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martedì 20 maggio 2014

SCIURI SCIURI CHIAMA IL RAP: LU GIRU DI LI VILI. Biggaspano e Roberto Sottile ci dicono come e perché






SCIURI SCIURI CHIAMA IL RAP: LU GIRU DI LI VILI. 
Biggaspano canta. Roberto Sottile ci dice come e perché.






Dimora del Padrino, Lu giru di li vili 

(G. Mirasolo, G. Riggio, F. Chiofalo), 2008




Un precedente post, nonostante il minaccioso titolo Marruggiati e pani duri, dedicato al testo rappato da Big Aspano, e  proposto con il relativo commento di Roberto Sottile, ha riscontrato un notevole interesse,  e continua a riscontrarne, accumulando visulizzazioni su visualizzazioni. 

Avverrà lo stesso con Lu giru di li vili?

Marruggiu è l'impugnatura, il manico, solitamente di zappe, forconi e arnesi vari e marruggiati equivale a dolorosi e devastanti colpi di marruggiu, per "lisciare le schiene" ai malcapitati direbbe Manzoni. 
Marruggiumaruggiàti  in quanto bastone, colpi di bastone, randello, randellate,  evocano anche rustiche aspirazioni di rivalsa o ricorso a estremi rimedi (non solo contro le testardaggini asinine) o sanzioni comminate con spicciole sentenze: pigliari  a marruggiàti; dari cuorpi di marruggiu. 
Marruggiu, maruggiàti: per difendersi, per attaccare. O, ahimè!,  per subire.

Ma Lu giru di li vili neanche scherza!

Se vili sta per l'equivalente italiano "vile", plurale vili,  "giru" sta per girone, tornata, turno, accolta dei vili. Brutta cosa. Ceffi di cattiva pasta.  Ma anche ghetto di povere vittime. O vuoi vedere che sia  alla fine una situazione assonante con  altre abiezioni infernali di conio moderno?

Ma il contenuto non è fatto solo di parole, un interrogativo si attira Big Aspano: quale dei suddetti significati riuscirà ad esaltare  meglio con il suo rap?




Il professore Roberto Sottile fa una sua analisi, inserita nel volume dedicato al dialetto nella canzone italiana negli ultimi vent'anni e che con Angela Castiglione e Liborio Barbarino, presenterà oggi 20 maggio a Palermo, nella sala di lettura della nuova biblioteca del Dipartimento di Scienze Umanistiche, ex convento di Sant'Antonino, in canora compagnia di tanti cantanti censiti, recensiti e studiati nel suo saggio: della musica, degli autori e dei testi, in riferimento alle diversificate scelte linguistiche, vengono fornite le coordinate storico-culturali entro cui collocarli. 

Così scrive: 

"La canzone è costruita attorno a tre blocchi testuali, ciascuno dei quali seguito dal ritornello. 
Questo consiste nella ripresa di un proverbio-filastrocca della tradizione orale che denuncia come l’immobilismo dipenda dall’indolenza degli uomini che, privi di qualunque slancio verso il cambiamento, giustificano la loro immobilità con la mancanza di tempo.
Nel brano questi uomini indolenti – uomini vili – sono anche assimilati ai maggiorenti locali."





Una suggestiva tesi di fondo viene sostenuta, nel documentatissimo saggio, in favore del dialetto finalmente sdoganato nelle e dalle canzoni di tanti cantanti dalla generosa e straordinaria vitalità.




LU GIRU DI LI VILI
Testo

(Biggaspano)

Cci voli cchiossà di chi..u chi ddiçiti

cci voli cchiossà di chi..u chi ffaçiti

avissi a pparlari si mi lu pirmittiti

chi ssi un vi muviti arristati runni siti.

Avissi a mmanciari ma ccà cc’è ssiti

e ffami

avemu suli e mmari e nno la forza ri

canciari

cu ll’occhi spirdati pi pputiri taliari

ma cu la vucca attuppata accussì un

putemu parlari.

