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giovedì 7 novembre 2019

IL MIO "GIARDINO DELLA DISCORDIA" CITATO NEL NUOVO LIBRO DI FELICE CAVALLARO "SCIASCIA L'ERETICO"

Ancora non ho avuto li libro di Cavallaro tra le mani, ringrazio l'amico che in occasione  della presentazione del libro ieri alla Feltrinelli di Palermo si è imbattuto nella citazione e me l'ha voluta comunicare inviandomi il testo fotografato.




Citazione a pag 41 di un passo tratto da "IL GIARDINO DELLA DISCORDIA. Racalmuto nella Sicilia dei Whitaker" , Coppola editore, Trapani 2006, nel nuovo libro di Felice Cavallaro, "SCIASCIA L'ERETICO", Solferino editore, Milano 2019


http://www.solferinolibri.it/libri/sciascia-leretico/



Presentazione del libro "Sciascia l'eretico" di Felice Cavallaro

Pubblico
 · Organizzato da Fondazione Sicilia e altre 2 persone
  • Lunedì 11 novembre 2019 dalle ore 17:30 alle 20:30
    Prossima settimana1519°C Rovesci

    Villa Zito
    Viale della Libertà 52, 90143 Palermo

https://www.facebook.com/events/427634584616194/












lunedì 28 novembre 2016

DIECI ANNI FA, "IL GIARDINO DELLA DISCORDIA". Un televisivo ricordo: "Album" di Nuccio Vara


La realtà è "fantastica"

schermata you tube

ALBUM DEL 27 GENNAIO 2007


ALBUM, rubrica settimanale di cultura del TGR Sicilia. Edizione del 27 gennaio 2007. 
Registrazione della messa in onda; pubblicata su You Tube tramite il canale "Sicilinconia".

Servizio dedicato a "Il giardino della discordia. Racalmuto nella Sicilia dei Whitaker", Prefazione di Rosario Lentini, Coppola editore, Trapani 2006






Rosa Ricciardi







Le immagini di "Album" in questo Post sono schermate you tube

Un particolare ringraziamento al direttore Vincenzo Morgante che ha voluto il servizio
nonché a Nuccio Vara, Pippo Gigliorosso e Michele Pernaci che l'hanno realizzato. 

martedì 21 giugno 2016

QUANDO IN SICILIA I SINDACI COLTIVAVANO BACHI DA SETA. Il caso di Michele Angelo o Michelangelo Alaimo di Racalmuto



Sembra esotico eppure accadeva in Sicilia


Il 3 giugno 1871, il Presidente del “Comizio Agrario del Circondario di Girgenti”, venuto a sapere che “da parecchi anni” il Notaio si era dedicato, “con intelligente cura” alla coltivazione dei bachi da seta, gli chiede “a voler apprestare le risposte con qualche sollecitudine” ai seguenti quesiti:



1° Di che provenienza e qualità era il seme impiegato, cioè, da chi ebbe il seme, e se lo stesso sia indigeno, o di portogallo (sic), o del giappone (sic) o di altrove. 

2° Quando incominciò a schiudere il seme, ed in quanti giorni fu completo lo schiudimento?

3° Quale influenza esercita il nostro clima su questa utile industria, e se durante l’educazione si verifichino delle influenze atmosferiche che ne promuovono o attraversano lo sviluppo. 4° Se siensi sviluppate malattie durante l’allevamento, e con quali caratteristiche.

5° In quanti giorni siasi esso compiuto cioè l’allevamento del seme fino alla salita del bacco.



Il Notaio sericoltore, pur professandosi “profano della materia”, risponde puntigliosamente ai singoli quesiti: 

il seme era indigeno, avendolo ricevuto “per la prima volta (sono 3 anni) da Palermo”; 

lo schiudimento avvenne in tre giorni, “innalzando la temperatura nelle ore in cui la temperatura si abbassava”;
“nessuna malefica influenza pare abbia esercitato il clima sullo schiudimento del seme”; 

“nessuna malattia di quelle predominanti pare abbia afflitto i bachi da seta. 

