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lunedì 11 maggio 2020
"L'UOMO CHE EBBE DUE FUNERALI" SU "LA NUOVA TRIBUNA LETTERARIA". Recensione di Nicola Lo Bianco
martedì 7 gennaio 2020
domenica 28 aprile 2019
SU CRESCENZIO CANE. Una appassionata testimonianza critica di Nicola Lo Bianco
Con piacere ripropongo la testimonianza di Nicola Lo Bianco su Crescenzio Cane già pubblicata sul sito dedicato a Nat Scammacca. Crescenzio e Nat, uno di Palermo e l'altro di Trapani, sono stati entrambi membri e artefici in vario modo e in varia misura di quell'esperienza umana e letteraria denominata Antigruppo che, per il ruolo a suo tempo svolto e per gli stimoli che ha saputo lanciare, meriterebbe una maggiore attenzione critica da parte degli studiosi e dell'accademia. Intanto, Glenn Scammacca a Trapani e Nicola Lo Bianco a Palermo, ne mantengono viva la memoria. P. C.
CRESCENZIO CANE
O DELLA NOSTRA UMANA DIGNITA’
“Se senti due pietre muoversi
è il cuore di Palermo
che respira aria di rabbia.
Se ti parlo di rivoluzione
oggi negli occhi si scontrano
tutti i problemi del mondo e
il cuore di Palermo va a pezzi.
Crescenzio Cane, l’amico, il poeta, il pittore, il combattente, lo scontroso, il diffidente, il polemico, l’ arrabbiato Crescenzio, il poeta dell’Antigruppo siciliano, l’autore della “sicilitudine”, non è più tra noi:è morto giovedì 13 dicembre 2012, in polemica pure con la morte.
Era nato a Palermo il 25 settembre 1930.
Resta che la poesia, la pittura, gli scritti in prosa di Crescenzio Cane, sono un frammento vivo della storia di questa città, di Palermo, e della Sicilia, e, attraverso di essa ed esemplarmente, del Sud nostro e altrui: dovunque c’è un Sud nel mondo questa storia gli appartiene.
La storia non Ufficiale, si capisce, omissiva e bugiarda, ma quella della periferia, poco visibile ed oggi più che mai oscurata, la storia degli emarginati e degli oppressi, quella dei poveri di fronte alla storia dei ricchi, quella di chi in definitiva la subisce la storia e alla fine ne paga il conto totale.
A partire dal dopoguerra la vicenda umana e poetica di questo nostro scrittore s’intrinseca con i grandi eventi che mutano la fisionomia del paese: la fame e la miseria, l’emigrazione, le grandi lotte popolari degli anni ’60 e ’70, la “mutazione antropologica”, l’indecenza degli anni ’80, la depravazione economica politica
ed intellettuale degli ultimi venti anni.
ed intellettuale degli ultimi venti anni.
I titoli delle sue principali pubblicazioni possono dare un’idea del percorso letterario, radicato in una precisa realtà e coerente alle scelte esistenziali dell’uomo: dal racconto-saggio “La sicilitudine” (’59) (termine coniato dal Nostro e non da Sciascia come erroneamente si crede e si scrive) a “La radice del Sud” (’60), dai “Papiri” (’65) a “Edicola concreta” (’68); e poi “La freccia contro il carrarmato” (’71), “La bomba proletaria” (’74), “Il cuore di Palermo” (’80), “Lettera alla Libertà” (’85), “La memoria collettiva” (’87), i racconti de “La strada di casa”, le poesie de “I miei ultimi settantanni” …
Coerenza e fermezza ideologica ( ideologia come trama di pensiero e punto di vista sociale, non come bieco ideologismo, per favore) che nel tempo probabilmente gli hanno nociuto.
Crescenzio era ed ha vissuto da proletario, aveva quattro figli, un modesto stipendio, viveva in una casa popolare a Borgonuovo Sud.
E’ stato, dal punto di vista delle scelte culturali, un autodidatta, lontano e alieno da fisime e combriccole letterarie, non faceva professione di letterato.

