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martedì 1 aprile 2025

PREMIO LETTERARIO "MAGISTER VITAE" 2017. Memorial "Vito Ruggirello" - S...




Motivazione del Premio

Piero Carbone è poeta! E cosa sa fare, chi po’ fari, un poeta se non sventolare banneri di palori? Parole però che, nell’alchimia che egli realizza, acquistano significati che eccedono la loro semplice lettera, che nella loro inusitata cifra assurgono a raffinato strumento espressivo mediante il quale esplicitare la propria Weltanschauung. 

In tale contesto, la dichiarazione di appartenenza alla cultura, alla lingua, alla poesia della Sicilia che in tutta trasparenza emerge dalle sue pagine è senza riserve. A favorire ciò concorre l’aria salubre di lu Zzaccanieddru / (unni) tutti l’amici mi viennu a truvari. 

Contrada della sua Racalmuto, lo Zaccanello è un luogo fisico, un preciso punto di coordinate geografiche: pino maestoso cullato dal vento, orticello irrigato di fiori e frutti, casolare, lustro di luna; ma, altresì, esso configura l’alter ego spirituale del poeta. 

E in questa combinata dimensione, felice complice la xenía, l’ospitalità ovvero che i nostri progenitori hanno ereditato dai Greci, Piero Carbone e lo Zzaccanieddru finiscono con l’identificarsi, divengono un’unica medesima entità: tempio di affetti, oasi rigeneratrice, agorà culturale. 

Un’agorà siciliana tutta da premiare. 


giovedì 26 gennaio 2023

SE N'È ANDATO MARIO GALLO. Ci resta il profumo del suo ricordo

Ci ha lasciati Mario Gallo, un signore e fine letterato. Punto di riferimento e stimolatore culturale soprattutto con la sua rivista siculo-fiorentina “Lumìe di Sicilia”. Un amico speciale come lui sapeva essere. Ammirevole, sotto il profilo umano e culturale. Con la sua ironia e i suoi aforismi ci regalava sapienti riflessioni. Sapeva guardare lontano. 

Una grande perdita. Nel ricordarlo mettiamo a frutto il suo esempio. Non disperdiamo la sua eredità. Un pensiero va alla sua adorata Maria Teresa che qualche anno fa l'ha preceduto e con la quale ha vissuto un'armoniosa storia d'amore e di condivisione. 

Qui di seguito, la delicata e panoramica testimonianza del figlio Giampiero.



  

Mario Gallo 14 aprile 1930 - 26 gennaio 2023



…fu sorpreso dai suoi novant’anni e con la vita avrebbe ancora giocato
Una lunga vita, ancora da giocare, visto che il 17 dicembre aveva “chiuso” l’ultimo numero, il 170, della rivista Lumie di Sicilia, inviata ai suoi collaboratori e lettori quando era già in ospedale.
Una lunga vita, soprattutto avendone vissuto tre, la maggior parte insieme alla sua compagna di cinquantasette anni meno un giorno, "scendendo, dandole il braccio, almeno un milione di scale".

La prima, nella culla trapanese, da una stirpe di maestri calafati provenienti nel Seicento da Genova, che ha sempre considerato con orgoglio i suoi quarti di nobiltà, sul cui blasone raffigurava le mani di suo nonno, spaccate dalla pece bollente e le balle di stoppa su cui "Mastru Petru" lo faceva addormentare.

A Trapani ha scoperto e coltivato il suo spirito curioso, ha sviluppato il suo intelletto: maturato a 16 anni al Liceo Ginnasio Ximenes, laureato a 20 in Giurisprudenza. Ma, soprattutto, è stato elemento integrale di quella stagione felice del repubblicanesimo trapanese animata da giovani idealisti, intraprendenti, innovatori, di Borgo Annunziata: una stagione della quale è stato custode geloso e cantore appassionato.

Queste sono state le amicizie di una vita, una tra tutti, quella con Nino Montanti, l’unico che menzioni qui per includere tutti quei quattru picciotti del “Passo dei ladri” riuniti al Circolo Mazzini per dargli il saluto verso la Scuola di Commissariato militare settant’anni fa, una carta costituente alla quale è riandato costantemente negli anni per rinsaldare lealtà alla fede laica, per confermare un’identità di rigore intellettuale.