I pochi morti prima si sono anneriti, poi son diminuiti di volume sensibilmente ed indi sono periti”; 

“la salita dei bachi regolarmente governati si è verificata al quarantesimo giorno”.

in

anno di pubblicazione 2006

sabato 11 giugno 2016

LEI PORTAVA... LUI PORTAVA... E SI COMBINAVA IL MATRIMONIO. Un esempio di "pitàzzu"




Un contratto nuziale, volgarmente detto pitàzzu

Lei portava in dote “sei coperte da letto, delle quali una cosidetta di comparsa, una al trapunto, un’altra all’ago, una tessuta al mattone, un’altra di color rosa e l’ultima imbottita denominata cottonina”.

E poi: 
“Sei paia di lenzuola di media qualità, quattro fodere per materassi di immordo, dodici paia di fondine per guanciali, dodici paia di calze, sei paia di mutande, sei abiti per donna di scarsa qualità, otto asciugamani, due tovaglie da tavola ed otto salviette, sedici fazzoletti per testa ed otto per naso, otto grembiali, quattro corpetti, due mantelline di panno di cui una nuova e l’altra usata, tre paia di calzature, due paia di orecchini, tre anelli ed un fermaglio d’oro, due paia di portali, due giraletti, una cassa cosidetta carriola”.

Lui portava case, appezzamenti di terreni a “Grotta di Mò” e “la ventesima parte del sottosuolo di are settantatre e centiare trentadue circa pari a tumoli tre circa, sita in contrada Mulona”.

in Il giardino della discordia. Racalmuto nella Sicilia dei Whitaker, Coppola Editore, Trapani 2006




lunedì 31 agosto 2015

2/2 - QUANDO LA SPAZZATURA ERA UNA RISORSA E NON UN PROBLEMA. Anche a Racalmuto



Disegno dei primi del Novecento. Non firmato.

I cànteri siciliani di cui parla Bonaviri ne L’incominciamento non hanno nulla a che fare, oltre l’assonanza, con i medievali “cantàri di gesta” spagnuoli o franzesi: nessun Cid o forsennato Orlando.

“I cànteri, usati per i bisogni corporali, per lo più venivano da Caltagirone, dove esiste una fiorente industria di ceramica. Infatti, per i più poveri si facevano cànteri d’argilla granellata d’una grigia terra detta dei monaci; per i ricchi, erano smaltati, con, a volte, pitture esterne, lineari, o in rilievo, in simil-oro, frequentissimamente dipinte di cavalieri e gran dame, o di onde spinte dal vento nel mare dove si sommergeva la luna.


“Lo smaltimento delle materie fecali era uguale per tutti: o si buttavano fuori paese lungo declivi in cui in aprile crescevano ortiche, o piccoli meli selvatici in bianca fioritura; oppure, quando passava col carretto sopra una enorme botte, il canteràro (mia madre ricorda massaro Paolo, sempre intabarrato in un fazzoletto color ciliegia: ‘O donne, gridava, passa il canteràro!’), le femmine si premuravano a fargli svuotare quei recipienti. 
Massaro Paolo ne faceva commercio con paesi vicini, o lontani, come Vittoria, dove si concimavano gli orti”.


Raccolta in diverse parti e in diversi modi, la mondizia, anche a Racalmuto, andava a finire nelle campagne, per ritornare in paese riciclata sotto forma di frutti della terra. Nelle campagne nei giardini negli orti, tutta lì andava a finire. 

L’ultimo raccoglitore di cui resta vago ricordo, fumiraro o canteràro che fosse, è mastru Graziu col suo sgangherato carretto e uno spelacchiato mulo che pareva un asino. 

Storicamente, una parte cospicua della munnìzza era destinata a concimare gli orti i cui ortaggi venivano venduti per pagare la gabella ai Withaker.

Da Il giardino della discordia. Racalmuto nella Sicilia dei Withaker, Coppola Editore, Trapani 2006. Presentazione di Rosario Lentini. Copertina di Nicolò D'Alessandro.

domenica 30 agosto 2015

1/2 - QUANDO LA SPAZZATURA ERA UNA RISORSA E NON UN PROBLEMA. Anche a Racalmuto


  
Chi, nel 1903, si aggiudicò per 1790 lire annue l’appalto del trasporto della spazzatura, aveva l’obbligo di farlo quotidianamente, compresi i giorni festivi.
Dalla ditta appaltatrice la spazzatura veniva raccolta nelle vie e piazze di Racalmuto e rivenduta come concime, per aumentare i profitti.

