Nei locali del Castello Chiaramontano, l’Istituto professionale "Fermi" vi ha trascorso l’ultimo anno scolastico nel 1988 ed era in fase di trasloco quando, in occasione dei festeggiamenti del 50° dell’incoronazione della Madonna del Monte, con un nutrito gruppo di giovanissimi ed entusiasti volontari vi organizzai le seguenti quattro mostre: etnografica; delle bandiere del Cero; di "brillanti" (cristalli di sale e di zolfo); del pittore Guccione.
Sempre a cura dello stesso gruppo di lavoro, altre due mostre fotografiche vennero organizzate contemporaneamente nei locali
dell’ex caserma del Monte: una con le foto storiche sulla Festa del Monte messe a disposizione dai cittadini e l'altra sulla fauna e la flora
di Castronovo di Sicilia, paese "gemellato" nel 1986.
Una settima mostra, di grafica, venne allestita infine all’auditorium "Santa Chiara" e il cui
catalogo venne finanziato dal circolo di Cultura presieduto da Gregorio Casodino.
Auditorium Santa Chiara, mostra di grafica di Nicolò D'Alessandro. Da sinistra verso destra: Salvatore Tirone, Salvatore
Belgrado, Carmelo Mulè, Leonardo Sciascia, Piero Carbone, Carmelo Rizzo, Nicolò Restivo Pantalone, Carmelo Collura.
Ben 6 mostre sono state organizzate per conto del Comitato le cui finanze non ne hanno risentito granché in quanto fatte in stretta economia. Ne hanno risentito però le automobili private, uscite a fine mostra con le ossa, anzi, con gli ammortizzatori rotti per avere trasportato dalle campagne più scognite, su stradelle malmesse, aratri e panieri, selle e falci e zappe e forconi e tummina e munneddra e sacchi di iuta e otri etc etc. etc.
Da sinistra: don Luigi Mattina, Elia Marino, mons. Domenico De Gregorio, Francesco Marchese. Sullo sfondo, il Castello Chiaramontano prima del restauro. |
Per fortuna, molti oggetti e attrezzi di lavoro venivano portati dagli stessi proprietari: alcuni raccomandavo di riaverli indietro, altri pensavano di farne una donazione se ci fosse stato un museo, come era intenzione ad esempio dello chaffeur (detto in siciliano gnuri) zi Cicciu Di Marco: avrebbe donato l’imbracatura dei cavalli che tiravano la carrozza prima dell’avvento dei taxi. Molti racalmutesi mettevano piede nel castello per la prima volta e firmavano convinti l'appello "Perché il Castello viva".
Al termine della mostra venne restituito tutto: sia il castello
sia l’ex macello dovevano ancora essere restaurati e non c’era dove ricoverare i reperti. Il Museo era di là da venire.
Se ne parlava in giro, ma l’idea del museo rimaneva un
etnodesiderio, come testimonia il seguente articolo che due anni prima con ingenuo ottimismo e tanta voglia di fare avevo scritto e inviato
a “Malgrado tutto”, pubblicato sul numero di aprile del 1986, nell’angolo dei
lettori.
Un Museo Etnografico a Racalmuto
Palazzolo Acreide ce l'ha, ce l'ha Gibellìna, quello di Godrano è in versione modernizzata; un po' inconsueto, quello della Facoltà di Lettere di Palermo.
E perché non anche a Racalmuto?
Sto parlando dell'eventualità di creare nel
nostro paese un museo etnografico. Una proposta pertinente, credo, per il
nostro centro.
Di Racalmuto si dice essere un « centro agricolo e
minerario » (cosi l'Enciclopedia Rizzoli-Larousse, la Treccani, le guide
turistiche, etc.) dove predomina la cerealicoltura, con notevole produzione di
zolfo, salgemma e sali potassici, e ancora olio, vino, latticini.
Che c'entra, dunque, un museo etnografico
a Racalmuto con la sua economia mineraria, agricola e pastorale? Rispondo: per
« ricordare » la cultura legata a quelle forme economiche
mentre stanno scomparendo non solo
quelle forme economiche ma
anche la cultura ad esse legata.
«
Cultura o civiltà — scrive il Taylor — è quel complesso insieme che comprende
conoscenze, credenze, arti, morale, legge, costume, e ogni altra capacità ed
abitudine acquisita dall'uomo come membro della società."
E quindi cultura sono anche tutti gli arnesi di lavoro: aratri a chiodo, setacci, coffi, cuffuna, citaleni, picconi, cafisa, vasceddi: gli strumenti, cioè, della cultura cosiddetta materiale. Ma anche le serenate, le canzoni d'amore e di protesta, le stornellate, le orazioni, le feste, la cucina, il linguaggio, le più svariate tradizioni; in breve: tutto quel patrimonio che col tempo decade e si dimentica per sempre.
Oggetti e tradizioni a cui tutti ci sentiamo legati, in proporzione diretta all'età; eppure, quanti di questi oggetti ammuffiscono nelle cantine o vanno a finire nelle discariche? E quanti altri vengono svenduti per una manciata di ceci? Del patrimonio orale non occorre dire: si rischia la tabula rasa.