La seconda, quella dell’esilio e di un lavoro mal sopportato, ma svolto con integrità e competenza fino a quel titolo di Generale che in fondo viveva con ironia, è stata animata dalla consapevolezza che nella vita si stringono i denti e si va avanti. Sacrifici da fare – loro, progenie di generazioni abituate alle privazioni - risultati da ottenere, con poco spazio alla gentilezza verso se stessi e nessuna concessione all’autocommiserazione.

Una vita di peregrinazione, questa seconda vita, in quelle che ha sempre considerato terre straniere, Bolzano, Verona, di nuovo Bolzano e poi Firenze, questa – ebbe a dire – scelta su spinta di mia madre, perché potesse offrire maggiori opportunità per me. Ha provato, per dirla alla rovescia di Dante, come il pane altrui non sapesse del sale delle sue Saline, e che solo allo sbarco dal traghetto della Tirrenia tutto riguadagnasse sapore e colore.

La terza, quella della rinascita, gli ha permesso, dal 1989, di potersi dedicare alla passione di una vita, la scrittura e lo scrivere di quegli ideali giovanili e di quella terra, nella cui lingua ha sempre sognato. La scrittura gli ha permesso di esplorare il mondo digitale, addentrandosi a volte in cose impegnative, dalle quali lo districavo con rimproveri che mai ne intaccavano la curiosità. Un digitale quasi nativo, scherzavamo, anche in questi ultimi giorni legato a WhatsApp e al Web.

In questa terza vita, condotta, poi negli ultimi dieci anni sentendo il vuoto ad ogni gradino - sempre citando Montale, ha ristretto e concentrato i suoi interessi e il suo perimetro, rifugiandosi nelle tre-quattro attività che lo facessero sentire vivo, tra tutte la sua rivista arrivata a 170 numeri, artigianali ma interessanti, il guizzo negli occhi ogni qualvolta ci fosse una novità siciliana o una visita di nipoti, e le partite di burraco a Baglio Augugliaro o online (con quelli più bravi, per scelta sfidante); progressivamente angustiandosi delle cose del mondo, dalla pandemia alla guerra, al vedere un ritorno di quei fascismi contro i quali si era permanentemente vaccinato in tempi di adolescenza. 
La Sicilia era una metafora, per dirla con Sciascia, non solo un luogo, ma anche un modo di essere, uno stato d’animo che lo ha accompagnato, lo ha identificato: un siciliano un po’ calvinista, formato da una mazziniana idea che i diritti sono frutto dei doveri compiuti.

A conclusione, ma forse a sintesi, di queste tre vite, da ultimo, da non credente, ha dato testimonianza dell’umanesimo che animava la sua visione: abbiamo una evoluzione che ha un inizio e una fine e, quando hora ruit, è inutile affannarsi a prolungare una parabola; per quello che andava fatto, il tempo è stato riempito e, aggiungo io, è stato riempito bene. 
"Aiutami ad uscire da qui", ma prima ha voluto giocare “alla memoria” richiamare alla mente persone e situazioni, una sorta di chiamata intorno al proprio letto per essere accompagnato a questa uscita, compiuta con grande dignità e dando a noi la possibilità di renderci conto di quanto stava accadendo.

Dov’è Mario? dorme, anche lui, sulla Collina.

sabato 6 febbraio 2021

LUMIE DI SICILIA n. 147 - DIRETTORE MARIO GALLO. Istruzioni per la consultazione dell'intera raccolta

 




La rivista con un click

Siamo al  numero 147 di Lumie di Sicilia.
Per il centenario della nascita, la copertina e le pagine 2/3 sono dedicate a Leonardo Sciascia con le testimonianze di Piero Carbone e Licia Cardillo Di Prima.
Nel sommario un ricordo di Rosario Livatino, “il giudice ragazzino”, elevato a “Beato” dalla Chiesa Cattolica.
Le pagine 4/6 comprendono mie considerazioni sull’odiosa misura del “confino” adottata dal regime fascista nei confronti degli oppositori (non nominare il nome del Duce invano!) ed  un richiamo ad una pubblicazione dell’Archivio di Stato del 1989, con la prefazione di Sandro Pertini.
Alle pagine 7/8 ritorna la giovane filologa ragusana Siriana Giannone Malavita con “I fili rossi” toccante narrazione di dolorosi episodi della Prima Guerra Mondiale, raccolta dalle testimonianze di eredi dei protagonisti.
Nella  pagina riproduciamo la traduzione di un inno alla Statua della Libertàeseguita da Gaetano Cipolla con il link di collegamento alla sua esecuzione.
Marco Scalabrino  (9/10)  dedica la sua recensione al poeta Franco Loi, recentemente scomparso.
In margine alla pagina 10, Elio Piazza con “Richiami d’italianità”.
A pagina 11 i vespi siciliani, seguiti da due racconti brevi di Giovanni Fragapane (12).
Alle pagine 13/15 un racconto di taglio particolare di Enrico Borgatti, ferrarese trapiantato a Marsala, un eclettico, facondo e fecondo narratore di “storie” .
Ina Barbata (16) ci offre una gustosa carrellata in dialetto: “Mascareddi” = le mascherine, l’oggetto …di moda più venduto in questa interminabile cruda stagione  di pandemia.
Presenti, come da tempo in ogni numero, Tony Di Pietro (17/19) e Adolfo Valguarnera (20/22) con il rispettivo carico di frizzanti rimembranze sicule tanto accattivanti.
Per concludere, il racconto di un’altra escursione di Santo Forlì in ultima pagina.
A Lettrici e Lettori un cordiale saluto e ovviamente…BUONA LETTURA!