“Nella parola spazzatura - recitava l’art. 8 del capitolato - si comprende ogni sorta di mondizie, fimo, fanghiglia, polvere, stracci, pietre sparse ed altro”.


Il fimo ovvero il letame, miracoloso per il terreno, veniva raccolto dalle strade dopo essere stato disseminato da carovane di muli, cortei di capre e pecore, mute di cani senza padrone, stuoli di galline fuori le gabbie. Poi c’era quello accumulato nei punti di raccolta abusivi detti, con frase apparentemente francesizzante - e perché no catalana? -, darriè li casi, dietro le case, dove puntualmente campeggiava la scritta “vietato lordare” e dove puntualmente si formavano arcipelaghi di rifiuti d’ogni sorta.
Carogne semisepolte affioravano tumefatte. Il puzzore! In reconditi nascondimenti si sentivano guaiti e teneri miagolii di cuccioli e gattini abbandonati. I proprietari delle stalle vi andavano a svuotare cufìna e cuffùna di letame.

Gli immondezzai “dietro le case” erano assaltati di giorno da nugoli di mosche verdazzurre e al calar della sera diventavano frequentatissimi, fungevano da discarica e da gabinetti pubblici, quelli privati non esistevano affatto; negli angoli oscuri, immerse in nubi dense di indescrivibili odori, sagome accosciate emettevano brevi grugniti mentre intente ai bisogni corporali si davano la schiena per preservare spazi formali di pudore. Anche loro producevano concime. 
E letteratura.

Mattone in cemento colorato, cm. 20 x 20, 1940 ca.
Fabbrica G. & G. Martorelli, Racalmuto (Agrigento)

Il divino Omero, nel diciassettesimo libro dell’Odissea, ci fa sapere, cantando, che il letame era una ricchezza, veniva ammonticchiato con orgoglio presso le porte delle regge, da lì trasferito nei campi, e che Argo, il fedele cane di Ulisse, secondo la traduzione del Pindemonte, “giacea nel molto fimo di muli e buoi”.
In tempi più recenti, “tanti ebbero, bambini, un luogo di rapimenti e spaventi - soffitta o bosco - da visitare”, ha scritto Gesualdo Bufalino in Museo d’ombre. “A me orecchie rosse e felicità vennero da una meraviglia più ricca, l’immondezzaio comunale”.

Pagine d’album sul punto di stingere ci hanno lasciato Bufalino e Bonaviri sui fumirari di Comiso e i canterari di Mineo. Le loro immagini ci fanno capire che, sotto il riguardo dell’immondizia, veramente “ogni mondo è paese”. O meglio, lo era: sono mutati per fortuna i parametri dell’igiene pubblica e privata.

“Come accompagna lo sciacallo le carovane e il delfino le navi - ricor- da Bufalino - ‘u fumiraru’ (il venditore di letame) pedinava i quadrupedi lungo gli itinerari consueti del loro giornaliero cammino, per raccogliere le ciambelle che a intervalli regolari quelli sgravavano sul terreno a guisa di fumanti pietre miliari. Felice chi poteva a sera, rientrando a casa sfibrato dal sole, togliersi di dosso ed esibire agli occhi sgranati della famiglia un cancièddu (corbello) traboccante di superbo raccolto!”.

Da Il giardino della discordia. Racalmuto nella Sicilia dei Withaker, Coppola Editore, Trapani 2006. Presentazione di Rosario Lentini. Copertina di Nicolò D'Alessandro

mercoledì 24 giugno 2015

ANCHE RACALMUTO A PALAZZO MIRTO. Oggi Rosario Lentini presenta il libro sulla storia della Fillossera in Sicilia



Era nell'aria: oggi, al Palazzo Mirto di Palermo, Rosario Lentini presenta il suo libro sulla Fillossera, un insetto che attaccando i vigneti ha determinato nell'Ottocento disastrose conseguenze sull'economia siciliana. 
Nonostante gli approfondimenti finora condotti da diversi studiosi,  l'argomento rinviava a tante questioni aperte. Sono sicuro che la lettura non deluderà la curiosità suscitata. 
E' stato Rosario a farmi capire qualche anno fa l'importanza di alcuni documenti sulla Fillossera da me casualmente rinvenuti e che sono poi confluiti nel libro Il giardino della discordia.  Racalmuto nella Sicilia dei Whitaker, 2006.




