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mercoledì 13 luglio 2016

I DEL CARRETTO AD AGRIGENTO. Tracce racalmutesi nel capoluogo agrigentino. Dal blog di Elio Di Bella


Tra sogni e restauri

Mi ha incuriosito l'articolo pubblicato da Elio Di Bella sul suo interessantissimo blog, di cui riporto l'inizio e la fine, mentre mi piace immaginare che il palazzo commissionato dai racalmutesi del Carretto riproponesse altri collegamenti nell'attualità magari replicando mostre ed eventi culturali tra il Castello di Racalmuto e il Palazzo agrigentino commissionato nel Seicento. 

Quasi a farne una sorta di ponte ideale tra un paese e il suo capoluogo, tra la periferia e il centro. Nel nome dell'arte.  Nel nome della cultura. Penso ad esempio, per iniziare, ad una mostra del racalmutese Giampiero Cacciato che ha vissuto ed operato ad Agrigento o alla presentazione dei contratti sulla commercializzazione dello zolfo di Racalmuto della Ditta Stefano Pirandello & C. o alla presentazione della memoria storica del Falconcini o a una conferenza su Padre Calogero Salvo, libero pensatore e amicissimo di Padre Stefano Pirrera, o sull'avvocato Salvatore  Marchese, principe del Foro agrigentino, alla illustrazione dell'opera del prof. Giovanni Liotta che ha salvto il tetto ligneo della cattedrale e gli intarsiati scaffali della Lucchesiana, alla lettura della corrispondenza  del sanbiagese nonché agrigentino di adozione, che si è occupato di Monoculus Racalmutensis, Don Biagio Alessi con Leonardo Sciascia,  etc. etc, .
Per i reciproci collegamenti e rimandi, sarebbe un modo per   attualizzare la storia, far rivivere le pietre di un vetusto Palazzo. 

Lo so, sono state abolite le province, ma chi potrà mai ignorare o abolire il dialogo, gli scambi culturali, i collegamenti storici, la voglia di viverli rinnovellati?
                                                                                                           Piero Carbone



Incipit dell'articolo riportato da Elio Di Bella

Cenni storici

Arrivati alla piazza Plebis Rea e proseguendo per via Duomo, al civico 73, si giunge al palazzo denominato “Del Carretto” o “Lo Vetere”. Il suo nome deriva dalla famiglia Del Carretto, conti di Racalmuto, che lo aveva commissionato e successivamente acquistato dalla famiglia Lo Vetere, con l’impegno del pagamento di un censo alla chiesa della Madonna del Monte di Racalmuto.

Questo edificio, la cui realizzazione ebbe inizio quasi sicuramente nella seconda metà del XVII° secolo, venne costruito forse per creare un effetto di alta scenografia trovandosi a fronteggiare altri due edifici contemporanei di notevole importanza per la città di Agrigento: il palazzo della curia Vescovile e la biblioteca Lucchesiana (donata da Mons. Lucchese Palli a beneficio degli agrigentini).

Tale scenografia nasce da una concezione barocca, dove lo spazio urbano è visto ormai come una grande scena, ricca di variazioni illimitate, la cui nuova dimensione è raggiunta attraverso l’impiego di prospettive aperte, effetti dinamici, visuali impreviste, ed in cui i monumenti hanno la funzione di nuclei focalizzatori dei valori sia visivi che simbolici. Per questo la facciata dell’edificio barocco in questione è stata concepita più in funzione dell’ambiente circostante che dello spazio interno, tanto da diventare un elemento dell’arredo urbano.

La facciata perde, qui, il carattere di proiezione dell’organizzazione interna, caratteristica del Rinascimento, e acquista un nuovo significato in relazione al contesto urbano.


[...]



Explicit

Ipotesi di restauro architettonico

Il  recupero del Palazzo Del Carretto potrebbe svilupparsi secondo le seguenti direttrici:

eliminazione tempestiva delle superfetazioni di tipo strutturale; ripristino delle originali aperture per ridare all’edificio quel senso logico secondo il quale è stato progettato; restauro laddove possibile, degli elementi decorativi deteriorati (quali mensole, timpani, mostre delle finestre, basamenti delle colonne del portale e delle paraste, cornicione e colonne); ricostituzione dell’androne di ingresso; sostituzione dei conci deteriorati; pulizia dei prospetti e rifacimento dell’intonaco con colore originario.

di Daniele Volpe

in "Città Nuova" periodico stampato ad Agrigento n. 0

8 marzo 1994


Testo e immagini di questo post sono tratti dal blog di Elio Di Bella

giovedì 1 agosto 2013

SAN CALOJERU DI NNI NÙ. Contributo di Giovanni Liotta







San Calojeru di nni nù
di 
Giovanni Liotta

Da piccolo sapevo che di San Calojeru ce n'erano tre:

San Calojeru di Girgenti, San Calojeru di Naru e San Calojeru di nni nù (quello da noi).

