Visualizzazione post con etichetta Pensamenti. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Pensamenti. Mostra tutti i post

martedì 25 novembre 2025

DICE_SENECA... SULLA FAMA. È il giudizio che conta

 La fama ha certamente bisogno della voce pubblica; 

ma per avere un nome degno d'onore

 non è necessaria la voce pubblica, 

basta essere giudicati bene.

Seneca, Lettere a Lucilio, Lettera II (102), trad. Balbino Giuliano,

Zanichelli, Bologna 1980


Che dice l'IA?

"Seneca, nella Lettera 102 a Lucilio (in particolare § 14-17), sta discutendo del desiderio di gloria postuma e della differenza tra la vera eccellenza (virtus) e la semplice notorietà. Il passo che hai citato è una delle sue affermazioni più nette e paradossali sulla fama.Il significato profondo del pensiero« La fama ha certamente bisogno della voce pubblica;
ma per avere un nome degno d’onore
non è necessaria la voce pubblica,
basta essere giudicati bene. »
Seneca distingue con precisione chirurgica due cose che la maggior parte degli uomini confonde:
  1. La fama (fama)
    È un fenomeno sociale, acustico, collettivo: esiste solo nella misura in cui «la voce pubblica» (vox publica) la diffonde. È fragore, eco, rumore. Può essere meritata o immeritata, duratura o effimera. Dipende dagli altri, dal caso, dalla fortuna, dalle mode. È ciò che oggi chiameremmo “hype” o “viralità”.
  2. Il nome degno d’onore (nomen honestum)
    È invece un giudizio di valore che non richiede platea. Può esistere anche nel silenzio più assoluto. È sufficiente che l’anima virtuosa sia “giudicata bene” – e da chi?
    Seneca lascia intendere: dal tribunale interiore della coscienza e, in ultima analisi, dalla ragione universale (il logos divino che abita in noi). In altri termini, basta che tu sappia di essere nel giusto e che la tua azione sia conforme alla natura razionale.
Il paradosso stoicoIl paradosso è splendido: l’uomo veramente grande può essere ignorato da tutti i contemporanei e perfino dai posteri, eppure possedere già, qui e ora, una gloria più solida di quella di qualsiasi trionfatore.
Catone l’Uticense, l’eroe di Seneca, è l’esempio perfetto: sconfitto politicamente, deriso dai vincitori, morto suicida, eppure – proprio per questo – il suo nome è diventato eterno. Non perché la folla lo acclamò (la folla lo odiava), ma perché la sua virtus era evidente a chi aveva occhi per vedere.
Seneca sta dicendo a Lucilio (e a noi):
  • Non lavorare per i like del tuo tempo.
  • Non misurare il valore della tua vita dal numero di persone che ne parlano.
  • Lavora per essere “giudicato bene” dal giudice più severo e più affidabile che esista: te stesso quando sei solo con la tua coscienza e con la ragione.
Una lettura contemporaneaOggi, nell’era dei social media, questo pensiero suona quasi profetico.
Milioni di persone inseguono la “voce pubblica” – like, follower, menzioni, trending topic – convinti che quella sia la gloria. Seneca li guarderebbe con pietà: state inseguendo la fama, non l’onore.
La fama è volatile, manipolabile, spesso ingiusta.
L’onore invece è una moneta che non si può falsificare: o ce l’hai dentro o non ce l’hai.
Chi posta per essere visto in realtà sta mendicando la vox publica.
Chi agisce rettamente anche quando nessuno lo vedrà, anche quando sarà dimenticato, anche quando verrà calunniato, costui sta costruendo un nomen honestum che nessuna cancel culture potrà cancellare.
In una sola frase, Seneca smaschera l’illusione di fondo della nostra civiltà dello spettacolo:
la vera grandezza non ha bisogno di pubblico.
Le basta essere giusta". AI Grok

Però!


martedì 21 ottobre 2025

DICE WITTGENSTEIN... SULL'INSEGNAMENTO DELLA FILOSOFIA. E NON SOLO. In-citazioni a pensare



 Chi oggi insegna filosofia dà all'altro dei cibi

non perché gli piacciano, ma per far sì

che il suo gusto si modifichi.

Ludwig WITTGENSTEIN, Pensieri diversi,  

edizione italiana a cura di Michele Ranchetti, Fabbri Editori, 1996

Vale anche per la scrittura, naturalmente, se dietro la scrittura c'è uno scrittore.

