppie per far cuocere il gesso nella sua fornace..."
pag. 50
b. sacchi di issu
"Gesualdo, intanto che gli altri si davano da fare, mogi mogi, misurava il muro nuovo colla canna; si arrampacava sulla scala a piuoli; pesava i sacchi di gesso, sollevandoli da terra: ― Sangue di Giuda!... Come se li rubassi i miei denari!... Tutti quanti d'intesa per rovinarmi!... Due giorni per tre canne di muro? Ci ho un bel guadagno in questo appalto!... I sacchi del gesso mezzi vuoti! Neli? Neli? Dov'è quel figlio di mala femmina che ha portato il gesso?... E quella calce che se ne va in polvere, eh?... quella calce?... Che non ne avete coscienza di cristiani? Dio di paradiso!..."
pagg. 76-77
c. carriari issu n capu li spaddri
"[...]santo diavolone! santo diavolone, badate!... a quest'ora sarei a portar gesso sulle spalle!..."
pag. 78
d. essiri di lu mistieri
"Che non ne avete occhi, corpo del diavolo!... L'intonaco che screpola e sbulletta!... Mi toccherà poi sentire l'architetto, malannaggia a voialtri!... Quando torna quello del gesso ditegli il fatto suo, a quel figlio di mala femmina!... ditegli a Neli che sono del mestiere anch'io!... Che ne riparleremo poi sabato, al far dei conti!..."
pag. 79
e. scecchi di issara e vurdunara
"Gli venivano tanti ricordi piacevoli. Ne aveva portate delle pietre sulle spalle, prima di fabbricare quel magazzino! E ne aveva passati dei giorni senza pane, prima di possedere tutta quella roba! Ragazzetto... gli sembrava di tornarci ancora, quando portava il gesso dalla fornace di suo padre, a Donferrante! Quante volte l'aveva fatta quella strada di Licodia, dietro gli asinelli che cascavano per via e morivano alle volte sotto il carico! Quanto piangere e chiamar santi e cristiani in aiuto! 
Mastro Nunzio allora suonava il deprofundis sulla schiena del figliuolo, con la funicella stessa della soma... Erano dieci o dodici tarì che gli cascavano di tasca ogni asino morto al poveruomo! – Carico di famiglia! Santo che gli faceva mangiare i gomiti sin d'allora; Speranza che cominciava a voler marito; la mamma con le febbri, tredici mesi dell'anno!... – Più colpi di funicella che pane! – Poi quando il Mascalise, suo zio, lo con- dusse seco manovale, a cercar fortuna... Il padre non voleva, perché aveva la sua superbia anche lui, come uno che era stato sempre padrone, alla fornace, e gli cuoceva di vedere il sangue suo al comando altrui. – Ci vollero sette anni prima che gli perdonasse, e fu quando finalmente Gesualdo arrivò a pigliare il primo appalto per conto suo... la fabbrica del Molinazzo... Circa duecento salme di gesso che andarono via dalla fornace al prezzo che volle mastro Nunzio..."
pagg. 93-94
f. la carcara
"― Ah!... il vostro mestiere?... perché avevate la fornace del gesso?... e mi è toccato ricomprarvela due volte anche!... vi credete un ingegnere!... Ecco il bel mestiere che sapete fare!..."
pag. 106-107
g. commerciari issu
"Gli era toccato ricomprargliela due volte la fornace del gesso! E continuava a metterlo in quegli impicci!... E se lui diceva ahi! quando era costretto a farsi aprire la vena e a lasciarsi cavar dell'altro sangue per pagare, allora il padre gridava che gli si mancava di rispetto. La sorella ed il cognato che lo pelavano dall'altra parte. Una bestia, quel cognato Burgio! bestia e presuntuoso! E chi pagava era sempre lui, Gesualdo!... Suo fratello Santo che mangiava e beveva alle sue spalle, senza far nulla, da mattina a sera: ― Col mio denaro, capite, vossignoria? col sangue mio! So io quel che mi costa! Quando ho lasciato mio padre nella fornace del gesso in rovina, che non si sapeva come dar da mangiare a quei quattro asini del carico, colla sola camicia indosso sono andato via... e un paio di pantaloni che non tenevano più, per la decenza... senza scarpe ai piedi, sissignore."
pagg. 111-112
h. cuntrati di issu
"― Caro don Nunzio!... vi rammentate la fornace del gesso... vicino Fontanarossa?...
Il vecchio burbero fece una spallata, per levarsi d'addosso la manaccia del barone Zacco, e rispose sgarbatamente."
pag. 183
i. ereditari la carcara di issu
"Andremo alla Canziria. Andremo piuttosto alla fornace del gesso che ha lasciato mio padre, buon'anima... Quella sì!... Colà almeno saremo a casa nostra. Non direte d'averla comperata coi vostri guadagni la fornace del gesso!... No, no, sto zitta, massaro Fortunato! Se ne parlerà poi, chi campa. Chi campa tutto l'anno vede ogni festa. Vi saluto, don Gesualdo. Sarà quel che vuol Dio. Beato quel poveretto che adesso è tranquillo, sottoterra!..."
pag. 329
l. putìa e commerciu di issu
"― La roba tua?... sentite quest'altra! Allora vuol dire che nostro padre buon'anima non ha lasciato nulla? E il negozio del gesso che avevate in comune? E quando avete preso insieme l'appalto del ponte? Nulla è rimasto alla buon'anima? I guadagni sono stati di voi solo? per comprare delle belle tenute? quelle che volete appropriarvi perché avete dei figliuoli?... C'è un Dio lassù, sentite!... Ciò che volete togliere di bocca a questi innocenti, c'è già chi se lo mangia alla vostra barba! Andate a vedere, la sera, sotto le vostre finestre, che passeggio!..."
pag. 342

