a la sagra di li ménnuli
sciuruti
Suli
ammatina supra di li mennuli
e cantanu l’oceddri
a tutta l’ura.
Lu viddranu,
curcatu nô carrettu,
s’annaculìa.
Cangia la vintura
pi un sciuri
di li mennuli all’oricchia?
Pinniculia,
tuttu stinnicchiatu
(la vampa di
lu suli ca lu scorcia);
senti li
forti strepiti d’Orlannu
câmmazza i
saracini e ca Rinallu
suspira e
chianci, biancu arrussittatu.
Cu la mula
parata a festa granni,
lu carrettu
lucenti cu li pinni,
a passu a
passu mezzu u pruvulazzu.
E la mula
nun senti chiù la via.
Ci penni la
cuperta mmezzu i gammi.
Li mennuli e
l’olivi, tornu tornu,
ci fannu
strata. Sbatti ni un pitruni,
isa la
testa, curri; sata, abballa,
“Stoccati u
coddru”, a zotta a vastunìa.
Vittivìtti,
ca sona u mancarrùni.
Poesia di Antonino Cremona
Nella sagra dei mandorli fioriti. Sole di mattina sopra i mandorli / e cantano gli uccelli a distesa. / Il villano, coricato nel carretto, / dondola. Muta la ventura / per un fiore di mandorlo all’orecchia? / Ondeggia, tutto sdraiato / (la vampa del sole che lo scortica); / sente i forti strepiti di Orlando / che ammazza i saraceni e che Rinaldo / sospira e piange, bianco e imbellettato. / Con la mula parata a festa grande, / il carretto lucente coi pennacchi, / passo passo nel polverone. / E la mula non sente più la via. / Le pende la coperta tra le gambe. / I mandorli e gli olivi, torno torno, / le fanno strada. Sbatte in un macigno, / alza la testa, corre; salta, balla, / “Rompiti il collo”, la frusta la bastona. / Presto, che suona il marranzano.
Anch'io ho conosciuto Antonino Cremona e come tanti, del cosiddetto grande pubblico, l'ho poco letto e poco valorizzato pur apprezzadone occasionali interventi quando apparivano su certa stampa minore e di circoscritta divulgazione.
Come prosatore vi ritrovavo e riconoscevo nella scrittura verve e intelligenza, metabolizzata cultura, allusiva ironia; una volta ne ho fatto le spese avendolo provocato con una domanda al Centro Pitrè di Palermo dove ero corso ad ascoltare riflessioni critiche e testimonianze di Salvatore Di Marco ed altri amici studiosi sulla sua poesia, sui suoi Occhi antichi e il suo sguardo moderno.
Avendo avuto da ridire su non so più quale scelta ortografica del suo dialetto scritto, dopo avermi chiesto di dov'ero, abbassò gli occhiali, mi squadrò, mi fissò negli occhi quasi con antica confidenza e dalla fessura sorridente delle labbra sussurrò che i racalmutesi eravamo "tutti filosofi".
Un incontro che purtroppo non coincise con l'avvio di altri approfondimenti e sistematiche letture. Le circostanze editoriali congiuravano sfavorevolmente come un complotto: il libro di cui si parlava infatti non era di facile reperibilità.
A distanza di tanti anni da quell'incontro, la pubblicazione dell'intervento di Marco Scalabrino, che ringrazio, vuole essere, nel mio piccolo, risarcitorio di un incombente silenzio, non solo privato, sul poeta agrigentino.
Piero Carbone
Antonino Cremona |
Antonino Cremona & occhi antichi
di Marco Scalabrino
La notizia della scomparsa di Antonino Cremona
(Agrigento 1931-2004) si diffuse nell’Autunno tra gli amici e negli ambienti
della poesia dialettale siciliana.
Sedato lo sgomento, acquisito il dato della
ineluttabilità della morte, la prima autorevole sentita testimonianza è stata la
“Lettera per Antonino Cremona” di Salvatore Di Marco, datata 10 Febbraio 2005.