Si diceva che forse erano fratelli e che non fossero santi di pari livello: ovviamente si affermava con evidente tono campanilistico che quello di Racalmuto era il migliore, come, del resto si affermava per tante altre cose, con la seguente rima:

San Calojeru di Girgenti fa li grazzii e si nni penti;

San Calojeru di Naru fa li grazzii a manu a manu;

San Calojeru di nni nù fa li grazzii a dù a dù.


In altri termini quello di cui fidarsi era quello "di nni nù", perché addirittura ti concedeva una grazia doppia rispetto a quella da te richiesta.



Link correlato:
http://archivioepensamenti.blogspot.it/2013/07/viva-viva-san-calo.html

sabato 2 marzo 2013

GLI EBREI A RACALMUTO. E DINTORNI




Abreu! Ebrei! Comu li giudei! dalle nostre parti sono modi di dire. 
Indicano comportamenti, atteggiamenti, modi di essere, una categoria astratta. Ci siamo abituati a sentirli e magari a ripeterli fin dall’infanzia. 

Con l’età matura si apprende che gli ebrei, o giudei,  sono un popolo concreto, storicissimo e lontano: la Palestina, la crocefissione, la diaspora… 
Quando poi scopriamo che sono stati anche a casa nostra, nei nostri territori, nei nostri paesi, e sopravvivono tutt’oggi nel nostro linguaggio, ce ne meravigliamo, più o meno compiaciuti, e vogliamo saperne di più. 

Entrano qui in gioco gli storici che con i loro mezzi di indagine e i loro metodi cercano di dare fondamento alle voci, ai modi di dire, agli indizi.  

Per noi l’ha fatto il giovane Nicolò Tinebra Martorana, pur non essendo uno storico di professione, il quale, quasi come un etnostorico ante litteram, non disdegna di considerare degne di valore documentale le cosiddette fonti orali, le tradizioni, la cultura immateriale.




TESTIMONIANZA DEL TINEBRA MARTORANA

"Esiste a pochi passi dal nostro Comune, e dalla parte del Carmine, un luogo detto Giudeo, con un fonte dello stesso nome. Non è dubbio che su questo suolo dovette abitare una colonia ebrea. Però Di Giovanni (1), diligentissimo scrittore su tal soggetto, non ne fa alcun cenno, pure intrattenendosi a parlare intorno agli Ebrei dei paesi circonvicini come Naro, ecc.

Che essi fossero numerosissimi a Girgenti ed a Naro e che i luoghi da essi abitati siano chiamati in questa prima citta Giudecca, è cosa ormai certa. Che essi fossero venuti a stabilirsi intorno al 5° o 6° secolo di Cristo ed altri in epoca più recente in ogni citta del Val di Mazara ed in non pochi dei Comuni, mescolandosi dapprima con i Cristiani e poi divisi e collocati nei loro ghetti, ne parlano tutti gli storici ed in ispecial modo Di Giovanni, La Lumia e Picone, il quale pubblicò documenti importantissimi non accennati da altri (2). 

Ma non sappiamo quando siano venuti a stabilirsi nel nostro Comune e quale sia la loro storia. Essi perciò se ne allontanarono nel dicembre dell'anno 1492 insieme agli altri Ebrei di Sicilia.
Ma la voce della tradizione parla costantemente di essi... 
Questo è segno non dubbio che gli Ebrei furono fra di noi, perché se ciò non fosse, la tradizione sarebbe muta e non sopravviverebbero alcuni loro usi."

Nicolò Tinebra Martorana, Racalmuto. Memorie e tradizioni, Assessorato ai Beni culturali del comune di Racalmuto 1982 (Prima edizione 1897)

(1) Di Giovanni - Ebraismo in Sicilia.
(2) G. Picone, Mem. Stor. Agrig., tra documenti.









TESTIMONIANZA DEL PICONE 

“Antichissima fu dunque la comunità degli Ebrei-girgentini, di cui si vede fatta menzione nei diplomi dei Normanni degli Svevi degli Angioini degli Aragonesi, fino al giorno della loro espulsione dall’Isola. 
[…] Essi vestivano gli abiti della loro antica patria.”

“La colonia ebraica era nostra concittadina, essa trafficava, commerciava, acquistava ed alienava beni, che possedette nel nostro territorio e nella città nostra, ove sorse la sua meschita, riccamente dotata da Salomone Anello, pio e sapiente ebreo-girgentino.
“Questa meschita, appellata anche dai nostri Ebrei (come dagli Arabi) Gemâ’, era sita nella strada, che allora appellavasi Reale, e confinava colle case del nobile Matteo Pugiades."