***

CITAZIONI TRATTE DA: 
Mastro-don Gesualdo / Giovanni Verga; con la cronologia della vita dell'autore e dei suoi tempi, un'introduzione all'opera, una bibliografia e un'antologia critica a cura di Corrado Simioni. - Milano : Mondadori, 1973. - 379 p. ; 19 cm. – (Oscar ; 59).

Testo distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/libri/licenze/

N. B. I titoletti in dialetto sono miei.



ph ©piero carbone

venerdì 14 agosto 2020

LE PECORELLE IN GESSO DI GOZZANO E L'INTERPRETAZIONE FEROCE DI TESIO. Il gesso nella scrittura

Questi testi che vengo adunando e pubblicando potrebbero far parte, con i dovuti permessi,  di un'apposita pubblicazione che attesti la ricorrenza del gesso nella scrittura ovvero in testi di vario genere.


Carcara di gesso di mio nonno Calogero  in contrada "Buovo"


Natale

La pecorina di gesso,

sulla collina in cartone, 

chiede umilmente permesso 
ai Magi in adorazione.

Splende come acquamarina 
il lago, freddo e un po' tetro, 
chiuso fra la borraccina, 
verde illusione di vetro.

Lungi nel tempo, e vicino
 nel sogno (pianto e mistero) 
c'è accanto a Gesù Bambino, 
un bue giallo, un ciuco nero.

in Guido Gozzano, Tutte le poesie https://www.liberliber.it/mediateca/libri/g/gozzano/tutte_le_poesie/pdf/gozzano_tutte_le_poesie.pdf (consultato il 14 agosto 2020, h. 12.59)

"Resta vero che il Natale si presta a carrettate di diffidenza perché la finta bontà delle gozzaniane pecorine di gesso d’immacolato biancore, magari agghindate con un laccino rosso intorno al collo, possono spingere ai più feroci controelogi, alla parodia dei luoghi più comuni, alle antidiabetiche profilassi delle svenevolezze più convenzionali. 
Come se la bontà fosse buonista. Mentre – m’è accaduto di dirlo e di scriverlo più volte – è virtù fondamentale, di precisa e ferma determinatezza.
Tra le virtù che in tempi rombanti sono variamente disprezzate, la virtù della bontà è forse di tutte la più disprezzata.

