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mercoledì 24 luglio 2013

MA DA DOVE INCOMINCIARE? Gabriella Patti pittrice "astratta"



Non senza senso, ripropongo un'antica presentazione in catalogo.

Può sembrare perfino ovvio: il senso dell'oggi in quello che siamo, in quello che facciamo, va ricercato sempre nel passato. Se c'è un passato.

E' un'arte, un metodo, sapersi costruire un passato adeguato.

Altrimenti si veleggia sul mare della superficialità nell'affannosa ricerca della cosiddetta visibilità, perseguita ad ogni costo, anche se immeritata o inconsistente. E' la malattia di sempre, di quelli che, come diceva Seneca, “hanno bisogno della scena”, “scaenam desiderant” (Epistulae ad Lucilium, lib. XV, ep.II).

Ma per mostrare cosa?

Per recitare quale parte?

Gabriella Patti, detto ora con sguardo retrospettivo, col suo versare poesia in pittura, ha dimostrato nel tempo di saper recitare la propria.





LA PITTURA DI GABRIELLA PATTI
Il laico colore del mondo che l’arte ci sa dare.


     “Ma da dove cominciare?” è la domanda dell’adolescente Marianna Ucrìa alle prese con tele e colori, “dal verde tutto nuovo e brillante della palma nana o dal verde formicolante di azzurro della piana degli ulivi o dal verde striato di giallo delle pendici di monte Catalfano?”. 

Anche l’”astratta” Gabriella Patti, siciliana come la protagonista evocata da Dacia Maraini nell’omonimo romanzo, comincia  pittoricamente dal colore di un ente particolare (cristallo, nuvola, fondale marino) ma, come un pretesto, per smaterializzarlo, per estenuarlo ed accedere ad un colore mentale, fino a prescindere dalla stessa forma cui il colore originariamente ineriva. Ciò non stupisce se da architetto ricade come molti pittori-architetti nell’area d’influenza di Paul Klee con le sue svagate geometrie sottese al colore.

     Con processo inverso invece comincia non da un oggetto bensì da una suggestione poetica per “materializzarla” in macchie, in atmosfere, per dirla con la sintetica espressione di Paola Nicita, in “cromìe accese eppure evanescenti”. 
Il verso di Ibn Hamdìs, “ una boccetta rossa di rubino, con stimme di zafferano” le ha suggerito le macchie variegatamente rossoaggrumato della composizione “Baratro fluorescente” e “Il raggio verde” di Lucio Piccolo addirittura un trittico dove il poetico verde, simbolico, dialoga con circoscritti azzurri e pastose tonalità terrestri: “Ma il raggio che sembrò perduto/nel turbinio della terra/accese di verde il profondo/di noi dove canta perenne/una favola, fu voce/che sentimmo nei giorni, fiorì/di selve tremanti il mattino”. Un’intera mostra è sintonizzata sulla silloge del “barone magico” di Calanovella Gioco a nascondere...

Cartolina invito di una personale di pittura del 2009
   
     Neanche l’iniziale tecnica dell’acquerello ha fatto indugiare Gabriella Patti sul descrittivismo oleografico - siculo o non siculo non importa, con i soliti limoni e peperoni ad esempio - o su solipsistici ripiegamenti consolatori. La giovane pittrice siciliana  piuttosto va ad inserirsi in quella corrente di pittrici contemporanee che, secondo l’analisi di Emanuela De Cecco e Gianni Romano in un recente studio, “si sono fatte portatrici di messaggi più generali”. 
Ma per la giovane Patti, si capisce, la cui opera è in fieri, tale linea di tendenza va proiettata nel futuro, che auspicabilmente sarà ricco di validi inveramenti.
      Intanto, la Patti svolge un’opera didascalica: saturati come siamo dalle immagini, essa approda alla mistica del colore per cercare in qualche modo di rifondare il mondo usurato delle percezioni visive e ridare inizio al primordiale “e sia la luce. E la luce fu”. 
E quindi anche il colore, il laico colore del mondo che l’arte ci sa dare.
                                                                                                                    
Palermo, 1 Ottobre 2001                                                    Piero Carbone




Foto proprie

venerdì 5 aprile 2013

RACCONTARE ASTRATTAMENTE


Testimonianza per Maria Anna D'Agostino Mattiello




   Se la pittura astratta della prima metà del Novecento e l’avanguardia del secondo dopoguerra rifiutano la forma a favore, potremmo dire, del colore in sé, c’è chi, pur riferendosi a quelle scuole di pensiero, intraprende un personale cammino di ricerca artistica e piega quei modi di fare pittura alle proprie esigenze interiori.

