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martedì 13 novembre 2012

PER FAVORE, RIDATECI LA DISCARICA!


L’accumulo della munnizza ovvero il problema dei rifiuti fino a poco tempo fa è stato affrontato e risolto dai paesi mediante le loro discariche, ciascun paese aveva la propria.


Poi le singole discariche, comunali, vennero dismesse per dare spazio a megadiscariche intercomunali e accogliere la munnizza  di un certo numero di comuni organizzati in consorzi. Con i risultati e i fallimenti che sono sotto gli occhi, e il naso, di tutti.

Ma qualche anno fa, quando questo sistema sembrava funzionasse alla perfezione, io sollevavo dubbi e interrogativi, tra il serio e il faceto, non tanto sulla loro economicità e sulla loro efficienza  quanto sulla loro involontaria valenza “culturale”.



Nell’estate di qualche anno fa, sotto l’afa di agosto, mi ritrovai in aperta campagna: a perdita d’occhio si vedevano stoppie gialle e bruciate. 

       Mi sembrava di stare in un luogo inventato, tanto era somigliante a quello descritto dal Lampedusa nel suo romanzo, ma inventato non era, perché ancora oggi mi ritrovo quello che ho rinvenuto quella volta tra i campi e le restucce riarse. O per essere più precisi – sempre con rispetto parlando – nel bel mezzo di una pubblica discarica.

        Ho trovato carte: documenti,  delibere,  pitàzzi, tessere fasciste e per il pane; un’istanza del signor Nicolò Alfano che chiedeva “lo svincolo della cauzione prestata quale esattore della Tassa del macinato negli anni 1871, 1872” nei comuni di Grotte e Racalmuto; l’atto fondativo di un “Circolo Unione”; il contratto dell’8 maggio 1899 fra la Ditta in commercio “Stefano Pirandello e C°” con sede in Porto Empedocle e il racalmutese Giovanni Battista Buscarino “coltivatore di zolfare”; aste per il rifornimento di vettovaglie dell’Esercito Regio; carte dei Withaker; notizie sulla fillossera; la delibera di un ossario comunale; testamenti del popolo minuto; lettere, molte lettere.

Qua e là, fogli strappati. Alcuni si leggevano male perché sbiaditi, altri appiccicati fra loro, maleodoranti. Erano atti, memorie, relazioni risalenti financo al Regno delle Due Sicilie.





       Quel luogo mi sembrò il giardino delle meraviglie, anzi, un pozzo senza fondo. Un incubo. O un sogno. Non so. Per un attimo, mi mancarono i riferimenti per capire dove stavo, cosa stesse succedendo, che significasse tutto questo. Era una discarica. In contrada “Mulona”. Non volevo crederci. “Fu quel ch’io dico, e non v’aggiungo un pelo”, affermo con Ariosto; rimasi “pallido e sbigottito”.

        La lettera, riservatissima, una raccomandazione insomma, del Reale Ispettorato Scolastico di Palermo, risalente al XX anno dell’era fascista, mi riconsegnò alla realtà: “Egregia Signora...”. In un’altra, Mons. Cajetano Blandini Episcopus Agrigentinus, confidando “nello Zelo, nell’Abilità, Attività ed Onestà del sigr Vincenzo Giglia”, lo nominava procuratore della rendita della Confraternita del Ssmo Sacramento. In un’altra ancora, del 1871,  si parlava della coltivazione dei  bachi da seta a Racalmuto.
Tante e tante altre carte curiose ho trovato: da farne un libro.




2007



        Il libro si intitolò Il giardino della discordia. Racalmuto nella Sicilia dei Withaker, le cui carte un editore voleva acquistare e voleva acquistare anche il mio dattiloscritto con l'impegnativa però da me sottoscritta di non pubblicarlo. 
Mi sembrò strana la proposta, come strana mi era parsa la non risposta della Fondazione Withaker ad una mia lettera che segnalava il ritrovamento delle carte withakeriane. Rifiutai e andai avanti per la mia strada.

Ebbi la Prefazione di Rosario Lentini, specialista nel settore, e presentai il libro a Racalmuto, a Grotte, all'Università di Palermo, a Naro, a Marsala, a Canicattì, ad Agrigento, con autorevoli testimonianze critiche e benevole segnalazioni sui mezzi d'informazione, tra cui le interviste di Nicola Giangreco a Trs98, di Gianni Manzo al TGR, la rubrica "Album" del TGR3 di Nuccio Vara del 26 gennaio 2007 che spazia da Racalmuto a Palermo a Marsala a Mozia.