Per volontà sua propria, o per diffidenza dell’ambiente culturale, o per incompatibilità con il clima politico in atto, non so, da alcuni anni Crescenzio si era isolato.
Eppure la sua poesia e la sua pittura sono state accompagnate da contributi critici di notevole spessore: Barberi Squarotti, Davico Bonino, Zavattini, Sciascia, Anceschi, Buttitta, La Duca, Manescalchi, …
Per tutti valga la sintesi critica che trovo in un giudizio di G.Zagarrio:
<…la poesia di Crescenzio Cane si impone per la sua capacità di tradurre il dramma esistenziale e storico che stiamo vivendo.>.
L’ho scritto altre volte ed in contrasto con alcune interpretazioni, a mio parere, parziali e riduttive: non è l’“ideologia” a promuovere la scrittura di Crescenzio, ma la tensione alla liberazione, al riscatto personale e sociale.E’ la pienezza e la dignità dell’uomo, quando e dovunque venga calpestata, ad accendere l’irrefrenabile impulso a tradurre poeticamente la rivolta dei sentimenti e il suo tormentato pensare.
Un modo forse per esorcizzare, per trovare un centro di gravità nel disordine di questo mondo, in ogni caso scrivere per Crescenzio non è un composè di parole fiorite, ma un’emergenza esistenziale e stilistica: . (“Viaggio intorno ai miei scritti”)
L’“impresa” del sapere si fa cosciente e determinata, scrivere .
Ma è anche un cruccio .Un “cruccio” che è poi la forza esplodente della sua poesia
Nel poeta Crescenzio aCane non c’è alcuna intenzione di formalizzare la vita, non c’è il perseguimento del “quoziente estetico”.
Egli vorrebbe anzi negarsi alla scrittura perché sa, appunto, che “non serve”; ma non può, pena il rinnegamento di se stesso e della classe sociale cui corporalmente appartiene.
Ciò che lo arrovella sta prima e dopo la parola scritta: il concreto della vita che è “emergenza” e perciò la scrittura non può che essere anch’essa “emergenza”.Assistiamo così al fascinoso paradosso di un linguaggio che si pone al limite tra il silenzio dell’oblio e la dirompenza dell’azione.
Tra il “silenzio” e l’“azione” rimane sospesa e inappagata l’aspirazione a un mondo liberato dall’ingiustizia e dalla protervia.
Scrivere è, perciò, un canto al “grande amore perduto” che si converte in un rifiuto radicale di tutto ciò che ostacola la presenza e la dignità cui aspira il cosiddetto “mondo basso”.
Per questa via l’opera di C. recupera il campo della letteratura, e la diffidenza verso le forme che armonizzano le fratture della vita cade in subordine, sopraffatta da risultati poetici di straordinaria energia e impetuosa bellezza.
Forte impatto emotivo, eloquio appassionato, vivezza narrativa, sono i segni evidenti di una scelta stilistica conforme alla materia ed alle intenzioni dello scrittore: un andamento discorsivo affidato ai modi del linguaggio orale.Dove vale non la forbitezza del linguaggio e la normativa grammaticale, ma la pregnanza espressiva, la prosodia dell’enunciato, capaci di trasmettere molto di più di quanto non dica la nuda parola.
Non ci resta che ribadire il senso che Crescenzio Cane ha inteso dare alla sua attività di poeta e di pittore , la matrice umana e tematica di quanto C. ha scritto nell’arco di un quarantennio.E tanto ci lascia in eredità.

< L’innominato potere occulto oggi comanda il Paese>, l’ “emergenza” continua, suoni l’allarme contro chi attenta alla , perché il grembo di cui si nutre il fascismo (con o senza l’orbace) è ancora troppo fecondo.