“Lettera”, pubblicata sul numero 78 de la nuova tribuna letteraria, di cui si riportano
alcuni estratti: “Il fatto è che questa diceria della tua morte (e ti prego di
smentirla) risale al 25 Settembre dell’anno scorso con tanto di necrologio sui
giornali. Anch’io lessi a suo tempo, ma vai a fidarti dei giornali! Io penso,
infatti, che se tu fossi morto, la città di Agrigento ti avrebbe in qualche
modo commemorato. E invece, dal 25 Settembre 2004, ogni mattina Agrigento si
sveglia e dice al mondo: “Niente di nuovo, non è successo nulla di rilevante”. Se
muore un personaggio come Nino Cremona, poeta di razza e di lunghe stagioni,
filologo e scrittore, critico letterario e intellettuale di pregio, Agrigento
sicuramente avrebbe versato lacrime sincere. Un Personaggio come te, caro Nino,
non può morire nel silenzio generale, soprattutto in quello crudele della tua
terra. Perciò dico che se tu fossi veramente morto me l’avresti comunicato.”
Il convegno di studi avente per tema l’opera
di antonino cremona e il novecento siciliano si è svolto il 27 Gennaio
2006 ad Agrigento. Relatori: Sergio Spadaro, Giovanni Occhipinti, Antonio Liotta
e Salvatore Di Marco. E giusto dalla relazione di quest’ultimo, l’anima girgentana nella poesia dialettale
siciliana di antonino cremona, pubblicata
nel 2007 dalla associazione culturale
“nino martoglio” grotte ag, e dal volume lettere per un poeta, carteggio Salvatore Di Marco – Sergio
Spadaro su Antonino Cremona e altre carte, edizioni
accademia di studi “cielo d’alcamo” 2006, traiamo gli spunti a
fondamento di questo elaborato.
Leonardo Sciascia, avendone apprezzato gli esordi “dal 1952 ha cominciato a scrivere
poesie nel dialetto agrigentino in cui la vocazione lirica si accompagna ad una
costante e acuta vigilanza critica”, curò che Antonino Cremona entrasse a far
parte (nel Giugno 1953) della redazione de
il belli. E nel Giugno 1954 su il belli,
il bimestrale di letteratura dialettale fondato e diretto in Roma da Mario
Dell’Arco, apparvero tre liriche di Antonino Cremona, lamentu pi la morti dô me sciatu, li canzuna e lu scantu.
Resta nall’ortu l’ecu dê canzùna
occhi antichi
Resta nall’ortu l’ecu dê canzùna
(comu t’accùpa stu suli, st’arsura
ca conza li canti dê griddi)
li rami di l’àrbuli pénninu nterra.
Cca, fumannu li pinzéra,
sugnu na lampa ca s’astuta.
Cuntu li pidàti ni sta càmmara bianca,
cu i manu nsacchetta.
Ma ti viu lìbbira e nuda.
Muta
tinni isti. E ttu gattìi
a cu ti teni mmrazza e ‘un ti canusci.
Siddu arrìdi. Ca forsi ti spunta
la me facci nguttàta.
Occhi antichi. Resta nell’orto l’eco delle canzoni / (come ti soffoca questo sole, quest’arsura / che orchestra i canti dei grilli) / i rami degli alberi pendono a terra. / Qui, fumando i pensieri, / sono un lume che si spegne. / Conto i passi in questa camera bianca, / con le mani in tasca. / Ma ti vedo libera e nuda. / Muta / te ne sei andata. E tu fai la gattina / a chi ti tiene in braccio e non ti conosce. / Se ridi. Ché forse ti spunta / la mia faccia che trattiene il pianto.
occhi antichi è la prima opera di Antonino Cremona, portata alle
stampe quando ancora non aveva compiuto i venticinque anni di età. È la sola
silloge dialettale che egli abbia prodotto (dopo infatti non volle più scrivere
poesia in dialetto – tranne che per talune traduzioni – sostenendo semplicemente
che non ne avvertiva lo stimolo): una raccolta di diciassette liriche, pubblicate
nel 1957 per le edizioni Sciascia di Caltanissetta, scritte tra il 1953 e il
1954; alcune “vergate su carta igienica perché me n’era finita ogni altra.”