Se c’è una paura che ci attanaglia è quella di essere buoni. 
Del resto anche i proverbi popolari in proposito parlano chiaro e la figura del buon minchione è luogo frequentato da ogni letteratura. Tant’è che bontà e idiozia sono diventati sinonimi di ridicola santità."


Giovanni Tesio
LA POESIA AI MARGINI NOVECENTO TRA LINGUA E DIALETTI


Pubblicazione realizzata con il contributo
del Dipartimento di Scienze della Formazione – cofinanziamento MIUR PRIN 2008

© Novara 2014, Interlinea srl edizioni
via Pietro Micca 24, 28100 Novara, tel. 0321 612571 www.interlinea.com edizioni@interlinea.com Stampato da Italgrafica, Novara
ISBN 978-88-8212-416-8


BIBLIOTECA
del Centro Novarese di Studi Letterari collana di letteratura italiana dell’800 e ’900
64 SAGGI E TESTI
http://www.letteratura.it/centro/ (consultato il 14 agosto 2020, h. 13.04))

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giovedì 13 agosto 2020

IL GESSO NELLA SCRITTURA. Gesso "contro li porri", le emorroidi o per giocare, secondo Zanazzo

Questi testi che vengo adunando e pubblicando potrebbero far parte, con i dovuti permessi,  di un'apposita pubblicazione che attesti la ricorrenza del gesso nella scrittura ovvero in testi di vario genere.

Carcara di gesso di mio nonno Calogero  in contrada "Buovo"



36. — CAMPANA

Col gesso o col carbone si segna sopra un impiantito una figura come la seguente.
Si fa la conta. A quello cui va il conto prende un sassetto, o una còccia di melone o altro, e la tira nella nicchia numero 1.

Se il sassetto andasse a cadere nel primo spazio chiamato poco pulitamente dei cacatori, il tiro non è valido e bisogna ricominciare.

Tirato che ha il sassetto nella nicchia numero 1, il giocatore salta con un piede dentro la nicchia stessa, tenendo l’altro sospeso, e caccia fuori il sassetto, senza però toccare col piede le righe della Campana, nè far uscir fuori il sassetto dai due margini laterali, altrimenti il tiro è nullo, e bisogna ricominciare da capo.

Poi rigetta il sassetto alla seconda e salta dalla prima alla seconda nicchia, donde scaccia una seconda volta il sassetto. Così fa alla 3a, alla 4fino alla 8a. Alla 9a, 10a, 11e 12fa campana, ossia a piè pari, salta prima nei due spazii 10 e 12, e poi in quelli 9 e 11.

Giunto al Riposo Paradiso ha vinto; e, se così è stato pattuito, il compagno perditore deve portarlo a cavalluccio, ossia a cavacécio, tre, quattro, cinque o più giri intorno alla Campana.

Oppure il perditore deve ricevere tanti colpi o pugni sulle spalle, detti tuzzi.
Ora il giuoco è alquanto modificato.


Per esempio, invece di entrare nelle nicchie con un solo piede ci si va anche con tutti e due;

basta non passare sui segni della Campana come nel modo antiquato, ecc.

Avverto anche che non è sempre necessario che nella figura della 
Campana ci sia quel tale

spazio con poca decenza denominato dei cac...

pag. 132-3

.

26. — CONTRO LI PÒRRI

Pe’ llevasse l’incommido de li pòrri nun ce vô gnente.

Annate dar pizzicarôlo, comprate un ber pézzétto de códica, e strufinàtevece bbene bbene tutti li pòrri che cciavéte sii pe’ la vita che pp’er viso.

Fatta ’sta funzione pijate quela medema códica e annatela a bbuttà’ in d’un sito, indove, doppo che cce l’avete bbuttata, nun ciavete da passà’ ppiù in tutto er tempo de la vita vostra; perché si cce passate li porri v’aritorneranno e nun ve passeranno ppiù.

Quanno poi quela códica medema che v’ha sservito se sarà seccata der tutto, allora li porri che ciavete ve se ne cascheranno da sé.