Mario Gallo

SU:<http://www.trapaninostra.it/edicola.php>
la raccolta di lumie di sicilia con 147 numeri e 14 supplementi + i vespi siciliani (I e II parte)
Per aprire: nello spazio "Inserisci la tua ricerca" scrivere la parola lumie + Invia Modulo

martedì 2 febbraio 2021

SU "LUMIE DI SICILIA" PER IL CENTENARIO DI SCIASCIA. Articoli di Piero Carbone e Licia Cardillo Di Prima

Su "Lumie di Sicilia" (Firenze, diretta da Mario Gallo , per il #centenario di #LeonardoSciascia (1921-2021).
Interventi:
"Sciascia lo vorrebbe?" (p.c.)Per la corrispondenza con Gino Craparo un grazie a Gaetana Tanya Craparo e Crapi Charlie Craparo.
"Il rapporto di Leonardo Sciascia con Sambuca" di Licia Cardillo Di Prima.

Per consultare la rivista e leggere più agevolmente gli articoli: http://www.lumiedisicilia.eu/numeri/lumiedisicilia147.pdf.. 






lunedì 18 maggio 2020

IL TENORE LUIGI INFANTINO E LA TOSCANA. Su "Lumie di Sicilia" l'intervista di Maurizio Piscopo, e una proposta


Grazie a Mario Gallo: con la rivista fiorentina "Lumie di Sicilia" da lui diretta mantiene viva la fiaccola della sicilianità per rafforzare con un ideale ponte i legami culturali tra la Sicilia lontana e la Toscana in cui vivono, radicatissimi e bene inseriti, tanti emigrati siciliani. Mi limito per il passato a indicare due illustri esempi: il critico letterario e Rettore della Normale di Pisa, Luigi Russo (originario di Delia), e il docente di Diritto Romano  e Sindaco di Firenze, Giorgio La Pira (originario di Pozzallo). 


A conferma dei fecondi rapporti siculo-toscani, un ponte "lirico", questa volta, viene rievocato tramite il ricordo del tenore racalmutese Luigi Infantino che ha sposato la grande attrice pratese Sarah Ferrati dalla quale ha avuto una figlia, Monica. 
L'intervista è di Giuseppe Maurizio Piscopo.






allegato il n. 139 che può essere aperto anche con:

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mario gallo,responsabile di "Lumie di Sicilia" -

SU:<http://www.trapaninostra.it/edicola.php>
la raccolta di lumie di sicilia con 139 numeri e 12 supplementi + i vespi siciliani (I e II parte)
Per aprire: nello spazio "Inserisci la tua ricerca" scrivere la parola **lumie*  *o* *sicilia** + Invia Modulo
                     
blog:http://damariogallo.blogspot.it/ 




Area degli allegati
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SULLA PROPOSTA DI UN CENTENARIO "UNICO" PER LO SCRITTORE E I DUE TENORI DI RACALMUTO. Videoconferenza su YouTube