E quindi cultura sono anche tutti gli arnesi di lavoro: aratri a chiodo, setacci, coffi, cuffuna, citaleni, picconi, cafisa, vasceddi: gli strumenti, cioè, della cultura cosiddetta materiale. Ma anche le serenate, le canzoni d'amore e di protesta, le stornellate, le orazioni, le feste, la cucina, il linguaggio, le più svariate tradizioni; in breve: tutto quel patrimonio che col tempo decade e si dimentica per sempre.
Oggetti e tradizioni a cui tutti ci sentiamo legati, in proporzione diretta all'età; eppure, quanti di questi oggetti ammuffiscono nelle cantine o vanno a finire nelle discariche? E quanti altri vengono svenduti per una manciata di ceci? Del patrimonio orale non occorre dire: si rischia la tabula rasa.
Sull'importanza della memoria, del resto, non mi soffermo solo per esaltare-sospirare il passato, altrimenti sarei un conservatore, ma non posso non citare il pensiero di un poeta inglese (gente astorica per eccellenza, si sa, i poeti): «A questo serve la memoria:
A liberarci... » (T.E. Eliott).
A liberarci dallo stupido linguaggio dei mass media, dalla loro petulante pubblicità: oggi per democrazia si intende livellamento di gusto nel consumo.
Un museo etnografico, invece, è creatività, se lo
si intende come l'intende A.M. Cirese, se lo si fa come lo ha fatto
Antonino Uccello a Palazzolo Acreide o Francesco Carbone a Godrano. E se noi sul serio decidessimo di farlo, non
ci negherebbero il loro contributo, la loro consulenza, né il Direttore del
museo di Godrano né il Direttore del centro di etnostoria di Palermo, prof.
Aurelio Rigoli.A liberarci dallo stupido linguaggio dei mass media, dalla loro petulante pubblicità: oggi per democrazia si intende livellamento di gusto nel consumo.
A Racalmuto, il museo potrebbe funzionare
anche, perche no?, da centro di coordinamento delle varie attività culturali che
rientrano nella sua natura, nel suo ambito di interessi. Metterebbe in moto
tante energie, coinvolgerebbe tanti giovani.
Due gruppi folkloristici, un'Associazione Pro-Loco, un Circolo di
Cultura, due radio, un giornale, un teatro...
Chi può disporre di tante e tali strutture e gruppi? Racalmuto lo può. Coordinare e lavorare di concerto sarebbe per il nostro paese un salto di qualità: non beghe né campanilismi ma un'unica volontà di lavorare. Magari all'insegna del seguente motto: "Emulare, non invidiare."
Chi può disporre di tante e tali strutture e gruppi? Racalmuto lo può. Coordinare e lavorare di concerto sarebbe per il nostro paese un salto di qualità: non beghe né campanilismi ma un'unica volontà di lavorare. Magari all'insegna del seguente motto: "Emulare, non invidiare."
Sogno? Alle volte vorrei svegliarmi senza fare svanire le larve dei miei sogni.
Non sarebbero più larve, non sarebbero
più sogni.
Intanto, per iniziare, basterebbe anche
una sala del Castello, u Cannuni, (sarebbe, tra
l'altro, una buona occasione per riparlare del povero Cestello), dove poter
eventualmente depositare i materiali del futuro museo.
Per storicizzare siffatti propositi, per realizzare il progetto del museo occorrono — l'ovvietà è lapalissiana — fondi, disponibilità. Ogni anno, mi chiedo, quanto spendiamo per il calcio? Se cento milioni o giù di lì si reperiscono per un pallone di cuoio, mi auguro se ne reperiscano almeno la metà per un più duraturo, e utile (culturalmente, turisticamente ovvero economicamente) museo etnografico. Mi capiscano gli amici sportivi: la mia vuole essere una benintenzionata provocazione: per discuterne, purché se ne discuta.
Per storicizzare siffatti propositi, per realizzare il progetto del museo occorrono — l'ovvietà è lapalissiana — fondi, disponibilità. Ogni anno, mi chiedo, quanto spendiamo per il calcio? Se cento milioni o giù di lì si reperiscono per un pallone di cuoio, mi auguro se ne reperiscano almeno la metà per un più duraturo, e utile (culturalmente, turisticamente ovvero economicamente) museo etnografico. Mi capiscano gli amici sportivi: la mia vuole essere una benintenzionata provocazione: per discuterne, purché se ne discuta.
Il fatto è che se una cosa la
si vuole, i modi per ottenerla si sapranno escogitare, possibilmente senza
scontentare nessuno.
Io, per la mia parte, ho voluto, con la suddetta proposta, lanciare una pietra nello stagno (nel paese che sempre rischia di ristagnare), sperando che l'acqua ci sia, e che non sia marcia o avvelenata.
Non altro mi proponevo: le mie volevano essere riflessioni di un racalmutese dirette a racalmutesi.
Mi ha fatto molto piacere rivedere luoghi e cose antiche che non avevo dimenticato ma solo accantonato.Ma vedere mio padre con degli amici a distanza di tanti anni, mi ha reso partecipe per pochi attimi della sua felicita. Grazie Piero. Tirone Alessandro
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