Si nnó strufinàteve sopra a li porri un cécio o un faciolo che ddev’èsse rubbato, si nnó nun vale; eppoi bbuttatelo in der gesso (2).

C’è ppuro chi li lega cor un’accia de filo de seta crèmisi (attenta bbene ch’er colore sia cremisi!) infinènta che nu’ jé sé seccheno e ppoi jé càscheno da loro.
Un antro arimèdio pe’ fa’ spari’ li porri è quello de daje un’abbagnatina pe’ ddue o ttre vvorte co’ quer sangue de quanno la donna cià le cose sue.

Oppuramente comprate un mazzétto de radicétte (ravanèlli) e strufinatevele bbene su li porri diverse vorte e ppe’ ddiversi ggiorni. Quanno ve sete servìto de quer mazzetto, mettetelo a sseccallo ar sóle.
Una vorta seccate le radicétte, puro li porri se séccheno e vve càscheno.
pag. 11

.
14. — CONTRO LE MOROIDE5.

Comprate un po’ de ggèsso de Genova e ffatelo bbullì’ drento ’na certa quantità d’acqua. Quanno quer gèsso è addiventato come una specie de fanga, appricatevelo sopra la parte e gguarirete.
Oppuramente comprate tre oncia de bbutiro, un puzzonéttonôvo o ddimo una piluccia de còccio, poi pijate una ranocchia viva e mettetela in de la pila a ffrigge insieme ar butiro. Fritto che hanno mettetece drento un sordo d’occhio de grancio7.
Quanno s’è ttutto bbene arifreddato, vie’ come ’na mantèca, che cce s’àpprica e sse strufina sopra a le moroide.
Sibbè’ ch’er mejo arimedio ppiù mmijore de tutti pe’ scongiurà’ er malanno de le ’moroide, è dde portasse ’gni sempre in saccoccia una bbôna castagna porcina8.
pag. 9

.

AUTORE: Luigi ZANAZZO
TITOLO:Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma 

TRATTO DA: Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma / Giggi Zanazzo; Collezione: Tradizioni popolari romane;
Società Tipografico-Editrice Nazionale; Torino, 1908
1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 23 giugno 2003
Testo distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet: http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/

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mercoledì 12 agosto 2020

E L'ORO EBBE BISOGNO DEL GESSO PER APPARIRE. Testimonianza del Vasari

CAP. XXVIII
Del modo del mettere d'oro a bolo et a mordente et altri modi.

Fu veramente bellissimo segreto et investigazione sofistica il trovar modo, che l'oro si battesse in fogli sí sottilmente, che per ogni migliaio di pezzi bat|tuti, grandi uno ottavo di braccio per ogni verso, bastasse fra lo artificio e l'oro il valore solo di sei scudi. 

Ma non fu punto meno ingegnosa cosa il trovar modo a poterlo talmente distendere sopra il gesso, che il legno od altro ascostovi sotto paresse tutto una massa d'oro. 

Il che si fa in questa maniera: 
ingessasi il legno con gesso sottilissimo, impastato con la colla piú tosto dolce che cruda, e vi si dà sopra grosso piú mani, secondo che il legno è lavorato bene o male. 
Inoltre, con la chiara dello ovo schietta, sbattuta sottilmente con l'acqua dentrovi, si tempera il bolo armeno, macinato ad acqua sottilissimamente; e si fa il primo acquidoso o vogliamo dirlo liquido e chiaro e l'altro appresso piú corpulento. 
Poi si dà con esso almanco tre volte sopra il lavoro, sino che e' lo
pigli per tutto bene. 

E bagnando di mano in mano con un pennello dove è dato il bolo, vi si mette su l'oro in foglia, il quale subito si appicca a quel molle. E quando egli è soppasso, non secco, si brunisce con una zanna di cane o di lupo, sinché e' diventi lustrante e bello.  [...]

Giorgio VASARI, Le vite de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri.
        Nell'edizione per i tipi di Lorenzo
        Torrentino - Firenze 1550
CURATORE: Luciano Bellosi e Aldo Ross
Versine digitale in: www.liberliber.it