Link del video

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IL TESTO DELL'INTERVISTA

Luigi Infantino il  Tenore dimenticato
Intervista a Piero Carbone di Giuseppe Maurizio Piscopo
Tutti nella nostra vita abbiamo ascoltato almeno una volta Enrico Caruso, Mario Del Monaco, Giuseppe Di Stefano, Luciano Pavarotti, Beniamino Gigli, Tito Schipa, Carlo Begonzi, Giovanni Martinelli, Andrea Bocelli. Un posto d’onore lo merita senz’altro il tenore Luigi Infantino nato a Racalmuto il 24 aprile del 1921. Luigi Infantino è stato un personaggio internazionale che ha calcato i più grandi teatri del mondo proponendo un repertorio veramente affascinante proponendo opere di Rossini, Donizetti, di Francesco Cilea . Opere famose come La Traviata Il barbiere di Siviglia, Il Rigoletto, La Cenerentola, Madame Butterfly, L’elisir d’amore, La Bohème… Ascoltare la sua voce significa andare lontano nel tempo, viaggiare per il mondo e provare il brivido dell’Opera nei Teatri che sono il tempio della cultura.
Sue partecipazioni nei film: Tre fratelli (1981), Cristo si è fermato a Eboli (1979), Lucky Luciano (1973).
Piero Carbone scrittore e memoria storica della città della ragione da alcuni anni si prodiga con pochi altri per ristabilire adeguatamente la memoria di Luigi Infantino, dimenticato anche se tenore di fama internazionale ingiustamente. A lui abbiamo rivolto alcune domande in prossimità del centenario dalla nascita.

Come mai il grande tenore Luigi Infantino è stato dimenticato?
In realtà è ricordato a chiazze, qui e là in Sicilia, in Italia, nel mondo, e per  ricordi singoli che non sono riusciti finora ad emergere in un unico racconto condiviso secondo i crismi della notorietà che ha avuto e che merita.

Ad esempio?
Tra i tanti ricordi o elogi annoveriamo quelli di Luciano Pavarotti che lo apprezzava “come tenore di grazia”, di Andrea Bocelli che è stato suo allievo, di Enrico Stinchelli, autorevole conduttore del noto programma “La Barcaccia” su Rai 3, che predilige l’Infantino napoletano definendolo “grandissimo artista”, del tenore Andrea Giordani e di tanti altri. Gli emigrati ad Hamilton a tutt’oggi  ricordano di averlo ascoltato con meraviglia nel teatro comunale prima di partire per l’America. Grande rilievo gli hanno dato gli studiosi Sguerzi e Ignazio Navarra nei loro studi  sui cantanti e la lirica in Sicilia e in Italia.

In che modo sarà ricordato il prossimo anno che ricorre il centenario dalla nascita?
Al momento non c’è  nulla di concreto.Nel dicembre del 2016 un gruppo di estimatori avevamo pensato di costituire una sorta di gruppo promotore ma ci vorrebbe una interlocuzione istituzionale, ma non è facile. Chissà se il desiderio fruttificherà! Con Domenico Mannella, Salvatore Salvaggio, Lillo Bellomo, Enrico Di Puma,  Calogero Messina suo coetaneo, abbiamo espresso questa intenzione alla disponibilissima Raina Nicolova Infantino quando venne a trovarci a Racalmuto in via del tutto privata. Il Premio Infantino del 1998 è stato soltanto una meteora.  Quegli stessi che l’avevano portato avanti  di colpo si sono dimenticati di Infantino e di Raina che vi aveva contribuito con le sue conoscenze e le sue amicizie in campo musicale.In paese si è sollevata un’altra volta la polvere dell’oblio, che ancora persiste.

Perché a Racalmuto non celebra Luigi Infantino che è stato un grande tenore nel mondo oltre allo scrittore Leonardo Sciascia?
Celebrare Sciascia è facile perché è una gioiosa macchina pubblicitaria che assicura un ritorno di immagine a chi celebra. Anche a costo di inflazionare ed essere ripetitivi. Addirittura una costosa istituzione si è ridotta a questo compito ma, come diceva il mio amico critico Giorgio Segato, celebrare dinamicamente non significa utilizzare qualcosa per qualcuno ma qualcuno per qualcosa, una causa, un’idea, un progetto.

E Infantino?
Celebrare Infantino, invece, allo stato attuale, rendere omaggio al suo valore artistico,  significherebbe dare più che ricevere, prodigarsi con mezzi anche propri e affrontare difficoltà rischiando dinieghi e delusioni, forse perché celebrarlo significherebbe  portare avanti iniziative per ricordarlo, studiarlo, riproporlo, sollecitare e coinvolgere istituzioni, invitare personaggi, stuzzicare i mezzi di informazione. Troppo dispendioso, troppo incerto in termini di impegno personale.A tanti potrebbe non convenire, e allora meglio celebrare Sciascia. Comunque,  Infantino, come l’omologo Salvatore Puma del resto, non appartiene soltanto a Racalmuto. Celebrarlo deve significare portare avanti un progetto e non una passerella o una cerimonia.