   Dall'Introduzione
 di
 Rosario Lentini
Il giardino della discordia.


Carbone - ripeto - non è uno storico, ma ha colto subito l’importanza di due questioni sulle quali da tempo si svolgono indagini approfondite e alle quali non si è data ancora una risposta definitiva.
La prima riguarda l’autenticità dell’anno di arrivo di Ingham in Sicilia, il 1806, mai dimostrata documentariamente, ma suffragata, con una sorta di passa parola, da fonti giornalistiche di fine XIX secolo o anche da autori contempora- nei, quasi per tradizione orale. [...]

La seconda questione, cioè l’arrivo della terribile fillossera che devastò i vigneti d’Europa dalla seconda metà dell’800 in avanti, è ancora più importante e di estremo interesse, perché la documentazione rinvenuta da Carbone farebbe anticipare di diversi anni la rilevazione della presenza in Sicilia di questa grave malattia delle viti. 

Sin dallo scorso secolo, le fonti specializzate sono state concordi sul fatto che il primo caso di Phylloxera vastatrix si sia registrato a Riesi nel maggio del 1879, in contrada Due Palmenti, proprietà del signor Giovanni Calamita e che da lì essa si sia propagata a tutta l’Isola. 
Le indagini condotte sul posto dal- l’allora direttore della Stazione agraria di Palermo certificarono l’effettiva aggressione della fillossera. 



Ciò, ovviamente, non escludeva la possibilità che in altre contrade l’afide fosse già arrivato da tempo, ma che non venisse segnalato sol perché non vi erano periti disponibili o realmente capaci di distinguere l’insetto fillosserico da altri che pure imperversavano in quel periodo. 
Di contro, va detto che anche il protagonista di cui si narra in queste pagine, che nel 1871 scriveva di avere individuato la malattia nei suoi vigneti, potrebbe aver commesso un errore di valutazione. 

È noto, ad esempio, che un proprietario catanese di nome Stoppani, sin dal 1868 aveva lanciato l’allarme “sopra un esilissimo insetto” che cominciava a danneggiare le uve di quelle contrade e che negli anni successivi si propagò nelle campagne della Sicilia orientale. In assenza di descrizioni puntuali risulta impossibile, agli studiosi di oggi, identificare quell’agente patogeno. 

Non è, dunque, facile approdare a una conclusione condivisa sull’argomento, ma quanto meno, i ragionamenti dell’autore hanno il pregio di indurre alla ricerca di altre fonti e di sollecitare altri riscontri. [...]



Quando Rosario Lentini parlò di Fillossera in Portogallo


Foto ©piero carbone (particolari di Palazzo Mirto)

sabato 28 marzo 2015

IL PONTE COME METAFORA E IL DONO DI PRISCILLA. Un libro su Rosario Assunto pensando a Maredolce


Le coincidenze servono. Priscilla Alessi mi regala un libro della prestigiosa casa editrice di famiglia  su Rosario Assunto, filosofo del paesaggio, teorico del giardino, pensando all'avvenimento di alcuni giorni prima ravvivato da un bel corteo storico al giardino per eccellenza di Palermo, detto della Fawara o di Maredolce, e alla vigilia del centenario della nascita del filosofo di Caltanissetta da cui proviene la famiglia di Priscilla. 

E non posso far torto ai Whitaker, esigenti committenti di giardini, non citando per assonanza onomastica Il giardino della discordia. Racalmuto nella Sicilia dei Whitaker anche se il libro non filosofeggia, non teorizza sull'ontologia e teleologia del giardino, poco ha di estetica e molto  è ordito di liti avvocatesche originate dal racalmutese Giardino della Fontana.