   E’ così che in Maria Anna D’Agostino Mattiello notiamo un’apparente contraddizione: quella di indicare alcuni suoi quadri con titoli molto formali, descrittivi o narrativi addirittura,  per poi svolgerli astrattamente.

   Creano scontate aspettative titoli come “Popoli e costumi”, “Veliero”, “Cuore”, “Missionari”, “Lento cammino”, “Esuli”. Ma la D’Agostino non è una illustratrice, anzi, l’argomento annunciato è un pretesto, il punto di partenza di un processo astrattivo che la porta nel mare aperto del colore ove il cielo il mare i gabbiani sono calchi convenzionali ma vuoti, invisibili, in attesa di essere colmati  e resi visibili dalla scelta dell’artista, da una mano che brandisce  pennelli bene intrisi o trascina la spatola carica  di intenzionali impasti. Perché altrimenti la serie dei volti monocromi, gialli, azzurri, rosa, e i missionari biancoceleste, e il veliero di un rossonero materico? La pittura pensata diventa pittura vissuta.


     Più consona  pertanto appare la scelta di altri temi meno concreti, quali “Torpore”, “Conforto”, “Libertà”, “Divinazione”. Ma anche qui, perché la Libertà è un rossointenso assediato dal blunero  e il Torpore un cordone scuro che si distacca da uno sfondo chiaro di bianchi variamente venati e di gialli e arancioni  quasi allegri? 
     In ogni caso, come sostiene Wittgenstein nei suoi Pensieri diversi , e ben s’attaglia alla libera pittura della D’Agostino, “i colori stimolano alla filosofia. (…) I colori sembrano presentarci un enigma, un enigma che ci stimola – senza inquietarci”.   

Palermo, 2001


                                                                                                      

domenica 9 dicembre 2012

IL NUOVO OMAGGIA L’ANTICO. Tulumello a Racalmuto



La mostra di Agostino Tulumello al Castello Chiaramontano di Racalmuto (22 dicembre 2007 - 28 gennaio 2008) ha rappresentato un esempio tangibile del dialogo tra antico e moderno. 
Nella  Presentazione che qui ripropongo  cercavo di chiarirne in qualche modo i termini. 





Dialogare con la modernità in provincia

C'è il colore, essenza del  pictare, ma non è pittura; c'è lo scotch increspato che fa volume, ma non è scultura; ci sono la colla e le lettere prestampate della réclame, ma non è un collage, forse è un bassorilievo industriale su multistrato appeso ad un chiodo su una parete con un anello metallico.
O più tecnicamente, come ebbe a scrivere Francesco Carbone nel 1990, una "composizione visiva realizzata nello spazio sia bidimensionale che tridimensionale in cui il colore, o l'espressione che si riferisce ai colori, non dipende più in questo caso dalla sintassi del linguaggio comune, dal sistema dei concetti e delle sue regole abituali, ma da paradigmi ideali dove Wittgenstein distingue una condizione di senso dell'enunciato dalle condizioni della sua verità".






Quella di Tulumello, ci si passi la definizione, è una costruzione di forme mentali colorate; che una tale pittura (ma può dirsi tale?) s'affacci sul palcoscenico racalmutese patria del "classico" o classicheggiante Pietro D'Asaro può sembrare un affronto tanto distante è dalla sua pittura nel tempo (tre secoli abbondanti) e nella sua stessa concezione: la pittura del D'Asaro, ricca di forme e di colori riconoscibili e riconosciuti, protende ad una rappresentazione fedele della realtà in tutte le sue epifaniche manifestazioni, sacre e profane; quella di Tulumello si rifiuta di rappresentare la realtà naturale  sic et simpliciter, ma appunto per questo la presenza delle sue opere "mentali", razionali, astratte, svolge una funzione didattica, perché fa emergere il confronto tra due forme antitetiche di fare arte, anzi, diciamo semplicemente diverse.
 O meglio, tra una forma tradizionale e un'altra che il critico francese Michel Tapié chiamava art autre.







Se assumiamo una delle due a tesi e l'altra ad antitesi, perveniamo alla sintesi del linguaggio pittorico o artistico in generale che, lungo i secoli, afferma se stesso pur negandosi contìnuamente, incessantemente, nelle sue svariate forme, attraverso la cosiddetta "ricerca" degli artisti.