(Doctor Jhò)

Lùnniri e mmàrtiri e nun ti pàrtiri

mèrcuri e gghiòviri e nun ti mòviri

vènniri pi gghiri e ssàbbat’â tturnari

ma sta carretta ccà cu si l’av’a ttirari.


Cci vonnu santi appizzati a lu muru

santi pisanti ri nnùmmaru unu

e ssi di ncelu nun scìnninu santi

viri chi bboli lu vili chi cchianci.

Sutta la rrama a ccògghiri mori

lu vili aspetta chi m-mucca cci cari

sbràzzati sura e nnenti l’ammazza

lu vil’un-zura s’è vvili di rrazza.

Assicùtalû travàgghiu unn’â pparlari

di ncapu lu çelu mi vagna

lu ventu m’av’âsciugari assà.

Intipatu cuntentu si ccari malatu

cusutu lu vili cunnuçi

fa prima si mmèttilu ncruçi sa.

ddocu lu lassi e ddocu lu pigghi

mancu lu riàvulu si l’arricogghi

lu vili è mma...u ddùppiu curnutu

puru u signuri ora u misi di latu.

Lùnniri e mmàrtiri e nun ti pàrtiri…

(Kool Magic Flow)


Pi vvinti carti cu si parti è un fo..i

nun-zi canta missa s’un ci sunnu sordi

càrica chiappi scàrica nervi

càrica còllari signuri e sservi.

Rìçinu c’a nnàvu..a simana poi

s’asiggi

senza liggi e ppariggi un tinci

stu fitenti di n’aricchia un-zenti

accussì ti la penzi? “um-mi riri nìenti!”

Allura comu semu cuminati pringipa’?

Ammutta stu carrettu agghiri ..à

compa’

ti vegnu a ttuppulìu sugnu chi..u

sutta cugnu

chi..u ca nun ci cala lu cutugnu

sugnu.

Cani ca nun canusci ca | cani di

mànnara

gente barbara quanto sperpera

servu e sservu sutta e ppa..uni

cu la fami agghiorna sutta stu

bbarcuni.

Cu la testa parti paisà chi cc’è?

cca cannìgghia un ci nn’è cu è gghiè

pu..a rana a sta ggente scarsa

fai da comparsa in terra arsa.

Lùnniri e mmàrtiri e nun ti pàrtiri…








Traduzione 

Ci vuole di più di quello che dite

ci vuole di più di quello che fate

dovrei parlare se me lo permettete

che se non vi muovete restate dove siete

dovrei mangiare ma qua c’è sete e

fame

abbiamo sole e mare e non la forza

di cambiare

con gli occhi spiritati per potere

guardare

ma con la bocca imbavagliata così

non possiamo parlare.



Lunedì e martedì e non partire

mercoledì e giovedì e non ti muovere

venerdì per andare e sabato devi tonare

ma questa carretta qua chi la deve

tirare?

Ci vogliono santi attaccati al muro

santi di peso, da numero uno

e se dal cielo non scendono i santi

guarda che vuole il vile che piange.

Sotto il ramo a raccogliere muore

il vile aspetta che in bocca gli cade

sbracciati, suda e niente l’ammazza

il vile non suda se è vile di razza.

Inseguilo il lavoro non ne parlare

dall’alto il cielo mi bagna

e il vento mi asciugherà abbastanza.

Pieno zeppo, contento se si ammala

col fisico asciutto il vile tergiversa

fai prima a metterlo in croce.

Qui lo lasci e qui lo pigli

neanche il diavolo se lo prende

il vile è maestro doppio cornuto

anche il Signore lo ha emarginato.

Lunedì e martedì e non partire…


Per venti euro chi si muove è un folle

ogni cosa ha il suo prezzo

carica blocchi di tufo, scarica nervi

carica dispiaceri, signori e servi.

