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giovedì 20 novembre 2025

DICE CHATEAUBRIAND... SUI SOGNI. E la volontà?

Non ci si svincola con la volontà dai sogni.

François-René de CHATEAUBRIAND, Vita di Rancé, trad. di Giuseppe Aventi, Bompiani, Milano 1982

Titolo originale: Vie de Rancé





Anche se non ha una spontanea sensibilità umana, ho chiesto ugualmente se voleva fare un commento all'Intelligenza Artificiale, che così ha risposto in un secondo:

"Certo, quel pensiero di Chateaubriand è denso e bellissimo.

La frase completa nel contesto della Vita di Rancé suona più o meno così (la traduzione di Aventi è fedele):«L’uomo non si libera con un atto di volontà dai sogni che lo dominano.»

Chateaubriand la scrive pensando alla vita del monaco trappista Armand-Jean de Rancé, che dopo una giovinezza mondana, dissoluta e brillante, si converte radicalmente in seguito alla morte tragica della donna che amava (la duchessa di Montbazon). 
Tutti si aspettano che quella conversione sia un capriccio passeggero, un accesso di disperazione; invece Rancé passa il resto della vita in un’austerità feroce, fondando la Trappe riformata.
 
Eppure – ed è qui il punto straziante – anche dopo decenni di silenzio, di cilici e di digiuni, Rancé porta dentro di sé l’impronta indelebile di quel mondo che ha rinnegato. 
I sogni (intesi non solo come sogni notturni, ma come desideri profondi, immagini, fantasmi del passato) continuano a visitarlo. 
La volontà può cambiare la condotta esteriore, può imporre disciplina al corpo e alla giornata, ma non riesce a sradicare ciò che è impresso nell’anima.

Chateaubriand, che scrive la Vita di Rancé nel 1844, quando è vecchio, malato, quasi cieco e profondamente disilluso, proietta su quel monaco qualcosa di sé. 
Anche lui, cattolico realista, ha passato la vita a inseguire sogni (la gloria letteraria, l’amore impossibile per Madame Récamier, la restaurazione della monarchia legittima…) e sa benissimo che non ci si “svincola” davvero. 
Puoi chiudere la porta, puoi murarti in un monastero o in un’ideologia, ma i sogni ti seguono come ombre.

È una frase disperata e insieme lucidissima: riconosce il limite della volontà umana di fronte alla profondità del desiderio e della memoria. Non è un inno al fatalismo, ma una constatazione amara: l’uomo è più grande (e più prigioniero) di quanto creda la sua stessa libertà.

In fondo è lo stesso Chateaubriand che altrove scrive:
«L’uomo non ha un solo e medesimo cuore per tutta la vita: lo cambia più volte come cambia la pelle il serpente.»
Ma anche cambiando cuore, i vecchi sogni continuano a sanguinare sotto la nuova pelle.
Una delle frasi più profonde – e più malinconiche – dell’intera letteratura francese dell’Ottocento." AI Grok

Penso a quella scena del film di Buñuel dove un monaco tutto dedito all'ascesi, apparentemente imperturbabile, riceve nel convento la visita di un'antica passione femminile e alla fine si avvia verso la propria cella barcollando. 


mercoledì 5 novembre 2025

DICE SENECA... "MORE SOLITO". Sul braccio di ferro tra abitudine e volontà

 MORE SOLITO

Lucio Anneo SENECA, Lettere a Lucilio, LXXXIII

Cosa intende Seneca per more solito?

Al solito.

(In palermitano tradurrebbero O suòlitu). 


Sculture in alabastro di Carmelo Cammarata

presso l'omonima Casa Museo di Bivona


Un'analisi dell'Intelligenza Artificiale Grok

La locuzione latina "more solito" (o più precisamente "more suo" in alcuni contesti) appare nelle opere di Seneca, in particolare nelle Lettere a Lucilio (Epistulae Morales ad Lucilium), dove il filosofo stoico la usa per indicare un comportamento conforme all'abitudine personale o secondo il proprio costume. 

Non si tratta di una massima isolata, ma di un'espressione ricorrente che riflette un tema centrale del pensiero senecano: la tensione tra abitudine e ragione, tra ciò che si fa per inerzia e ciò che si dovrebbe fare per virtù.

1. Contesto e significato letterale"More solito" = "secondo l'usanza abituale" o "come al solito".

Seneca la impiega spesso in senso ironico o critico: descrive azioni compiute meccanicamente, senza riflessione, per mera routine (es. Epist. 83, 27: "ut more solito bibam" – "berrò come al solito").

Non è un elogio dell'abitudine, ma una denuncia: l'abitudine è il nemico della saggezza.


2. Critica stoica all'abitudineSeneca, come stoico, vede nell'abitudine un pericolo per la libertà interiore:L'uomo non libero agisce more solito perché è schiavo delle passioni, delle convenzioni sociali o del corpo.

Il saggio, invece, agisce secundum naturam (secondo natura) e secundum rationem (secondo ragione), non more solito.

Esempio: bere "come al solito" non è neutro; è un atto di dipendenza se non è scelto consapevolmente.


3. Confronto con altri concetti senecani 

Concetto

Descrizione

Rapporto con more solito

Consuetudo

Abitudine come "seconda natura" (Epist. 120)

È il terreno fertile del more solito: rende il vizio automatico.

Voluntas

Volontà razionale

Opposta al more solito: il saggio sceglie, non ripete.

Natura

Vivere secondo natura

Il more solito è spesso contra naturam (es. eccessi alimentari).


4. Applicazioni praticheSeneca invita a rompere il more solito attraverso: Esercizi spirituali: meditazione serale (de ira, de tranquillitate animi).

Provocazioni volontarie: fare ciò che l'abitudine evita (es. digiunare, dormire sul duro).

Domande socratiche: "Perché lo faccio così? È necessario? È virtuoso?"

5. Attualità del pensieroOggi more solito è il pilota automatico della vita moderna:Scorrere i social "come al solito".

Consumare cibo/spettacoli senza chiedersi il perché.

Seneca direbbe: "Non vivere come al solito, ma come devi".

Conclusione"More solito" non è una frase innocua: è il sigillo della schiavitù interiore. Seneca non condanna l'abitudine in sé (utile per le virtù consolidate), ma il suo dominio acritico. Il saggio trasforma l'abitudine in scelta consapevole: non agisce more solito, ma more suo – secondo la sua ragione, non secondo l'inerzia del passato."Non è perché le cose sono difficili che non osiamo; è perché non osiamo che sono difficili."

(Seneca, Epist. 104, 26) – un invito a uscire dal more solito.


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