Se avessi accettato la danarosa proposta di non pubblicare sarebbe stata una seconda morte per quelle carte, giusto giusto in una casa editrice. Altri pensieri avevo piuttosto per la testa.









Che ci facevano documenti così interessanti in mezzo alla fantastica munnìzza? Si può immaginare cosa sarà avvenuto: dopo la morte di qualche persona benestante e istruita, - un notaio, un avvocato, un uomo di chiesa, - gli eredi avranno venduto la sua casa e i nuovi acquirenti prima di ristrutturarla si saranno sbarazzati delle carte buttandole nella discarica comunale. 

Qui è il punto. E se la discarica non ci fosse stata? Che fine avrebbero fatto?




       Nell’eventualità che altre dimore contenenti carte storiche vengano vendute da eredi beneficiati e svuotate degli archivi di famiglia, ho maturato la seguente perorazione: per favore, ridateci la discarica, almeno sapremo dove andare a cercare le carte di quegli archivi dismessi, anzi, buttati via.





Oltre il muro, a.VI n.2 maggio 2008




                      


La Sicilia - ediz. di Agrigento - 6.2.2006 
"Grandangolo" - Agrigento - 11.2.2006

GdS 1 giugno 2007
    




Coppola Editore

Recensione di Serena Alessi su Critica Letteraria:


lunedì 10 settembre 2012

RACALMUTO COME MOZIA?!


La recente notizia di alcuni ritrovamenti archeologici, durante i lavori per l’autostrada Agrigento-Caltanissetta, mi ha fatto ricordare di essermi occupato di simili notizie in un vecchio articolo pubblicato nel 2005 sulla rivista fiorentina “Lumìe di Sicilia”. Riproporlo sul blog ora non mi pare inopportuno né “fuori tema”, rafforza semmai ipotesi antiche e rammarichi moderni.

 
Un giorno un contadino andò a trovare il signor Joseph al baglio di Marsala con alcuni oggetti trovati nell’isola di San Pantaleo mentre dissodava il terreno per impiantarvi un vigneto. Il signor Joseph riconobbe lo stile punico e li comprò.
Del Commendatore Joseph Whitaker, detto Pip, inizia così l’avventura archeologica a cui si dedicherà anima e corpo, specialmente dopo la nascita della seconda figlia quando ritornerà pressoché scapolo dal momento in cui la suocera aveva deciso che la propria figlia, dopo la seconda gravidanza, non poteva continuare ad assolvere i doveri di moglie.

Quello che rappresenterà l’isola di San Pantaleo, ridivenuta Mozia dopo gli studi e gli scavi del Commendatore archeologo, è noto in tutto il mondo. Oggi Mozia è incessante meta di visitatori. L’impero economico dei Whitaker è tramontato ma Mozia è più viva che mai. Sappiamo come i letterati e i pittori la dipingono: poco distante dalla terraferma, collegata da un carro che procede in mezzo al mare. “Un carro? Fino a quest’isola?” chiede un personaggio consoliano, a cui viene risposto: “Nessuna meraviglia. Là a levante corre sott’acqua, ch’è alta qualche spanna, una strada lastricata di basole bianche che porta dritta giusto fino a Birgi”.
Rivivono oggi la strada lastricata sotto il mare, le mura con le torri, i leoni di pietra, la necropoli. Rivive la città filocartaginese com’era prima di essere espugnata e bruciata dai greci, sepolta, dimenticata.

Chissà quale sarebbe stato il destino archeologico e turistico di Racalmuto se i contadini racalmutesi, invece di ridurre in frantumi gli antichi vasi di creta rinvenuti e altre cianfrusaglie, li avessero offerti al Commendatore Whitaker. Di oggetti antichi, monete, sepolcreti, in tutto il territorio racalmutese ne sono stati sempre trovati,inabbondanza,cometestimonia Nicolò Tenebra Martorana fino al 1897:
“In contrada Cometi, lungi tre chilometri da Racalmuto, in occasione di scavi, si rinvennero sepolcreti d’argilla rossa, resti d’ossa, lumiere antiche, cocci di vasi [...].
“In contrada Culmitella (ex feudo Culmitella) furono rinvenuti due grandi vasi di creta rossa a mo’ di giarre. [...]
“In contrada Ferraro, furono trovati piccoli vasi di creta, con disegno molto ben fatto e delicato, vernice nera e leggierissimi. Erano dei lacrimatoi. Graziosissimi a vedersi, furono ridotti in frantumi dagli ignoranti contadini, che dentro quei piccolissimi vasi sognavano un tesoro!
“In contrada Cometi furono rinvenuti vasi antichi. [...]
“Infine a Casalvecchio, a poco meno di un chilometro dall’odierno Comune, in occasione di scavi eseguiti per istabilire una strada carreggiabile, si rinvennero sepolcreti, ruderi d’antichi edifizi ed altri oggetti.”
Tutto questo nell’Ottocento.