Qual è stato il legame tra Infantino e Racalmuto?
Infantino anche nei momenti più fulgidi del successo e della gloria non ha mai dimenticato il paese che gli ha dato i natali, umili natali, e l’opportunità di coltivare la sua vocazione musicale nella banda cittadina. Da Roma, vi ritornava non solo  lo stato d’animo nostalgico. Ha cantato nel locale teatro dove  da ragazzo aveva assistito a tanti spettacoli.  Da adulto e famoso avrebbe voluto rilevarlo per istituirvi una scuola di canto per giovani cantanti. L'amico Salvatore Russo, costumista e scenografo nonché direttore del Teatro dell'Opera di Roma avrebbe trasferito a Racalmuto la sartoria; Plamen Kartalov, sovrintendente del Teatro dell'Opera di Sofia, avrebbe voluto rappresentarvi La Cavalleria Rusticana.
Questo nei primissimi Anni Ottanta del secolo scorso.

Com’è finita?
Non se ne fece nulla. Eppure il teatro, inaugurato nel 1880 con la rappresentazione del Rigoletto,  nel solco della vocazione originaria, in sinergia con l’altro grande tenore racalmutese, Salvatore Puma, avrebbe potuto guadagnarsi un posto significativo nel mondo della musica diventando una piccola Spoleto. Magari sarebbe stato un tempio della musica come lo è diventato per la pittura un vecchio castello di Figueres in Catalogna grazie a Salvador Dalì. Avrebbe rappresentato in ogni caso elemento catalizzatore per tanti che in paese e non solo hanno coltivato e coltivano la musica e il canto.
Invece, le vicissitudini incontro alle quali il teatro è andato successivamente fino ai nostri giorni sembra che assomiglino ad una sorta di maledizione. È ben poca cosa la pur prestigiosa raccolta di costumi di scena donata dal tenore Puma rispetto alle potenzialità che il Teatro di Racalmuto avrebbe potuto esprimere. La stessa raccolta ha rischiato inspiegabilmente di assottigliarsi se non era per il vigile interessamento di qualche cittadino.

Sicilia amara e duci è una raccolta di canzoni siciliane. Come è stato accolto dai siciliani questo preziosissimo lavoro discografico?
Come tutto il resto, e a prescindere dal valore, perché il successo porta successo e l’oblio porta oblio. Ma nonostante tutto siamo fiduciosi:studiosi e  critici musicali porterebbero con piacere la loro testimonianza e cantanti siciliani, proprio a partire dallo spirito di questa raccolta, dal significativo titolo Sicilia amara e duci, per il centenario verrebbero a Racalmuto a rendere onore a Infantino , nel “suo “Teatro, anche riproponendo le sue canzoni. Cito emblematicamente Giuseppe Veneziano, tenore alla Scala di Milano, “affascinato” da Infantino, farebbe risuonare nel teatro racalmutese  con tutta la sua possente voce il suo omaggio da cantante a cantante. Sarebbe un evento. Significherebbe l’annuncio di un nuovo cammino. Beh, anche solo con l’annuncio anzi a partire da questo  credo che le celebrazioni per il centenario del grande tenore racalmutese Luigi Infantino siano iniziate.

Luigi Infantino e il cinema?
Ha avuto un intenso rapporto con il regista Francesco Rosi partecipando come cantante e attore nei film “Cristo si è fermato ad Eboli”, “Tre fratelli” e “Luky Luciano”. In occasione del centenario dalla nascita sarebbe un bell’omaggio potere proiettare i tre film a Racalmuto ma anche nell’altra Racalmuto che  è Hamilton, in Canada, dove c’è una forte presenza di emigrati racalmutesi e si potrebbe ampliare l’omaggio con la proiezione  ad Opole Lubelskie in Polonia, a Finale Ligure e a Castronovo di Sicilia con cui il paese di Infantino è gemellato. La bellezza rafforza i ponti della conoscenza e della solidarietà.