NICOLA LO BIANCO
martedì 10 ottobre 2017
ROSSO FUOCO COME UN TRAMONTO PALERMITANO. Per una recensione del libro di Nicola Lo Bianco "In città al tramonto"
In città al tramonto di Nicola Lo Bianco, Bastogi editore, Roma 2017. Il titolo potrebbe suggerire, per quasi meccanica associazione temporale, lo struggente crepuscolo dantesco dei marinai quando loro s'intenerisce il core, ma visto che non di mare si tratta bensì prevalentemente di terraferma, il tramonto rosso fuoco, avvertito con corporalità terrestre dall'umanità insediata alla Kalsa o a Danisinni, a Ballarò o a Borgonuovo, fa risuonare versi di tutt'altra musica:
"Schifezza dell'umanità, figlia di pezzenti, primaria buttana,
maledetta tu e tutta la tua razza,
io ti ammazzo".
("Cristofalo XV, "Il grande amore perduto").
Lo stesso autore del quadro riportato sulla copertina, Crescenzio Cane, di Nicola amico, non rimanda a borghesi o letterarie malinconie, visto che il Maestro Cane è lo stesso inventore e assertore della "sicilitudine" nonché autore dell'arrabbiata e rivoluzionaria, in versi, Bomba proletaria: poesia dei bisogni, quella di Cane, non certo poesia dei signori o decadente per vellicare palati proustiani, anche se nella sua pittura c'è una visione più rasserenata della realtà, come nel "Cavalluccio marino" della copertina.
Ma in città, al tramonto, è tragedia carnale di popolo. Nicola Lo Bianco la sa bene rappresentare per assidua propensione teatrale della sua scrittura.
Me l'aspettavo: così si dice quando uno ritrova in un libro lo stile e l'odore ovvero l'umore del suo autore. Penso alla Rapsodia del centro storico, la silloge che ha vinto il Premio Casteluccio nell'edizione 1988 presieduta da salvatore Di Marco e da me curata; penso al Lamento ragionato sulla tomba di Falcone pubblicato da Salvatore Coppola per le sue edizioni nel 2010. Uno stile di linguaggio e di sentire che si è venuto confermando nel tempo.
Ma è prosa o poesia?
"Ch'era arrivato il tempo anche per lui Cristofalo lo capì
quando con la lanterna accesa e il foglio in mano
per dire metti la firma qua che sono innocente
i picciottazzi nati e cresciuti senza arte né parte
lo salutavano di lontano gli scanazzati
lo aspettavano, ehi, Cristofalo,
vieni a fare lustro a questa coppola di minchia,
e la nottata gli passava a sghignazzare
dandosi manate e pisciando al muro".
("Cristofalo" V)
"Ti facevo campare nel benessere, e ti lamentavi.
C'era fame e miseria, e invece di ringraziarmi, mi sparlavi.
Ti sei fatta trattare per quella che eri, non c'eri nata per fare la signora.
Ci sono azioni peggiori del buttanesimo: una madre di sette figli che scende per strada come una zoccolara, si apposta, afferra e minaccia, alza le mani, chi? da dove viene?"
("Come finì la guerra tra Marò e Filì")
Poesia e prosa. E' l'una e l'altra, o, forse, né l'una né l'altra se l'una o l'altra la si vuol riconoscere formalmente con omogenità e lungo tutto un libro col metro della prosodia classica, eppure, il libro è compatto, compattissimo, perché la poesia è dentro o meglio: c'è un ritmo di lingua e di fantasia che, rompendo la tradizionale attesa della prosa come prosa e della poesia come poesia, riga dopo riga, a prescindere dal numero delle sillabe e degli accenti e delle rime, insomma, pagina dopo pagina, personaggio dopo personaggio, emergono proprio loro, i personaggi, e che personaggi: reietti perdenti da galera sconosciuti che sentono a loro modo la vita e la contano, la cantano e si raccontano, hanno le loro pene, i loro sogni, la loro filosofia, lontani dalla morale corrente o borghese che dir si voglia.