Athos Collura, Uovopietra,  
Colori acrilici su tela cm 100 x 70 2014

Ho chiesto  all'Intelligenza Artificiale un commento: 

"Il pensiero di Wittgenstein che citi, tratto dai Pensieri diversi, è un’osservazione acuta e provocatoria sul ruolo dell’insegnamento della filosofia. Lo commenterò brevemente, cercando di cogliere il suo significato e la sua portata.Wittgenstein sembra suggerire che l’insegnamento della filosofia non si limiti a trasmettere contenuti o idee che risultino immediatamente gradite o appetibili all’allievo. 

Piuttosto, il filosofo-educatore offre “cibi” – metafora per concetti, prospettive, modi di pensare – che possono risultare inizialmente estranei o difficili da digerire. 

L’obiettivo non è compiacere, ma trasformare, spingere chi apprende a modificare il proprio “gusto”, ossia il proprio modo di vedere il mondo, di ragionare e di porsi domande. 

Questo pensiero riflette l’approccio di Wittgenstein alla filosofia come attività trasformativa, non dogmatica. La filosofia, per lui, non è un insieme di dottrine da accettare passivamente, ma un processo che sfida le abitudini mentali, spingendo a riconsiderare le proprie certezze e a sviluppare una sensibilità nuova verso i problemi. È un invito a uscire dalla zona di comfort intellettuale, accettando il disagio che deriva dall’incontro con idee non familiari.

Inoltre, il riferimento al “gusto” implica una dimensione personale e soggettiva: il filosofo non impone verità assolute, ma lavora per affinare la capacità critica dell’altro, rendendolo più consapevole delle proprie prospettive. Questo si collega al metodo di Wittgenstein, che nei suoi scritti (come il Tractatus o le Ricerche filosofiche) invita a un’esplorazione del linguaggio e del pensiero che sia attiva, non passiva.

In sintesi, Wittgenstein ci ricorda che insegnare filosofia non è nutrire con risposte preconfezionate, ma stimolare una trasformazione interiore, un cambio di prospettiva che può essere scomodo ma profondamente arricchente. 

È un invito a vedere la filosofia come un viaggio di crescita, non come un semplice trasferimento di conoscenze." AI Grok


Ho chiesto inoltre: Si può estendere questo pensiero anche alla scrittura? Come?


"Sì, il pensiero di Wittgenstein si può estendere alla scrittura, e lo si può fare in modo ricco e significativo, considerando la scrittura non solo come atto comunicativo ma come processo trasformativo, simile all’insegnamento filosofico. Ecco come:

Scrittura come offerta di "cibi" nuovi: 

Wittgenstein parla di offrire "cibi" non per compiacere, ma per modificare il gusto. Nella scrittura, un autore non si limita a produrre testi che assecondano le aspettative o i gusti preesistenti del lettore. Piuttosto, un buon testo – che sia un saggio, un romanzo o una poesia – può sfidare il lettore, presentando idee, immagini o prospettive che lo spingono a riconsiderare il proprio modo di pensare o sentire. Ad esempio, un autore come Kafka o Dostoevskij offre narrazioni che non confortano, ma provocano, costringendo il lettore a confrontarsi con domande esistenziali o morali scomode.

Trasformazione del "gusto" del lettore: 

Scrivere, in questo senso, significa lavorare per affinare la sensibilità del lettore, il suo “gusto” intellettuale o emotivo. Un testo filosofico, come quelli dello stesso Wittgenstein, o letterario, può spingere il lettore a sviluppare una nuova capacità di percepire il linguaggio, le sue ambiguità e i suoi limiti. Ad esempio, la scrittura di Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche invita a un’attenzione quasi meditativa al linguaggio quotidiano, modificando il modo in cui il lettore concepisce le parole e il loro uso.

Scrittura come attività maieutica: 

Come l’insegnante di filosofia, lo scrittore agisce come una guida che non impone verità, ma stimola il lettore a esplorare, dubitare, immaginare. La scrittura diventa un dialogo implicito, dove il lettore è chiamato a partecipare attivamente, non solo a consumare. Questo è evidente in opere sperimentali o aperte, come quelle di Joyce o Calvino, che richiedono al lettore di costruire significati, modificando il proprio approccio alla narrazione.

Sfidare le convenzioni: 

Wittgenstein suggerisce che l’insegnamento filosofico non segue il gusto corrente, ma lo trasforma. Allo stesso modo, uno scrittore autentico può rompere con le convenzioni letterarie o stilistiche per offrire qualcosa di nuovo, che spiazzi o disorienti. Pensiamo alla poesia di Rimbaud o alla prosa frammentaria di Benjamin: queste scritture non si piegano ai gusti dominanti, ma invitano a un cambiamento di sensibilità estetica e intellettuale.