Cosa vorresti aggiungere per i lettori di Lumie di Sicilia?
Vorrei ribadire il legame di Luigi Infantino con la Toscana avendo sposato la grande attrice, nata a Prato, Sarah Ferrati, dalla quale ebbe una figlia, Monica, attivissima operatrice culturale e curatrice con il Centro Arte “Vito Frazzi” di Scandicci del Premio nazionale di recitazione “Sarah Ferrati”. Sarebbe anzi auspicabile che questo legame con la Toscana venisse testimoniato con la sua partecipazione in Sicilia alle celebrazioni del grande papà per il centenario.








martedì 12 febbraio 2019

IL MIO AMICO GALLO? LE PENSA TUTTE. Ve ne presento alcune

"Vespi siciliani"  di Mario Gallo pubblicate su 
"Lumie di Sicilia" (Firenze - Trapani)


 




Tutti i numeri finora pubblicati di "Lumìe di Sicilia" si possono consultare  in pdf su
http://www.trapaninostra.it

lunedì 19 novembre 2018

I GESSAI NON HANNO UN SANTO? Articolo e canzone su una realtà siciliana straordinaria pressoché negletta, su "Lumìe di Sicilia"


"Lumìe di Sicilia", n. 121 (n. 36 online) - dicembre 2018

"Lumìe di Sicilia", n. 121 (n. 36 online) - dicembre 2018

"Lumìe di Sicilia", n. 121 (n. 36 online) - dicembre 2018
"Lumìe di Sicilia", n. 121 (n. 36 online) - dicembre 2018

Foto di Angelo Pitrone


 PER SCARICARE IN PDF  LA RIVISTA
"LUMIE DI SICILIA" 
CLICCARE
 SU:
(inserire nello spazio "Inserisci la tua ricerca" 
la parola lumie  o sicilia + Invia Modulo)

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Marina Castiglione, Parole e strumenti dei gessai in Sicilia. Lessico di un mestiere scomparso, 
Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani, Palermo 2012,  pag. 15


I TESTI

I gessai non hanno un Santo
di 
Piero Carbone e Giuseppe Maurizio Piscopo


Sul mondo del gesso esistono pochi studi e nemmeno gli usi artistici l'hanno nobilitato. Maggiore attenzione è stata rivolta al mondo dello zolfo con le sue tragedie e le sue miserie. La solfatara ha avuto l'attenzione del mondo letterario, antropologico, etno-linguistico, come scrive Marina Castiglione nel libro: Parole e strumenti dei gessai in Sicilia. Lessico di un mestiere scomparso“ pubblicato dall’Università di Palermo nel  2012. Allo zolfo invece sono state dedicate molte opere.

Nel 1700 il gesso assurse a materiale artistico ad opera di Serpotta che insieme ad una notevole schiera di discepoli lasciò dei capolavori nelle chiese non solo di Palermo.
Al gesso è legata anche qualche poesia e qualche proverbio. 

Supra di quattru timpuna di jissu,
chistu è Salemi, passacci d’arrassu…

Nelle cave di gesso non c’era nessuna concessione o licenza, nessun sindacato, nessun controllo. Non c’è stata nessuna pensione per i gessai, nessun limite.  Per l’estrazione veniva usato anche l’esplosivo. In Sicilia si produceva oltre il 60% di gesso dell’intero Regno d’Italia. Qualcuno ha scritto che i gessai muoiono a cento anni e che il gesso non fa male alla salute. Sarà stato veramente così?
La sua origine si dice dovuta ad un caso fortuito: a Favara i pastori, per produrre la ricotta, utilizzavano una cucina montata con pietre di gesso per poggiarvi sopra la pentola con il latte da cagliare. A la fine cottura le pietre si sfarinavano. Che il gesso sia stato scoperto veramente così?

Oggi tutto è stato abbandonato, le cave e le carcare non sono agibili e non esiste alcun progetto che riproponga la valorizzazione di questi luoghi che sembrano luoghi spettrali, in abbandono.…
I gessai cantavano a ritmo di picconi e "mazzuotti“ ma con parole laiche, si lamentavano e non avevano un Santo che li proteggesse. Con la fine dei gessai scompare  la cultura contadina  che è stata fino all’immediato dopoguerra la componente essenziale dell’identità dei siciliani.