Lo Bianco amorevolmente li ascolta, li interiorizza, li rappresenta, dà loro voce e ribalta, assecondando l'assunto di un altro scrittore atipico, amicissimo, affine nella poetica, Salvo Licata, secondo cui "il mondo è degli sconosciuti". Assonanze di poetica, e considerato il valore dato alla parola, quasi una militanza, corroborata da amichevole frequentazione. Me li ricordo assieme ad un appuntamento di tanti anni fa in una tipografia di via Oreto: un fugace incontro, ma per me allusivamente significativo.
Assonanze, frequentazioni, dunque, scaturite, direi generate, da una certa idea della parola cercata nelle strade secondarie, nei quartieri malmessi, nei mercati popolari della città, a spremerne suoni, significati, giri sintattici, fallimenti, tragedie, degrado, non per compiacersene ma per andare alle radici sociali dei vinti, dei perdenti ovvero vittime perlopiù inconsapevoli di una generale ingiustizia, degli infelici che, però, promanano a loro modo, con autenticità, viscerale attaccamento alla vita tra fatti di sangue, povertà, devozionismo forse senza devozione, sboccato sentire, piaceri della carne perfino moralismo sui generis e intuitiva filosofia della vita.
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| Teatro "Ditirammu" di Rosa e Vito Parrinello |
Di tutto questo serba sentore il libro di Nicola Lo Bianco che potrebbe intendersi per naturale propensione o destinazione una vera e propria piece teatrale: sarebbe stata nelle corde dell'attore palermitano di origini racalmutesi Gigi Burruano da poco scomparso che Nicola ha pianto affermando che con l'attore comico e tragico insieme, e non solo sulle scene, se ne andava "una parte di noi".
Il valore del libro di Lo Bianco sta anche in questo: nello scolpire con parole tutte carne e visceri la teatralità di una città anche nei suoi aspetti più scabrosi, così come bene è sintetizzato nella lettura di Alfio Inserra: "Così, attraverso un incalzare di flash in progress, supportati da vigore poetico, le vie e le piazze di questo agglomerato urbano si fanno agorà e teatro e ci chiamano alla compartecipazione di questa atmosfera drammatica".
Prosa, poesia, teatro? Questione superata dall'empito dell'autore che, tra reattività morale e compartecipazione con lo stesso mondo rappresentato, tracima i consueti steccati linguistici, formali e semantici, per dar voce a chi voce non ha o non conta anche se grida; oscillante tra sogno e ansia di giustizia o felicità: sogni, ansia di giustizia, desiderio di felicità, nei casi particolari o nella loro universalità, non seguono grammatiche e casellari, in nessuna lingua.

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| Nicola Lo Bianco al Teatro Ditirammu per la rappresentazione del suo spettacolo "Dichiarazione d'amore", 20 luglio 2017. Anche le altre foto si riferiscono al suddetto spettacolo. https://archivioepensamenti.blogspot.it/2017/07/dichiarazione-damore-spettacolo-di.html |
giovedì 6 aprile 2017
SONO PREOCCUPATO: COSA CI RIMANE? Se lo chiede Nicola Lo Bianco. Solo lui? Speriamo di no
Come mai, a fronte delle tante e ricorrenti iniziative, il bullismo persiste dentro e fuori la scuola, il vandalismo è all’ordine del giorno, l’insensibilità al rispetto di cose e persone è, soprattutto tra gli adolescenti, quasi un dato caratteriale?
Sprofondati in un presente angusto e ottuso, vivono immersi in uno stato d’animo di selvaggia libertà, un mondo “tra di loro”, che prescinde dagli adulti, distaccato da ciò che dovrebbe rappresentare un modello educativo.
Non la famiglia, più o meno impotente di fronte alle preponderanti forze esterne; non la parrocchia, che non regge il confronto con la “voglia di divertirsi”; non la scuola, instabile e precaria anch’essa, in bilico tra l’ assistentato giovanile e la paura di crollare.
Che cosa rimane?
La TV, il Centro commerciale, la vociata di papà, e i “picciuli”.