Dicono che tra una settimana si

riscuote la paga

senza legge due colori uguali non si

accoppiano

questo fetente da un orecchio non sente

così te la pensi? “Lascia perdere!”

Allora, qual è la situazione, signor

padrone?

Spingi questo carretto in là, fratello

vengo a bussare alla tua porta sono

quello sotto pressione

quello che non riesce a digerire

questo amaro boccone sono.

Cane sciolto

servo e servo, servo e padrone

con la fame fa giorno sotto questo

balcone.

Si impazzisce, paesa’, che c’è?

qua non c’è trippa per gatti per nessuno

lesina denaro a questa gente povera

Lunedì e martedì e non partire…







La canzone è costruita attorno a tre blocchi testuali, ciascuno dei quali seguito dal ritornello. Questo
consiste nella ripresa di un proverbio-filastrocca della tradizione orale che denuncia come l’immobilismo dipenda dall’indolenza degli uomini che, privi di qualunque slancio verso il cambiamento, giustificano la loro immobilità con la mancanza di tempo.

Nel brano questi uomini indolenti – uomini vili – sono anche assimilati ai maggiorenti locali. Così l’immobilismo, al quale fa riferimento la filastrocca popolare, diventa anche quello sociale e politico del quale sono responsabili i rappresentanti delle istituzioni.

I tre blocchi della canzone corrispondono ad altrettante “voci”. La prima e la terza interpretano un

personaggio, rispettivamente (gli abitanti del)la Sicilia e l’operaio nella costante lotta contro il “padrone” per la rivendicazione e l’affermazione dei suoi diritti; la seconda voce descrive, invece, gli atteggiamenti e le caratteristiche dell’uomo vile.

Il primo blocco della canzone contiene l’invito (rivolto implicitamente anche ai politici) a fare e a dare di più per la propria terra. Di essa vengono evidenziate le bellezze e le potenzialità che, se non valorizzate, determinano il perpetuarsi del suo stato di abbandono. Questo determina la mancanza di progresso, la povertà e la miseria per la sua gente che, pur accorgendosi delle storture sociali, non può denunciarle perché tenuta sotto scacco e sotto ricatto dal potere locale:

cu ll’occhi spirdati pi pputiri taliari /
ma cu la vucca  attuppata accussì un putemu parlari.


Nel secondo blocco l’uomo vile è anzitutto presentato come una persona che non brilla di luce propria:
egli ha sempre bisogno di qualcuno più potente che lo protegga e gli dia la sua benedizione. Le sue
caratteristiche di persona impassibile vengono sottolineate anche attraverso la riformulazione di un modo di dire tradizionale, di ncapu lu çelu mi vagna / lu ventu m’av’âsciugari assà (cfr. § 4.4.4.).

L’uomo vile è talmente immobile e pigro da lasciarsi morire d’inedia, sutta la rrama a ccògghiri mori / lu vili aspetta chi m-mucca cci cari, e, per la sua mediocrità, è inviso non solo agli uomini, ma anche a Dio e perfino al diavolo. E a nulla serve indignarsi e provare a scuoterlo:

sbràzzati sura e nnenti l’ammazza 
lu vili un-zura s’è vvili di rrazza. 

L’uomo vile è talmente inetto che preferisce ammalarsi pur di non andare al lavoro, cuntentu si ccari
malatu e, inoltre, è abilissimo a prendere tempo e a tergiversare aspettando che siano gli altri a fare per lui i compiti assegnatigli: cusutu lu vili cunnuçi.


Nel terzo blocco della canzone, l’operaio è presentato in contrapposizione al suo datore di lavoro,
contrapposizione che nel testo è anche esplicitata mediante l’uso di alcune antitesi (v. sotto). Il protagonista è sfruttato, sottopagato, pagato in ritardo e dopo insistite e snervanti richieste al “padrone” che lesina costantemente il denaro: pu..a rana a sta gente scarsa.