In Sicilia esistevano vari tipi di gesso, ma identica era la lavorazione. Un testimone racconta:
 U gessu prima si fa muntagna po si fa petra, poi a petra si porta intra a fornaci e intra a carcara va cu i carrioli…Il lavoro del gessaio iniziava all’alba e finiva all’alba. Si campava pi non muriri… Otto viaggi al giorno per trasportare il gesso, 5 di mattina, poi  si staccava il carretto, si faceva mangiare il cavallo. Altri tre viaggi nel pomeriggio. I gessai lavoravano 18 ore al giorno.
Molti erano i paesi del gesso fra i quali: San Cataldo, Caltanissetta, Sutera, Milena, Campofranco, Montedoro, Cattolica, Favara, Racalmuto, Bivona, Lercara, Grotte... 

Si lavorava tra la polvere e u cinnirazzu che veniva respirato e ingerito nei polmoni. I carusi trasportavano il gesso sulle spalle. Il trasporto del gesso avveniva inoltre con gli asini, i carretti e con il treno. Il gesso era richiesto a Corleone, Burgio, Baucina, Vicari, Marineo, Mezzoiuso, Palermo... 

Nonostante il diffuso uso, issu e issara non hanno avuto fortuna. Di gesso e gessai quasi nessuno parla. Neanche i vocabolari siciliani storici li annotano. 

A volte è dovuta alla casualità la sua conoscenza: “Ne ho avuto sentore in casa nella mia infanzia, perchè sentivo dire che la casetta in campagna era stata costruita col gesso del nonno, cotto nella vicina calcara.“

Tutt’altra storia per il celebrato zolfo e i commiserati zolfatari, e non solo perchè i nostri sono paesi minerari. Tutt'altra letteratura. Chi non conosce la triste condizione dei carusi e i rischi del lavoro in miniera? E Ciaula che scopre la luna e Rosso Malpelo e Alessio Di Giovanni? Del gesso, solo qualche indizio, pressoché nulla, anche se aveva le sue malattie "professionali“ e i suoi incidenti sul lavoro, sebbene meno eclatanti.

Al silenzio sull’attività dei gessai corrisponde nella realtà lo stato di abbandono delle cave e delle calcare. Solo la similitudine "comu scecchi di issara" -  che ricorre nel parlato quotidiano per indicare lavoro faticoso e stacanovismo ante litteram - fa riferimento al gesso: eppure, era molto diffuso e utilizzato in Sicilia, rappresentava il cemento di una volta. Utilizzato per case chiese palazzi. Serviva anche per cicatrizzare le ferite o per "aggiustare" il mosto aumentandone l’acidità.

 Queste e tante altre notizie sul mondo negletto del gesso si apprendono dal citato libro della Castiglione. Rivela un mondo che inavvertitamente sta sotto i nostri occhi. 

Significativo l’incipit: “Tra i molti studi dedicati alla cultura materiale in Sicilia nessuno risulta aver avuto come oggetto di interesse le cave di gesso. Nessuna epopea ha contrassegnato questo mestiere ordinario e comunissimo; nessun trauma lo ha imposto alla  cronaca; neanche gli usi artistici lo hanno nobilitato“.

Tra gli usi artistici, vanno ricordati i numerosi stucchi del Serpotta e le gipsoteche ovvero le raccolte di statue e calchi in gesso come quello di Michele Tripsciano a Palazzo "Moncada" di Caltanissetta o quelle dell’Università di Palermo, del Museo Archeologico “Salinas“ e di Palazzo "Ziino", sempre a Palermo. 

La riflessione di Marina Castiglione vale come un appello. 
Postato sui social, da più parti sono fioriti contributi, testimonianze, racconti, canti, inediti documenti, curiosità su issu e issara: Sclafani, Niscemi, Bivona, Grotte, Casteltermini, Lercara Friddi… Giuseppe Pasquale Palumbo ha dato notizia di una mappa delle calcare esistenti nel territorio di Milocca nella prima metà dell’Ottocento, che sarà inserita in una pubblicazione curata con Angelo Cutaia.
L’esistenza di un antico canto di lavoro a Racalmuto, registrato negli Sessanta da Isabella Martorana Messana per la sua tesi di laurea, ha suscitato la curiosità della stessa Marina Castiglione e dell’etnomusicologo Sergio Bonanzinga richiedendone la riproposizione.

Nell’articolo dal titolo "Il gesso si è svegliato" sulla rivista "Incontri" (luglio 2018) Marina  Castiglione addita percorsi virtuosi affinché il risveglio coincida con una reale promozione: 

"Un patrimonio materiale e immateriale che potrebbe essere valorizzato con poca spesa e molto impatto, con un reticolo di altre realtà che vissero la millenaria civiltà del gesso".