Nicola Lo Bianco
Nicola Lo Bianco
Genesi del Post: dal dialogo su fb
Piero Carbone da Racalmuto grazie; intanto... grazie per lo stimolo efficace. Spero a presto anch'io
ph ©pierocarbone (Maredolce,
sabato 25 gennaio 2014
NOI CHE RICORDIAMO COPPOLA BATTENDO LE MANI
Il ricordo di Salvatore Coppola aprirà la bella iniziativa intitolata "Kaos", animata da un manipolo di sognatori con l'abile regia di Peppe Zambito e Anna Burgio, che si terrà oggi e domani a Montallegro.
Giacomo Pilati, autore della prima ora per le edizioni Coppola, intratterrà una conversazione con Nicolò D'Alessandro, Daniela Gambino, Ezio Noto e il sottoscritto per una testimonianza su Salvatore sotto i molteplici aspetti del suo essere editore, autore, cittadino impegnato, amico.
| Da sx: Nicolò D'Alessandro, Rosario Lentini, Salvatore Coppola |
In suo nome sarà conferito il premio per la legalità al giornalista Pino Maniaci, conduttore di Telejato, operatore scomodo e coraggioso dell'informazione.
Ho conosciuto Salvatore come editore con cui abbiamo realizzato due libri (altri erano in progetto) ma ho avuto modo di apprezzarlo anche come siciliano impegnato in tante battaglie per legalità e ho avuto il piacere di averlo amabile amico.
Quando con la mia collega Katia Melfi gli chiedemmo una volta un consiglio, un supporto per una manifestazione sulla legalità nella nostra scuola, grazie a lui ne è venuto fuori un significativo evento con la partecipazione di tanti personaggi impegnati in prima persona contro la mafia e ogni forma di prevaricazione.
Intervennero la vedova di Libero Grassi, Pina Maisano, l'avvocato Michele Costa figlio del procuratore ucciso Gaetano, l'autore Giuseppe Incandela che presentò Un fiume di sangue, i ragazzi di Addio Pizzo a cui sarebbe andato in parte il ricavato dei primi Pizzini della legalità. La manifestazione non costò una lira alla scuola.
Tanto fu incisivo l'incontro che i ragazzi stessi scrissero in prima persona le loro impressioni, i loro desideri, la loro rabbia, le loro speranze.
Egli le raccolse e ne fece un pizzino.
Si parla dei "pizzini della legalità su "Vanity
Tamara Ferrari li recensisce su Vanity Fair del 6 dicembre 2007
Pensieri semplici, ma rivoluzionari se detti da ragazzi che gravitano su quartieri quali Brancaccio, Guadagna, Ciaculli...
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| Ediz. 2007 Dirigente Rosalia Di Franco |
*
E' bello sentire parlare di legalità e di gente che ha deciso di vivere senza paura.
*
La mafia usa i pizzini per la criminalità, noi li usiamo per combattere la mafia.
*
Con questi pizzini vogliamo dimostrare che se vogliamo si può sconfiggere la mafia.
*
Io ho un grande sogno: la Sicilia libera dalla mafia.
*
Alcune volte i mafiosi uccidono i padri di famiglia. Non si rendono conto che il male lo fanno ai loro bambini?
Con lo stesso candido slancio dei giovani autori del pizzino scolastico, l'autore de "La donna che camminava battendo le mani, dopo il falso incipit dell'amletico dilemma ovvero "la donna che camminava battendo le mani, oppure la donna che batteva le mani camminando", sogna un corteo che procede battendo le mani e man mano va raccogliendo uomini e donne da tutta la terra: Silvia, Rita, Reda dal Marocco, Jana dall'Olanda, Abraha dall'Etipia, Nelso dal Sudafrica, ma anche la vecchietta, un gruppo di studenti, alcuni operai, un meccanico che ha chiuso la sua officina, milioni di persone.
Quando l'ultimo arrivato chiede perché battono le mani, l'autore risponde: "Battiamo le mani camminando perché vogliamo la pace nel mondo". Una pace invocata, gridata in tutte le lingue del mondo.