Ma in tutto questo incrociarsi di richiami e coincidenze, soprattutto ricorre il centenario della nascita di questo filosofo "conservatore" che scrive come un letterato, con la sensibilità di un poeta, Rosario Assunto, nato a Caltanissetta il 28 marzo 1915 e morto a Roma nel 1994.

Il libro regalatomi raccoglie gli Atti di un  Convegno di studi ma contiene una chicca che vale la pena fare assaporare, è un inedito di Assunto: Il ponte che non c'è. Divagazioni estemporanee anni '80.

La divagazione sull'inutilità o sulla inopportunità del Ponte di Messina, che potrebbe sembrare ormai datata, si veste di attualità incrociando notizie attualissime di ponti storici siciliani eliminati o di ponti moderni chiusi o non aperti perché insicuri. Ma non penso che il filosofare di Assunto approdasse alla prospettiva di tagliare i ponti. Anzi!



















Dall'articolo di Carlo Volpino sul sito:


...gruppo di lavoro, coordinato dall’architetto Lina Bellanca, della Soprintendenza dei Beni culturali e ambientali di Palermo, al quale quest’anno la Fondazione Benetton Studi Ricerche ha assegnato il XXVI premio internazionale «Carlo Scarpa per il giardino». Una scelta coraggiosa, perché la cura dei luoghi, qui, come la intendeva un grande paesaggista e filosofo come Rosario Assunto, siciliano di Caltanissetta, del quale il 28 marzo ricorre il centenario della nascita, ha grandissime probabilità di risultare vana come la fatica di Sisifo.



Altri links correlati:

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http://ennapress.it/il-pittore-nisseno-rosario-assunto-viene-ricordato-da-francesco-guadagnuolo.html

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domenica 30 novembre 2014

GRAZIE AI FICHI!




Le 6572 ettare del territorio racalmutese si estendono, a detta degli storici, su una superficie “a forma di una grande foglia di fico”; ma i fichi a cui faccio riferimento, sempre a proposito di storia racalmutese, non sono un’immagine, bensì i gustosi frutti che maturano d’estate.

In particolare, i fichi del Raffo e del Saraceno, due contrade amene di Racalmuto, di cui era ghiotto Alfonso Bencivegna, un emigrante che aveva fatto fortuna all’estero: ogni anno ritornava in paese per rivedere i suoi parenti e farsi memorabili scorpacciate di gelsi e fichi. L’ho conosciuto, siamo diventati amici; molto simpatico. Per farlo felice, lo conducevo almeno un paio di volte nel giardino dei miei zii, in contrada Raffo.


Sotto un albero, «sai - mi ha detto - ho comprato casa». 
Era quella cosiddetta di “Donnarèlio”, don Aurelio Ajola, notaio; una casa signorile con due palme slanciate che ingentilivano il prospetto e intorniata da un ricco giardino; l’avevo sempre guardata con curiosità: era costeggiata da una fila di casette per la servitù. Della “Pantellerisa” sopravviveva ancora il ricordo in paese, la criàta forastiera di colore olivastro che assumeva tabacco.

Mi ci recai subito e varcato il cancelletto in ferro, che era aperto, vidi il vialetto che conduceva al portone d’ingresso disseminato di carte. “Non è possibile!” esclamai, e invece quelle carte, imbrattate di calce e cemento, erano documenti, atti, incartamenti legali, lettere, minutari e imbreviature notarili, pressoché irriconoscibili. Chiestane la ragione ai muratori, risposero che erano cartacce inutili, tutt’al più avevano vi avevano strappato i “franchibulla”, le marche da bollo con la scritta “Regno d’Italia” e i timbri a secco “Regno delle Due Sicilie”.


«Ma queste sono niente», aggiunsero, «proprio stamattina ne abbiamo scaricato un camioncino pieno in campagna».

Mi precipitai nei posti indicati e con avidità, con furia, raccolsi da terra strani frutti di carta stagionata. Alcuni integri, altri malandati e maleodoranti. 

In Il giardino della discordia. Racalmuto nella Sicilia dei Whitaker, Coppola editore 2006





Foto di Lillo Privitera  (San Fratello, estate 2009). Vista dal terrazzino di casa Mangione.