Operativamente, suggerisce al Comune di Caltanissetta di preservare una superstite calcara in collegamento con la gipsoteca di Palazzo Moncada da utilizzare a scopi artistici in percorsi museali e didattici. 
È significativo che tale proposta provenga da un territorio ricco di miniere e cultura mineraria come a volere dire "non solo zolfo e zolfatare" ma anche "gesso e calcare" poiché anche la calcara è "un luogo identitario di cui, però, la città sconosce tutto. L’uso, la tecnica di realizzazione e persino l’ubicazione". 
Operazione che in diversa misura si potrebbe ripetere anche in altri paesi.

Il recupero varrebbe come una sorta di risarcimento nei confronti del gesso e dei gessai per l’oblio e la poca letteratura dedicata; varrebbe come risarcimento nei confronti di noi stessi in quanto siciliani, poiché anche il gesso, per quello che ha rappresentato da un punto di vista socio-economico e culturale, contribuisce a definire e ad arricchiere la nostra indentià. 

Il convegno che prossimamente si dovrebbe celebrare a Caltanissetta, come una sorta di festival del gesso,  potrebbe essere l’inizio di un  lungo cammino, un fecondo "segno" dell’auspicato "risveglio".
                                                                                       
La canzone

Vita di issara

               Testo di Piero Carbone
                     Musica di Giuseppe Maurizio Piscopo


Ritornello:. 
Issu, issara: vita di carcara.
Issu,  carcara: vita di issara.
Issu, balati: forti cafuddrati. 
Furnu, famìa: issu abbianchìa.

I
A Buovu e Gargilata issu c’era,
Bivona cu Lercara china nn’era,
ci nn’era a Grutti, c’era all’antri banni:
luciva e luci muntagni muntagni.

Lu palu spirtusava rocchi e cugni,
la pruvuli sparava, e li timugni 
di petri carriavanu sudannu 
a la carcara  jennu hiatiannu.

Rit.

II
Ti nfurna, lu issaru, e ti piddrìa,
balata, duoppu cotta, e macinìa
a cuorpi di picuna e mazzuttati
di hiatu e di sudura ncuttumati.

Carretti sientu nni la notti scura,
un cantu, griddri, fierri di na mula.
Carrianu, li scecchi di issara,
a prucissioni. Su li urdunara!

Rit. 

III
Antichi casi di servi e patruna,
e rrobbi granni, nichi cubbuluna,
mpastati cu lu issu di carcara
e stucchi, statui, angili d’antara.

Issotta, ciarmaliddri, baddruttati,
li tietti di canneddri arraccamati.
Lu issu finu li mura bbianchìa.
Sciloccu nni li casi un ci putìa

Rit.


IV
Lu fuocu di lu tiempu cuciunìa
a tutti, comu furnu nni famìa,
nni coci com’abbastru di carcara:
biancu dintra e fora chi s’affara.

Facivanu accussì nni la carcara.
Oh, issu binidittu di issara!
Recitato:
La storia cancia, lu cimentu vinni:
palazzi frolli, ponti ntinni ntinni.

Ritornello finale:

Issu, issara: vita di carcara.
Issu,  carcara: vita di issara.
Issu, sudura, mpinti mura mura.  
Figli, lu pani, aspettanu dumani.

Recitato finale:
Figli, lu pani, aspettanu dumani




Nota del compositore

Confesso che mi occupo di tradizioni popolari da quasi 50 anni. 
Quest’anno, per la prima volta sono rimasto affascinato da un testo di Piero Carbone “Vita di issara“. Di questo mondo magico e dimenticato, ne abbiamo parlato a lungo, soprattutto della cava di gesso e della calcara gestite dal nonno paterno. Ecco una strofa del testo da me musicato che sarà pubblicato nel libro-cd “Carusi di zolfo“ di prossima pubblicazione.

Issu issara: vita di carcara. / Issu carcara, vita di issara./ Issu sudura mpintu mura mura./
Figli lu pani aspettanu dumani.//  Carretti sientu ni la notti scura,/  un cantu, griddri, fierri di na mula. / Carrianu li scecchi di issara, / la vita comu sacchi di carcara…

Con l’esperienza di maestro elementare nasce spontanea la domanda:

Che cosa rimane di questa cultura, cosa conoscono i bambini di questo mondo, che cosa c’è nei libri di scuola elementare di questi argomenti?

Una domanda che non è rivolta soltanto ai bambini, si capisce.