Alla fine, quello che sembrava insensatezza viene rivelato; la donna che camminava battendo le mani oppure che batteva le mani camminando prende tra le sue le mani dell'autore dell'utopica visione e dice: "Grazie, Salvatore, era proprio questo quello che volevo 'dire' con le mie mani".
A Montallegro, e grazie a Kaos, batteremo le mani a Salvatore, non per manifestare scontati apprezzamenti, non ce n'è bisogno, ma per dire che anche noi vogliamo essere partecipi del suo sogno battendo le mani mentre ricordiamo o mentre ricordiamo battendo le mani.
Un ideale battere le mani con una poesia di uno degli autori pubblicati da Coppola Editore
A SALVATORE COPPOLA
NELL’ATTESA
Mi piacerebbe venire a sapere che il mio amico
Salvatore Coppola editore, colpito al cuore,
lungo disteso sul letto lui solo in compagnia
della morte ha dato battaglia sino all’ultimo respiro
a quella donnissima zoccolara che si chiama vita
che l’ha sfidato per quanti anni l’ha maltrattato
gli ha messo le corna della malignità, maligni
chi l’ha guardato con l’occhio dell’indifferenza,
ora mi piacerebbe sapere che non gli ha dato vincitoria
che Salvatore Coppola editore è tornato a svolgere i suoi
“pizzini” della sorte, i “pizzini” del sogno della vita.
Nicola Lo Bianco
L'INIZIATIVA PROMOSSA DA GIACOMO PILATI
UN LUOGO PER LICCHIA Editore, Scrittore, Gigante" FIRMA ORA
Salvatore Coppola (Trapani 1951-Palermo 2013) è stato uno dei protagonisti della cultura siciliana degli ultimi trenta anni.
I libri della sua casa editrice fondata nel 1984 hanno costituito l’ossatura di un catalogo che si è arricchito ogni anno di autori importanti e autorevoli, legati tutti da un sincero spirito antimafia.
Una rete che ha coinvolto scrittori italiani e americani (Antonio Fragola, Gaetano Cipolla), artisti internazionali come Nicolò D’Alessandro, parolieri del calibro di Pino Romanelli, talenti della scrittura e della musica come Marilena Monti, narratori come Salvatore Mugno, Giacomo Pilati, Rocco Fodale, Daniela Gambino, Ninì Ferrara, Salvatore Di Marco, Ignazio Apolloni, Pasquale Marchese, poeti come Salvo Ognibene, Piero Carbone e tanti altri. Una rete.
E lui lì dietro a cucire le maglie sottili del cambiamento per avanzare una idea, una ipotesi, per allargare un buco, per preparare un progetto di rinascita culturale.
I suoi pizzini hanno smitizzato i miserabili pizzini di Provenzano , consegnando a pochi euro brevi racconti intrisi del piacere della legalità, uno strumento straordinario di comunicazione fra gli operatori della società civile, volontariato e tutti gli altri protagonisti del mezzogiorno onesto e laborioso.
Un’idea facile ed economica che è servita a finanziare le attività delle associazioni antimafia Salvatore Coppola ha dedicato tutta la sua esistenza alla diffusione dei suoi libri, promuovendo la cultura perfino in zone emarginate dai circuiti editoriali come Scampia; qui ha fondato una piccola succursale della casa editrice .
E’ stato un militante della cultura che ha sacrificato la sua vita, le sue risorse economiche per offrire agli altri la possibilità di raccontare storie, denuncie, testimonianze.
Trapani vuole ricordarlo intestandogli uno spazio all’interno della Casina delle Palme, sede storica di incontri e di dibattiti, di musica e di spettacoli.
Un luogo aperto alla città, per fare rivivere lo spirito di questo gigante della cultura siciliana.
Firma La Petizione
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http://www.youtube.com/watch?v=t-mbwZpmIfM
http://archivioepensamenti.blogspot.it/2013/10/ciao-salvatore-coppola-editore.html
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