Sul piano formale, nella strofa iniziale ogni verso corrisponde per lo più a due frasi con coordinazione
copulativa e avversativa, mentre le due frasi conclusive presentano una struttura ipotattica abbastanza
semplice così da proporre una condizione linguistico-testuale che si pone, sostanzialmente, come mimesi del parlato in coerenza con una delle caratteristiche tipiche della testualità hip hop.

La filastrocca del ritornello (prevalentemente costituita da parole proparossitone) presenta in sé alcune
caratteristiche che ben si prestano a soddisfare alcune tra le più importanti peculiarità della scrittura rap,
come la rima ricca interna (màrtiri : pàrtiri; gghiòviri : mòviri) e la consonanza (gghiri : turnari).


Come nel ritornello, anche nella seconda e nella terza strofa si trovano molti esempi dei tratti formali del

testo rap: rima ricca interna (santi : pisanti, carti : parti), rima interna per ripetizione (sura : un-zura),

consonanza (mori : cari, viri : vili), assonanza – in punta di verso (santi : chianci).


Nella terza strofa la contrapposizione tra l’operaio e il datore di lavoro è amplificata da diversi elementi
antitetici (càrica chiappi scàrica nervi; signuri e sservi), alcuni dei quali tratti dal lessico e dalla fraseologia tradizionali, come la forma sutta e ppa..uni che fa riferimento ai due principali ruoli del gioco del tocco (cfr. § 4.4.4. per gli ulteriori numerosi elementi fraseologici tradizionali presenti nel testo). Tra le altre figure retoriche, si noti, sempre nella terza strofa, il chiasmo (sugnu chi..u sutta cugnu / chi..u ca nun ci cala lu cutugnu sugnu) e la metafora (cu la testa parti ‘impazzisci’, cca cannìgghia un ci nn’è ‘non c’è trippa per gatti’).


Da notare sono, infine, la frase «um-mi riri nìenti», “recuperata” dalla voce di Tony Sperandeo, e i due
versi in lingua «gente barbara quanto sperpera», «fai da comparsa in terra arsa», il primo con consonanza tra due parole proparossitone, il secondo con rima ricca interna.

Quanto al lessico, all’uso di parole dialettali “ordinarie” fanno da contrappunto qualche forma gergale,

vinti carti ‘venti Euro’, e alcuni arcaismi come càri[ri] malatu ‘ammalarsi’, asìggi[ri] ‘riscuotere la paga’, canìgghia ‘crusca’ e, soprattutto, pu..a[ri] ‘truffare, fregare qualcuno in genere non pagando i debiti’, accezione, questa, che il VS registra solo per l’area siciliana occidentale.



martedì 26 novembre 2013

RAP IN SICILIA O IN SICILIANO? Marruggiati e pani duru


Cosa viene fuori dall'incontro di un genere musicale nuovo con il dialetto antico?
Roberto Sottile analizza i testi di alcune canzoni rap e ci fa scoprire che...