Opera donata al Castello Chiaramontano


Il Castello Chiaramontano di Racalmuto, per definire una sua identità come "Castello intelligente delle arti e dei saperi", non legato sicuramente a meccanismi commerciali o di conventìcola, vuole essere un contenitore culturale o palcoscenico dove fare esibire il carosello espressivo delle arti, senza preclusioni di sorta: senza rifugiarsi acri­ticamente nell'antico, senza esorcizzare né enfatizzare il moderno. 
Un contenitore culturale di provincia, insomma, che ambisce a non essere provinciale. E non è poco. 

Racalmuto, Dicembre 2007.

lunedì 15 ottobre 2012

FRANCO FASULO AL FUNDUK




Sabato 15 ottobre, sono stato ad Agrigento all’inaugurazione della mostra di pittura di Franco Fasulo e alle proiezioni delle videoanimazioni di Lillo Sorce; mi è piaciuta la Location, come oggi si dice, ho apprezzato l’associazione Funduk che ha promosso l’evento, la conduzione di Beniamino Biondi e la nota di Giuseppe Greco che voglio riportare condividendone gli entusiasmi e le prospettive. 

È stata anche l’occasione per incontrare tanti artisti e operatori culturali, tanti amici, che incarnano e animano una città che vuole essere dinamica, aperta, propositiva.



Ero stato tante volte a Santa Maria dei Greci e nelle sale espositive annesse, ma la mostra e le proiezioni hanno avuto luogo molto più modestamente in un’antica casa dell’omonima via, un’abitazione rustica, molto suggestiva, forse un fondaco, di età medievale, che ospitava a suo tempo uomini e animali: le volte, le pareti, la mangiatoia in tufo rossomiele risaltavano in un gioco di ombre riscaldate da direzionali luci calde, e, in contrasto a tanta antichità e rusticità punteggiata di ancestrali attrezzi di lavoro, i quadri modernissimi alle pareti, quadri non figurativi, astratti, di Franco Fasulo, secondo la lezione interpretativa di Francesco Catalano. “Paesaggi costruiti con la luce”. 

Sullo sfondo la lezione dell’agrigentino Provenzano, del “provenzale” Cézanne,  del pittore russo naturalizzato francese Nicolas de Staël.




Diego Romeo ha ricreato l’atmosfera accentuando latenti contrasti caravaggeschi con le sue intense foto dalle rimarcate inquadrature, visibili sul blog di Funduk.



Un personale ricordo mi ha sollecitato la mangiatoia, quello delle scuderie del teatro Regina Margherita di Racalmuto, sottratte nel breve periodo del mio assessorato alle cianfrusaglie lì in deposito e riconvertite nell'aprile del 2008 a spazio espositivo per una Via Crucis  disegnata da Totò Bonanno.  

Per non dire della "prima volta" nel 1986 al cortile di Santa Nicola, al Raffo, alla Fontana... 

In perfetta sintonia con una delle finalità del Funduk: riconoscere e valorizzare le risorse del centro storico.




 La nota di Giuseppe Greco:

“Un bagno di pubblico in quella che si credeva l'ultima serata al FUNDUK, perchè, notizia dell'ultim'ora, ci sarà il recupero dello spettacolo di Mimmo Galletto "Chiantu a scattacori" in programma il 14 settembre. 
Ritornando alla serata di ieri, bisogna ammettere che è stato un sincero trionfo che ha decretato, se ce ne fosse stato bisogno, l'enorme successo che  l'iniziativa ha riscosso. Complice soprattutto il bisogno che la Città ha di eventi culturali di un certo spessore e qualità, a dispetto di quanti possano affermare il contrario chiamando in causa la famosa "inedia" agrigentina. 
Non è affatto così, come ha espresso a noi  lo stesso Franco Fasulo ieri, in un momento "quasi privato" avuto con l'artista al termine della serata, quando sono rimasti  soltanto gli artisti e gli organizzatori. 

Io penso fortemente che Franco abbia ragione, come ha ragione lo stesso Lillo Sorce che in pratica ha affermato lo stesso concetto, con diverse parole, durante la proiezione dei suoi straordinari lavori. 

Che sia questa sorta di "ribellione" del pubblico agrigentino una reazione energica nei confronti di un appiattimento degli eventi culturali? 

Noi ci sentiamo di rimettere agli altri il compito di valutare simili questioni. 
Dal canto nostro continueremo il nostro percorso in virtù di un motivo in più, questa volta, la responsabilità di cui ci avete investiti, di non deludere le vostre attese per un proseguimento di queste nostre attività. 
Grazie Franco, Grazie Lillo, grazie a tutti i nostri ospiti e soprattutto grazie al nostro meraviglioso e affezionato Pubblico del Funduk!”