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sabato 29 novembre 2025

TESTIMONIANZA PER CARMELO CAMMARATA, SCULTORE D'ALABASTRO


Mercoledì 17 aprile 2024, Aula Consiliare di Bivona. 

Intitolazione di una via allo scultore Carmelo Cammarata, in occasione del centenario della sua nascita avvenuta il 17 aprile 1924. 

Per l'occasione alcune sue opere sono state esposte nei locali del Circolo "Leonardo Da Vinci".













L'anima utile e l'anima bella del gesso

Nel 1984 eravamo studenti e Filippo, al Pensionato Universitario  San Saverio, parlava con entusiasmo delle sculture di suo padre, con naturalezza quasi fosse un'attività ordinaria, un'attività come un'altra quella di scolpire il legno, la pietra, l'alabastro e dare forma all'informe, ma tanto ordinaria, comune e scontata non era  se dopo 40, siamo qui a celebrare quell'attività straordinaria e geniale in una casa-museo.

In particolare, a proposito delle sculture in alabastro, materiale di origine gessosa, mi sarei reso conto che l'artista mettenva in evidenza l'anima bella del gesso, a fronte dell'anima utile per l'utilizzo del gesso in muratura prima dell'avvento del cemento. 
Per me era un completamento dell'idea del gesso che mi ero formata anche attraverso i racconti di famiglia visto che mio nonno era issaru. 

Qualche anno fa vi ho scritto una canzone e idealmente congiungevo l'esperienza maturata dalle mie parti con quella di altre parti, prefigurando inconsapevolmente l'incontro che avrei avuto a Bivona.

A Buovu e Gargilata issu c’era,
Bivona cu Lercara china nn’era,
ci nn’era a Grutti, c’era all’antri banni:
luciva e luci campagni campagni.

Il gesso,  estratto dalle cave con la polvere da sparo, veniva poi cotto nelle calcare divenendo scuro, annerito, affumatu e infine con sudore e fatica veniva frantumato con mazze e picconi. 

Ebbene, Carmelo Cammarata, come sanno fare gli artisti, ha perpetuato quel luccicore scintillante del gesso nativo  campagne campagne attraverso la bellezza scolpita nel gessoso solfato di calcio idrato.

Quale migliore mezzo delle sue levigate sculture, per perpetuare il ricordo di un mondo scomparso, quello del gesso, e della sua duplice anima, non solo quella utile ma anche quella bella. 
Ringrazio Filippo per avere condiviso, già quarant'anni fa, quel mondo sognato di bellezza del suo speciale papà.

Racalmuto (contrada Zaccanello), 17 aprile 2024














mercoledì 5 novembre 2025

DICE SENECA... "MORE SOLITO". Sul braccio di ferro tra abitudine e volontà

 MORE SOLITO

Lucio Anneo SENECA, Lettere a Lucilio, LXXXIII

Cosa intende Seneca per more solito?

Al solito.

(In palermitano tradurrebbero O suòlitu). 


Sculture in alabastro di Carmelo Cammarata

presso l'omonima Casa Museo di Bivona


Un'analisi dell'Intelligenza Artificiale Grok

La locuzione latina "more solito" (o più precisamente "more suo" in alcuni contesti) appare nelle opere di Seneca, in particolare nelle Lettere a Lucilio (Epistulae Morales ad Lucilium), dove il filosofo stoico la usa per indicare un comportamento conforme all'abitudine personale o secondo il proprio costume. 

Non si tratta di una massima isolata, ma di un'espressione ricorrente che riflette un tema centrale del pensiero senecano: la tensione tra abitudine e ragione, tra ciò che si fa per inerzia e ciò che si dovrebbe fare per virtù.

1. Contesto e significato letterale"More solito" = "secondo l'usanza abituale" o "come al solito".

Seneca la impiega spesso in senso ironico o critico: descrive azioni compiute meccanicamente, senza riflessione, per mera routine (es. Epist. 83, 27: "ut more solito bibam" – "berrò come al solito").

Non è un elogio dell'abitudine, ma una denuncia: l'abitudine è il nemico della saggezza.


2. Critica stoica all'abitudineSeneca, come stoico, vede nell'abitudine un pericolo per la libertà interiore:L'uomo non libero agisce more solito perché è schiavo delle passioni, delle convenzioni sociali o del corpo.

Il saggio, invece, agisce secundum naturam (secondo natura) e secundum rationem (secondo ragione), non more solito.

Esempio: bere "come al solito" non è neutro; è un atto di dipendenza se non è scelto consapevolmente.


3. Confronto con altri concetti senecani 

Concetto

Descrizione

Rapporto con more solito

Consuetudo

Abitudine come "seconda natura" (Epist. 120)

È il terreno fertile del more solito: rende il vizio automatico.

Voluntas

Volontà razionale

Opposta al more solito: il saggio sceglie, non ripete.

Natura

Vivere secondo natura

Il more solito è spesso contra naturam (es. eccessi alimentari).


4. Applicazioni praticheSeneca invita a rompere il more solito attraverso: Esercizi spirituali: meditazione serale (de ira, de tranquillitate animi).

Provocazioni volontarie: fare ciò che l'abitudine evita (es. digiunare, dormire sul duro).

Domande socratiche: "Perché lo faccio così? È necessario? È virtuoso?"

5. Attualità del pensieroOggi more solito è il pilota automatico della vita moderna:Scorrere i social "come al solito".

Consumare cibo/spettacoli senza chiedersi il perché.

Seneca direbbe: "Non vivere come al solito, ma come devi".

Conclusione"More solito" non è una frase innocua: è il sigillo della schiavitù interiore. Seneca non condanna l'abitudine in sé (utile per le virtù consolidate), ma il suo dominio acritico. Il saggio trasforma l'abitudine in scelta consapevole: non agisce more solito, ma more suo – secondo la sua ragione, non secondo l'inerzia del passato."Non è perché le cose sono difficili che non osiamo; è perché non osiamo che sono difficili."

(Seneca, Epist. 104, 26) – un invito a uscire dal more solito.


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