La canzone


TESTO DELLA CANZONE


Biggaspano, Marruggiati e pani duru (G. Mirasolo), 2011



Nna ggenerazioni cu lli spaḍḍi a
llu muru ca
pìgghia ṣṭṛati c’un-zi sapi runni
 vannu
crisci a mmarruggiati e ppani duru
e ppi ttirari avanti me fra’
cci-aviri puru l’occhi nculu.
Quaṭṭṛu porci assittati
cosa ri pigghialli a mmasciḍḍati
sciacalli e strozzini autorizzati
e ppo un parlamu di li sbirri
sempri cchiù aṭṭṛezzati
çentu ncapu a un’a mmèttiri i
manganellati
e ssunnu chiḍḍi cu li figghi
assistimati chi
si cci ddiplomaru e ssu qquasi
laureati
e la manu americana pripara
l’attentati
beḍḍa maṭṛi l’Italia è ddi li laṭṛi
cci vulìssiru piṭṛati ferru e ffocu nta
li ṣṭṛati
su ttutt’implicati i preti porci e
mmagistrati
Fini Bberlusconi e Pprodi sunnu
andicappati
menṭṛi tutti l’aṭṛi na maniata i
scafazzati
e nniaṭṛi na ggenerazzioni...
Li polìtiçi corrotti sunnu chiḍḍi chi
cci-annu li mugghieri pulli e ssi nni
vannu a ffinocchi
mi rìçinu chi ll’erba è ccomu
l’eroina
ma su rricoverati pi la coca
all’aṭṛopina
e ssunnu tutti cchiù rrazzisti di
Bbossi
picchì pàganu nneru puru lli
portabborsi
bbicchirinu d’acqua e cchiàcchiara
pagata
picchì su qquacquaraquà e ccani di
bbancata
paganu li tassi l’operai
avi nna vita chi ṭṭṛavàgghiu e ccosi
ggiusti unn àiu vistu mai
ci vulìssiru tistati comu a
Mmaterazzi
e ccontinuannu ri stu passu
addivintamu tutti pazzi
e cchiḍḍi rricchi un ci crìrinu a li
scarsi
tirchi comu Maźźarò fannu castelli
e ppalazzi
rispàrmianu puru ll’ària chi
rrespìranu
veni la morti e ssi li pìgghia
ddoppu chi nnèscinu pazzi
tuttu um-mància mància ma un-
zunnu mai sazzi
ccà fannu lli sordi iucaturi e
ppaparazzi
ḍḍi quaṭṭṛu bbuttani c’allivìscinu
cazzi
a mafia la politica e ttutti li so
nṭṛallazzi.

Na ggenerazzioni…



Una generazione con le spalle al
muro che
prende strade che non si sa dove
vanno
cresce a bastonate e pane duro
e per tirare avanti, fratello mio
devi avere gli occhi nel culo.
Quattro porci seduti
roba da prenderli a cazzotti
sciacalli e strozzini autorizzati
e ppoi non parliamo degli sbirri
sempre più attrezzati
cento sopra uno a prendere a
manganellate
e sono quelli con i figli assennati
che
si sono diplomati e sono quasi
laureati
e la mano americana prepara gli
attentati
mamma mia, l’Italia è dei ladri
ci vorrebbero sassate ferro e fuoco
per le strade
sono tutti implicati preti, porci e
magistrati
Fini Berlusconi e Prodi sono
handicappati
mentre tutti gli altri un pugno di
persone infime e insulse
E noi una generazione…
I politici corrotti sono quelli che
hanno le mogli sgualdrine e se ne
vanno coi finocchi
mi dicono che l’erba è come l’eroina
ma sono ricoverati per la coca
all’atropina
e sono tutti più razzisti di Bossi
perché pagano in nero anche i
portaborse
bicchiere d’acqua pronto e
chiacchiere remunerate
perché sono quacquaraquà e
persone disutili
pagano le tasse gli operai
è da una vita che lavoro e cose giuste
non ne ho viste mai
ci vorrebbero testate come a
Materazzi
e continuando di questo passo
diventiamo tutti pazzi
e quelli ricchi non hanno
considerazione per i poveri
tirchi come Mazarò fanno castelli e
palazzi
risparmiano anche l’aria che respirano
viene la morte e se li prende prima
che impazziscano
fanno guadagni illeciti ma non sono
mai sazi
qua fanno i soldi calciatori e
paparazzi
quelle quattro puttane che
resuscitano cazzi
la mafia la politica e ttutti li so
n..allazzi.
Na ggenerazzioni…
la mafia, la politica e tutti i loro
intrallazzi.
Una generazione…





L'ANALISI DEL PROFESSORE ROBERTO SOTTILE

Nella cultura musicale hip hop «grandissima importanza [è] attribuita al messaggio trasmesso attraverso la musica, veicolo di inquietudini e di storie difficili, manifesto pregnante del disagio giovanile. [...] Come nei ghetti americani, così nelle periferie italiane i giovani rapper sentono l’esigenza di parlare del proprio mondo, raccontare storie vissute tutti i giorni, esprimere la rabbia provocata da realtà degradate, attraverso il potente mezzo della musica, capace di dare risonanza collettiva al disagio e all’alienazione» (Scrausi 1996, p. 288). 