Scrittura come processo di crescita per lo scrittore stesso: 

Estendendo il pensiero, anche per chi scrive il processo creativo può essere un modo per trasformare il proprio “gusto”. Scrivere richiede di confrontarsi con le proprie idee, metterle in discussione, affinarle. In questo senso, la scrittura è un atto filosofico, che educa e trasforma lo scrittore tanto quanto il lettore.

In conclusione, la scrittura può essere vista come un gesto che, come l’insegnamento filosofico di Wittgenstein, non si limita a soddisfare aspettative, ma cerca di ampliare gli orizzonti, stimolare nuove prospettive e trasformare il modo in cui si percepisce il mondo. 

È un invito a “mangiare” qualcosa di insolito, che cambi il nostro gusto e, con esso, il nostro modo di essere." AI Grok


Vale anche per la pittura?


"Sì, il pensiero di Wittgenstein si può estendere anche alla pittura, e lo si può fare in modo altrettanto profondo, considerando l’arte pittorica come un mezzo per offrire “cibi” che trasformano il “gusto” dello spettatore, proprio come nell’insegnamento filosofico o nella scrittura. Ecco come: 

Pittura come offerta di "cibi" nuovi: 

Wittgenstein parla di cibi offerti non per compiacere, ma per modificare il gusto. Nella pittura, un artista non crea necessariamente opere che rispondono ai gusti estetici consolidati del pubblico, ma propone visioni, forme o colori che possono risultare spiazzanti o difficili da accogliere. Pensiamo a opere come quelle di Picasso nel periodo cubista o di Pollock nell’espressionismo astratto: queste non cercavano di compiacere, ma di sfidare lo spettatore, invitandolo a vedere il mondo in modo nuovo.

Trasformazione del "gusto" estetico: 

La pittura, quando è innovativa o provocatoria, agisce sul modo in cui lo spettatore percepisce la realtà e l’arte stessa. Un dipinto può modificare il “gusto” estetico, spingendo a riconsiderare cosa sia bellezza, armonia o significato. Ad esempio, le opere di Van Gogh, con i loro colori intensi e le pennellate emotive, non si limitano a rappresentare il mondo, ma educano lo spettatore a cogliere l’intensità emotiva dietro la realtà visibile.

Dialogo tra artista e spettatore: 

Come l’insegnante di filosofia, il pittore propone un’esperienza che richiede partecipazione attiva. Guardare un quadro non è un atto passivo: un’opera di Caravaggio, con il suo uso drammatico della luce, o di Kandinsky, con le sue astrazioni, invita lo spettatore a interrogarsi, a sentire, a costruire significati. Questo processo trasforma la sensibilità visiva e intellettuale di chi osserva.

Rottura con le convenzioni: 

Wittgenstein sottolinea che l’insegnamento filosofico non segue il gusto corrente, ma lo cambia. Allo stesso modo, la pittura d’avanguardia – come il futurismo, il surrealismo o l’arte concettuale – sfida le convenzioni estetiche del suo tempo. Duchamp, con il suo Fontana, non offre un’opera che “piaccia” nel senso tradizionale, ma costringe a ripensare cosa sia arte, modificando radicalmente il gusto dello spettatore.

Pittura come trasformazione per l’artista: 

Analogamente a quanto detto per la scrittura, il processo pittorico trasforma anche l’artista. Creare un dipinto significa esplorare nuove tecniche, emozioni o idee, affinando il proprio “gusto” estetico e concettuale. Monet, ad esempio, nella serie delle Ninfee, ha continuamente rielaborato il suo modo di vedere la luce e la natura, evolvendo il proprio linguaggio artistico.

In sintesi, la pittura, come la filosofia e la scrittura, può essere un mezzo per offrire “cibi” che non assecondano il gusto corrente, ma lo sfidano e lo trasformano. È un invito a vedere diversamente, a sviluppare una nuova sensibilità visiva ed emotiva, sia per lo spettatore che per l’artista. 