Ma anche per tutto il Novecento si sono inseguite voci di favolosi ritrovamenti o di allarmati interramenti per paura che le autorità ponessero vincoli ai terreni o li acquisissero forzosamente.
Oliveti e vigneti, forse, prosperano su ignorate necropoli piene di corredi funerari? Da accertare. Sta di fatto che qualche reperto si trova esposto al museo archeologico della Valle dei Templi. Esposto per modo di dire, da qualche tempo inchiavardato e sepolto negli scantinati.
Alla richiesta di notizie sul materiale archeologico racalmutese conservato o esposto al Museo, la risposta dal personale addetto non poteva essere che pirandelliana:essoconsisterebbeinquindici pezzi non esposti, poiché di nessun valore espositivo, e in una imprecisata raccolta di monete, non esposte ugualmente perché molto preziose. C’è da consolarsi: il monetario, “in fase di riordinamento”, sarà esposto quanto prima. “Forse, l’anno prossimo,” è stato il pronostico del personale addetto, allungando i piedi sotto la scrivania e rinculando sulla spalliera della poltrona direzionale.

Se il Commendatore Whitaker fosse venuto in possesso o a conoscenza di questi e di altri reperti, oggi a Racalmuto ci sarebbe almeno un museo, come a Mozia, e non staremmo a sentire di sparsi e incontrollati rinvenimenti, di mura ciclopiche prima portate alla luce in contrada Grutticeddi, vigilate per un paio di mesi da un pubblico custode inviato dalla Soprintendenza di Agrigento e, infine, sotterrati un’altra volta.
Un assessore, in carica negli Anni Ottanta, ricorda di avere visto solo una volta alcune casse con 114 straordinari reperti (punte di frecce, suppellettili, monili...) di età preistorica. “Centoquattordici!” ricorda benissimo, e si rammarica el loro inventario mai pervenuto.
Al Serrone, al Babbalùci, alla Menta e in tante altre contrade chissadove, si dice che i contadini smuovessero la terra furtivi: di notte si sentivano i cadenzati rintocchi dei picconi alternarsi al singulto dei gufi.

Un luminoso giorno del luglio 2004, durante i lavori di sbancamento per ricavare verdi parchi e rotabili parcheggi, nei quartieri Bastione, Stazione e nel terreno di Padre Arrigo, vengono scoperte strane cavità somiglianti a grotte. “Tombe sicane” dice qualcuno; “bizantine” ipotizza un altro, bizantine come le monete non esposte al museo “San Nicola”, e si azzarda ad enumerarle, “forse una, due, tre.” Il giovane assessore che mi accompagna al sopralluogo nicchia e annuisce, annuisce e nicchia. Gesticola. Cincischia. L’augurio è che vengano appurate le “voci” e ne conseguano “scelte politiche conseguenti”. La ditta appaltatrice nel frattempo, di quelle grotte, ne  avrebbe tompagnate alcune. “Con tutto il cordolo funerario,” si mormora in giro. Si teme sia vero.
Speriamo di no,” dice l’assessore.
“Speriamo di sì,” dico io; chiudo gli occhi e penso: “Se il Commendatore Whitaker fosse venuto a Racalmuto, altra sorte sarebbe toccata al ‘cordolo’ funerario, alle tombe, alle mura interrate, alle monete inesposte”.

L’ipotesi non è peregrina. I Whitaker avevano proprietà a Racalmuto.
Se, nel 1898, come altrove ho documentato, invece di mandare due “incaricati speciali” a ispezionare la suddetta proprietà, fosse andato Pip, il cultore a tempo pieno delle cose antiche, l’archeologo appassionato, lo scopritore di Mozia, forse...


Piero Carbone





Sicilia svelata - Mozia: i rostri della battaglia delle Egadi (ITA/ENG/FR)


http://www.youtube.com/watch?v=pF23O72TUOE&feature=youtu.be


[PDF] 

lumie di sicilia - Associazione Culturale Sicilia Firenze


www.sicilia-firenze.it/upload/files/lumie_n53.pdf


Foto da Internet