[...] In questo contesto «diventa essenziale l’uso di un linguaggio che rispecchi esattamente la realtà rappresentata» (ivi, p. 294). «Tra gli elementi di novità rispetto alla canzone tradizionale spicca, naturalmente, il ritmo. Dato che nella costruzione di un testo rap ci si ispira ai moduli della discorsività parlata, il rapper gode di una libertà compositiva maggiore di quella di cui dispongono cantautori e parolieri» con «l’adozione di un ritmo fluente e ininterrotto che solo l’andamento magmatico di un parlato irrequieto e privo di censure espressive può offrire. [...] Questa caratteristica viene confermata anche dall’uso, che per esempio si attua nelle jam sessions, di “rappare all’impronta” su basi ritmiche volutamente non originali» (ivi, p. 314). E così, nelle canzoni rap, dove le parole, più che cantate, sono scaricate addosso a chi ascolta, «la rima [...] non ha lo stesso valore che ha nella canzone tradizionale, risponde[ndo] a due esigenze precise.

La prima è di natura stilistica: nella rima si condensa la carica aggressiva del testo. [...] La seconda esigenza è di natura testuale. Il brano rap è un testo poetico particolare: è come se, per l’orecchio, non andasse mai a capo. Per questo aspetto può essere considerato una sorta di poema in prosa. [...] Istruttivamente, nella stesura, spesso i versi vengono scritti tutti di séguito, a volte anche senza punteggiatura, tanto da rendere difficile la scansione metrica: sicché la rima garantisce il tasso necessario e sufficiente di poeticità; ma soprattutto svolge una funzione connettiva. Stabilisce, cioè, dei legami tra le varie parti del testo, che altrimenti risulterebbero disunite o, al contrario, indistinte.



Naturalmente la rima non è più collocata necessariamente in fine di verso [...]. Quando gli autori effettuano una scansione metrica, non cercano la rima classica, ma la rimalmezzo, la rima interna, l’assonanza, la consonanza» (ivi, pp. 315-316).

Queste considerazioni, tratte da Versi rock, chiariscono bene quali siano le principali caratteristiche formali, oltre che tematiche, della cultura hip hop. Il testo "Marruggiati e pani duru" di Biggaspano presenta una profonda coerenza tanto con le soluzioni formali richiamate sopra, quanto con i temi del rap militante. Anche se la canzone è eseguita su un riddim reggae, essa è stata originariamente concepita come una composizione rap. E, inoltre, nel Meridione, a differenza che nel resto d’Italia, i rapper praticano anche il reggae (dai salentini Sud Sound System agli Shakalab) e, pertanto, sono diffusi molti esempi di “trasformazioni” di brani dall’uno all’altro genere (come nel recente caso del remixing della canzone "Lu giru di li vili" della Dimora del Padrino ad opera dello stesso Biggaspano).

Il testo presenta il “Paese reale”, vittima degli abusi di potere (e ppo un parlamu di li sbirri sempri cchiù atṭṛezzati / çentu ncapu a un’a mmèttiri i manganellati), ma dotato di un forte senso civico (pàganu li tassi l’operai / avi nna vita chi tṭṛavàgghiu e ccosi ggiusti unn àiu vistu mai), in antitesi con il mondo della politica e delle istituzioni; esprime il profondo disagio di una generazione senza prospettive e una violenta invettiva contro il potere istituzionale, questo incarnato dalle forze di polizia e dai politici corrotti, chiamati con i loro nomi e, di volta in volta, apostrofati come porci, sciacalli, strozzini, handicappati.