Wittgenstein ci ricorda che l’arte, come la filosofia, non è consolatoria, ma trasformativa, e la pittura incarna pienamente questa capacità di cambiare il nostro modo di percepire il mondo." AI Grok








giovedì 9 aprile 2020

Totò Nocera recita "Diminaglia" con Laura Carbone




Favara, Castello Chiarmontano 2008 Dalla silloge Pensamenti di Piero Carbone, Coppola editore, Trapani 2008

L’evocata immagine della Diminaglia sarà bella forse, ma è la poesia che viene il dubbio sia inattuale. Mientras haya esperanzas y recuerdos, habrá poesía! dice un poeta spagnolo. “Finché vi saranno ricordi e speranze, vi sarà poesia!”. ------------------ E chi potrà sradicare dal cuore dell’uomo le speranze e i ricordi? Esperanzas y recuerdos.------------ Ci ripenso, invoco la Diminaglia, e chiedo: - Diminaglia, Diminaglia, cu ci fita nni la paglia? - La gaddriiina! - Diminaglia, Diminaglia, nni la staddra cu cci rraglia? - Lu sceeeccu! - Diminaglia, Diminaglia, cu è ca ntrezza e ma’ ca sbaglia? - Li baaabbi! - Diminaglia, Diminaglia, cu si cogli li stuppaglia? - Li picciliiiddri! - Diminaglia, Diminaglia, u maritu a cu si piglia? - A la muglieri! - Diminaglia, Diminaglia, ccà s’arridi o si sbadaglia? - Boooh! Brava fusti, Diminaglia, nun sgarrasti mai na vota: si cchjù saggia di ma nannu, e giacchì m’arrispunnisti senza dubbi e senza sbagli, pi stasira mi vastà, iu ti pozzu libbirari. Si quarcunu già t’aspetta, nun lu fari cchjù aspittari. Via! Vatinni ppi lu munnu. E portami na bona nova! - Mantide, Mantide, chi fa l’uovo nella paglia? - La gallina! - Mantide, Mantide, nella stalla chi è che raglia? - L’asino. - Mantide, Mantide, chi è che sempre ci azzecca e mai sbaglia? - Gli scemi! - Mantide, Mantide, chi racimola i tappi (nelle feste)? - I bambini! - Mantide, Mantide, il marito con chi si sposa? - Con la moglie! - Mantide, Mantide, qui si ride o si sbadiglia? - Boooh! Brava, Mantide, sei stata, neanche una volta hai sbagliato: sei più saggia di mio nonno, e giacché hai risposto senza dubbi e senza errori, per stasera può bastare, io ti posso liberare. Se qualcuno già ti aspetta, non lo fare più aspettare. Via! Vai per il mondo. E portami buone nuove.
Quando eravamo piccoli, in campagna, d’estate, davamo la caccia alla “Diminàglia”. Presala, la deponevamo nel cavo della mano, e, stuzzicandola con l’indice, le domandavamo dove si trovasse il Nord.------------ Il povero insetto si dimenava per liberarsi, ma noi, improvvisati sciamani, imperterriti e fiduciosi, continuavamo a porre le nostre domande: dove facesse l’uovo la gallina, chi fosse il più sciocco del paese, se dovesse piovere all’indomani.----------- A mezzo tra gli àuguri latini, che divinavano il futuro interpretando il volo degli uccelli, e gli arùspici greci, che il futuro leggevano nelle viscere degli animali squartati, noi, da esperti seviziatori, sapevamo indovinare la risposta interpretando i disperati “gesti” della Diminàglia. ------------------------------ La Diminàglia o Mantide religiosa, un comunissimo insetto dal collo di giraffa, con due piccoli occhietti fissi in una testina triangolare, mobilissima, era la Sibilla che, dimenandosi, dava risposta a tutto, ai nostri dubbi di ragazzi. Ora non ci credo più alla Diminaglia, interpellata dai ragazzi di altri paesi come Nniminàglia o Miniminàglia: ben altre domande avrei da rivolgerle ed essa non risponderebbe. Ma come si fa a sopprimere il bisogno di fare domande?-------------------------------------- Come si fa a non immaginare domande sulla vita, sulla morte, sull’odio, sulla violenza, sull’ingiustizia, sul cielo, sulla terra, sulla nostra terra? E, planando dalle generalissime questioni, con il passare del tempo, quasi quasi si vorrebbe chiedere alla Diminaglia di dipanare i grovigli delle coscienze e degli interessi che ci stanno dietro inconfessate mire, ipocriti comportamenti, responsabilità inderogabili.---------------------------------------- Nella speranza che gli scatti nervosi della Mantide, senza farsi deviare dai lustrini del potere e del successo, senza mettere in conto calcolati silenzi per tornaconti futuri, saltando l’ostacolo di decoratissimi e impenetrabili paraventi, individuino il marcio e aiutino a togliere di mezzo erbacce e cianfrusaglie metaforiche; nella speranza forse esagerata che i “religiosi” gesti dell’elegante insetto rendano possibile la prosecuzione di un cammino virtuoso che conduca in un paese migliore dove, anche se non scorrerà latte e miele, si potrà cogliere un solidale senso del vivere di persone sincere. ------------------------------------- La Diminaglia non sa, non ha risposte da dare; ma io non so rinunciare ai miei dubbi, anche se potrei costringermi a non fare domande. La poesia è la Diminaglia che cerco e a cui chiedo com’era in Sicilia il passato, come sarà il futuro, perché i mali del presente.---------------------------------- Video amatoriale

lunedì 2 gennaio 2017

ALBA E TRAMONTO. Meditazioni in terrazzo

 (s)filosofemi


Che strano! Il tramonto somiglia all'alba. La fine, all'inizio. L'inizio, alla fine. 