Giuseppe Picone. Memorie storiche agrigentine, Industria grafica T. Sarcuto snc, Agrigento 1984, riproduz. anastatica dell’edizione del 1866, pp. 510, 511.






TESTIMONIANZA DEL VALENTI


“Alfonso il Magnanimo aveva cercato di eliminare il dissidio tra cristiani ed ebrei, nominando, nel 1428, Gran Maestro degli Ebrei il girgentino Matteo Gimarra, che li avrebbe istruiti nella religione cristiana. 

"Giovanni d'Aragona, a sua volta, aveva concesso agli Ebrei di aprire, nel 1466, scuole a Girgenti, Naro, Siracusa e Polizzi. (1)

Durante gli anni di apertura dei re aragonesi nei confronti degli ebrei, il barone di Grotte Federico di Montaperto fu eccezionalmente confermato dal viceré Moncayo nella carica di governatore della Giudecca di Girgenti, a seguito della ‘supplica’ degli ebrei della città, i quali ne lodavano la correttezza  (2) e l’elevato senso di giustizia. La carica gli conferiva poteri decisionali nelle cause civili e penali di questa minoranza etnica”.

Calogero Valenti, Grotte. Origini e vicende, Amministrazione comunale di Grotte, stampato presso la Tipografia Moderna di C. Vitello, Racalmuto 1996, p. 59.

(1) G. Picone, op. cit., p. 747

(2) B. G. Lagumina, Codice diplomatico dei Giudei di Sicilia, Palermo 1890, ora rist. anast. 1990,
vol. II, pp. 7-10. Provvedimento in data 23 dicembre 1459.





giovedì 15 novembre 2012

AEREI DI PACE, A COMISO



In questi giorni l'aeroporto di Catania è chiuso per lavori di manutenzione, voli e passeggeri sono stati dirottati allo scalo militare di Sigonella, ma poteva rappresentare l'occasione per sancire concretamente, simbolicamente, la riconversione ad uso civile dell'aeroporto di Comiso che, ultimato da anni, aspetta sempre l'ultima o penultima autorizzazione per riaprire. 


Comiso negli Anni Settanta e Ottanta del secolo scorso ha ospitato i Cruise, missili americani a testata nucleare. 


Sulla scorta dell'esistenziale poesia quasimodiana esprimevo a mio modo l'angoscia che incombeva su tutti i siciliani: prefigurando, per esorcizzarla,  non improbabili scenari apocalittici. Come se non bastasse, quasi per scacciare i foschi pensieri, sentivo il bisogno di ribadirlo in dialetto,  e rimarcare che di noi, proprio di noi siciliani, si trattasse.


Sotto il riguardo più strettamente personale, la cronaca di questi giorni mi sollecita infantili ricordi quando durante i giochi in strada, con scanzonata innocenza, intonavamo la filastrocca


Apparecchiu miricanu
 jètta a bumma e si nni va. 

Aereo americano 
lancia bombe e se ne va. 

Chissà quante volte era accaduto e sarebbe accaduto che aerei, non solo americani, sganciassero dal cielo proiettili di morte e distruzione, ma per noi semplicemente assumevano la forma di caramelle e bummulùna, come noi chiamavamo i tranci di trecce zuccherose color rosa e turchese esposte sulle bancarelle domenicali. 


Nell'età adulta, le parole di quella filastrocca sarebbero state intese nel loro crudo significato.



  






Non sia subito sera


Soli si sta
(senza più turisti)
su un lembo di terra
coi missili sul cuore.
Vivamente si spera
non sia subito sera.

1980*



E ancora aspetta


“Spararu nni li parti di Missina
spararu nni li parti di Giurgenti
spararu a Leningradu, a Cuba, n Cina
spararu nni li parti d’Occidenti”
dissi lu Gazzettinu.
“A Comisu scacciaru li buttuna.”

Po’... cchjù nenti.

Doppu cent’anni l’isula diserta
ancora va circannu la so curpa.
Risposta cerca, l’addumanna a tutti.
Ma nuddru sapi nenti.

Ancora aspetta.

1982**



Hanno sparato dalle parti di Messina, / hanno sparato dalle parti di Girgenti, / hanno sparato a Leningrado, a Cuba, in Cina, /  hanno sparato anche in Occidente, / "ha detto il Gazettino. / A Comiso hanno premuto i bottoni. / Poi, niente. / Dopo cent'anni l'isola deserta / ancora va ricercando la sua colpa. / Risposta cerca, la domanda a tutti. / Ma nessuno sa niente. / E ancora aspetta.










da Sicilia che brucia, ediz Grifo, Palermo 1990

** da Pensamenti, Coppola editore, Trapani 2008

Immagini dall'archivio fotografico personale.





http://www.eilmensile.it/2012/04/05/sicilia-30-anni-dopo-di-nuovo-a-comiso-per-la-pace/