La canzone del rapper Biggaspano, in quanto «cantastorie di fine millennio» (secondo la (auto)definizione di Frankie Hi-nrg, cfr. Scrausi 1996, p. 299), trae spunto dall’attualità, a partire dalla quale viene sviluppato il tema della corruzione (morale, ancor più che istituzionale) del sistema politico. Il rapporto con l’attualità è nel (probabile) riferimento allo “scandalo Marrazzo” (li polìtiçi corrotti sunnu chiḍḍi chi / ..si nni vannu a ffinocchi), a quello delle “olgettine” (ḍḍi quaṭṭṛu bbuttani c’allivìscinu cazzi), alla testata di Zidane sul petto di Materazzi, in occasione dei mondiali di calcio del 2006 (cci vulìssiru tistati comu a Mmaterazzi).

L’indignazione contro la corruzione è amplificata dalla violenza verbale e dal turpiloquio che
costituiscono la cifra espressiva del rap militante, mentre non manca un “passaggio” sulla liberalizzazione
delle droghe leggere, altro topos della cultura hip hop (cfr. Scrausi 1996, pp. 352-353).

Sul piano formale, la canzone, prevalentemente in rima baciata, presenta anche molte rime interne che
servono a dare ulteriore coesione al testo che viene cantato “tutto d’un fiato” (cosa ri pigghialli a
mmasciḍḍati / sciacalli e strozzini autorizzati). Ma si noti, soprattutto, come la rima interna venga usata, a
mo’ di rinforzo, quando in punta di verso non è presente una forma in rima con quella del verso precedente: e la manu americana pripara l’attentati // beḍḍa maṭṛi l’Italia è di li laṭṛi); si noti anche il gioco omonimico laṭṛi ‘ladri’ / l’aṭṛi ‘gli altri’ (anche se le due forme sono poste a una certa distanza l’una dall’altra). Non mancano, poi, esempi di assonanza (puru : nculu; diplomaru : manu) e consonanza (sunnu: annu; sunnu : fannu).

Tra le figure retoriche, spiccano le numerosissime iperboli (cci-aviri puru l’occhi nculu ... çentu ncapu a unu ... e ssunnu tutti cchiù rrazzisti di Bbossi ... avi nna vita chi ṭṭṛavàgghiu ... rispàrmianu puru ll’ària chi rrespìranu), la prosopopea (veni la morti e ssi li pìgghia), la similitudine (tirchi comu Maźźarò), la metafora (ḍḍi quaṭṭṛu bbuttani c’allivìscinu cazzi).

Riguardo al lessico, il titolo trae spunto dal proverbio napoletano mazze e panelle fanne e figlie belle, panelle senza mazze fanne e figlie pazze, e “traduce” il nome di un brano dei Chief e Soci, Feat. La Famiglia (1997). 

La forma pulli, unico disfemismo diatopicamente marcato, è un francesismo sette-ottocentesco col valore di ‘sgualdrina’ (< francese poule). Interessanti sono anche le locuzioni maniata i scafazzati, che “fonde” un arcaismo con un giovanilesimo (cfr. 4.4.1.), e cani di bbancata; la forma, con apocope, me fra’ (già discussa al § 4.4.5.) e la parola quacquaraquà, che, pur dotata di una forte connotazione isolana, se posta in relazione con la nota “categorizzazione antropologica” di Leonardo Sciascia (Il giorno della civetta), trova un precedente in una “vecchia” canzone dei Bisca 99 Posse, «Onu. Fao, Unicef, quaqqquaracquacqua» (Cildren ov babilon, 1995).


Si noti, infine, la citazione verghiana con il riferimento al protagonista de La roba: posta verso la fine del testo, ne richiama implicitamente l’inizio con un parallelismo a distanza tra le manganellate degli sbirri e i colpi di bastone inferti da Mazarò alle sue galline.


ROBERTO SOTTILE, Il dialetto nella canzone italiana degli ultimi venti anni.
Data pubblicazione: Settembre 2013;
Editore: Aracne;



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