Col pensiero, farsi conca per diventare mare-senza-pensiero, 
altro e artefice del tramonto-alba, dell'alba-tramonto.


Svuotarsi di sé per accogliere il senso di sé, del non-sé, del mondo


ph ©laura carbone

venerdì 19 settembre 2014

NUN CAPÌVA. Da "Pensamenti"






Nun capìva







Na ferla pi jucari a cavaddruzzu,
quann’era nicu, e jiva curriennu.
Era filìci cu ddra lèggia ferla:
vastuni unn’era ma ala di farfalla.

A cursa mi faciva l’acchjanata
di lu Raffu, cuntenti, e lu ndumani
ci scinniva ppi taliari l’uortu,
li mà zii e mà nanna a lu casuottu.

Era filìci siddru tastuliava
li pircoca, li ficu, li cirasi.
Era filìci, ma nun lu capiva:
era iu lu Raffu, e si nni jiva.
















Piero Carbone, Pensamenti, Coppola editore, Trapani 2008

martedì 14 gennaio 2014

L'AGO DELL'EGO. Per minimali di gennaio.


Beppe Vesco, Questio mihi factus sum (1991), olio su tela
Palazzo Comitini (Sala Gialla) Palermo
“Sono divenuto problema a me stesso” Sant'Agostino

*1
"Questo avviene alla pubblicazione delle prime poesie, quando scoccano i previsti allarmi, perché, e occorre dirlo ancora, la nascita di un poeta che dalla corda del cerchio della casta letteraria tenta di raggiungere il centro, è sempre un pericolo per il costituito ordine culturale". Salvatore Quasimodo.

Chi si sente casta, in qualsiasi sfera dell'attività umana, si sente minacciato dalla semplice esistenza o attività degli altri nella stessa sfera, e perde la serenità. Se uno si rilassa invece...


*2

Pentirsi di non essere stati opportunisti col rammarico dei vantaggi perduti è il comportamento degli opportunisti di sempre i quali sperano nei pentimenti altrui per confondere le acque e mimetizzarsi...


*3

Nelle polemiche, Seneca suggeriva di essere magnanimi come i leoni con i topolini. Ma per generosità o perché un miserrimo topolino sarebbe soltanto un misero boccone?


*4

Certi personaggi, ritenuti forti, fortissimi,  sembrano come gli equilibristi sulla fune protesa su due grattacieli: dicono di tenere in dispregio il pericolo ma temono maledettamente il ronzio di una mosca sotto il naso: per scacciarla potrebbero perdere l'equilibrio.



*5

Alcuni ignorano quello che fanno/scrivono gli altri; se riaffiora, lo denigrano; se resiste e viene condiviso, cercano di prendere le redini in mano facendosene portabandiera, facendo discendere quello che viene prima da quello che viene dopo. Alla faccia del criterio logico e cronologico. 
Ma nella bussola della vanità l'ago dell'ego segna sempre il nos.




SMARAGDOS, Lo scornabecco non è un animale, Paraedizioni della Lava Lieve, Syowa 2014 - 2015 e forse 2016...

venerdì 6 novembre 2009

QUESTO BLOG






Questo blog non è una testata giornalistica; una sorta di diario binoculare piuttosto, con un occhio alla realtà che lancia sollecitazioni e un altro alla mappa di interiori percorsi.
In questo blog mi ripropongo di adunare vecchi e nuovi pensamenti.

Testi e immagini, se non diversamente specificato, sono dell'amministratore di questo blog "Archivio e Pensamenti". Quando si utilizzano, a mero scopo  illustrativo o documentario e mai a scopo di lucro, materiali altrui, se non si evince chiaramente dagli stessi testi o dalle stesse immagini, viene citata la fonte per attribuirne la paternità; quando ciò non è possibile per il materiale prelevato dalla rete viene indicato genericamente "da internet"; sempre pronto comunque a riconoscere e a rettificare ogni dato identificativo nei confronti di chi ne ha diritto o a rimuovere il materiale il cui utilizzo viene inibito dal legittimo detentore dei diritti.