Tutte e diciassette le liriche di occhi antichi sono state poi riproposte ne
L’odore delle poesie (Sciascia,
1980), edizione nella quale è stato aggiunto un diciottesimo testo un mortu, del 1953, inizialmente incluso
nella antologia POETI SICILIANI D’OGGI,
curata nel 1957 da Aldo Grienti e Carmelo Molino, Reina Editore in Catania, e progettata
e realizzata allo scopo di tirare una sorta di bilancio dell’attività intensa
di promozione del rinnovamento della poesia dialettale siciliana del dopoguerra
di cui erano stati protagonisti un gruppo di poeti palermitani e un gruppo di
poeti catanesi.
Le liriche di Antonino Cremona presenti nella antologia POETI SICILIANI D’OGGI sono: occhi antichi, la pena, un mortu e li pinzera. Antonio Corsaro, che ne redige introduzione e note critiche, nei suoi riguardi così si pronuncia: “Antonino Cremona possiede una conoscenza critica dei problemi che oggi si dibattono sulla corrente dialettale moderna e si occupa di questioni filologiche con risultati degni d’attenzione. Questa sua base di cultura non frena però l’irruenza dei sentimenti, anzi gli giova benissimo a controllare gli interessi della sua poesia.” Afferma inoltre: “I dialettali non sono mai stati estranei alle vicende della cultura nazionale” poiché coglieva uno dei motivi centrali del movimento.
E a sostenere quasi questa ultima asserzione, Gian
Luigi Beccaria, in letteratura e dialetto,
editore Zanichelli 1983, ribadisce: “Nel corso dei secoli la letteratura
dialettale non conosce eclissi salvo che nel Rinascimento. L’esperienza storica
più complessa è negata a quella letteratura. Ciononostante non è affatto
letteratura subalterna di interesse locale. Coesiste, con pari diritto, accanto
alla nazionale con la quale forma cordiale e ricca unità, feconda di scambi.”
Il poeta e letterato Vittorio Clemente, nel 1957,
commenta: “La cultura del poeta, lo studio dei testi, il suo gusto lo hanno
portato a scoprire valori e bellezze mai prima sospettati nel dialetto. Poesia
vera siciliana e non in siciliano.”
Felicissime altresì le considerazioni di Giuseppe
Angelo Peritore: “L’uso del
dialetto in questi componimenti è la parlata di ogni giorno, scavata nel vivo
della pietra, nel dolore e nella passione amorosa, nella sofferenza della
storia e delle idee. Una particolare morfologia assiste Cremona nella creazione
dialettale; la pagina gli è nata nel suo dialetto agrigentino non in un
siciliano generico e compromesso.”
Vincenzo Di Maria, nel 1971, segnala alcuni aspetti illuminanti della scrittura dialettale del poeta agrigentino: “La parola subisce certamente la distillazione più oculata e severa, l’empito viene concentrato sino a prosciugarsene d’ogni umore superfluo.” E il volume II di ANTIGRUPPO 73 ideato da Nat Scammacca e Santo Calì e introdotto dallo stesso Di Maria offre due testi di Antonino Cremona: a la sagra di li ménnuli sciuruti e lamentu pi la morti dô me sciatu.
Pietro Amato inoltre, nel Maggio 1977, riconosce, nel dialetto di occhi antichi, il “girgentano nativo” egregiamente “acculturato nello scrupolo filologico e accresciuto nella invenzione linguistica.”
Il MANIFESTO della nuova poesia siciliana, edizione
Arte e Folklore di Sicilia, Catania 1989, a cura di Salvatore Camilleri,
pubblica quattro componimenti di Antonino Cremona, s’annivisci garcìa, godot,
li pinzera, occhi antichi, e una breve
chiosa: “In termini poetici, Antonino Cremona è un anarchico, un irregolare, un
cavallo che non soffre freno. È stato uno dei primi a rompere con la
tradizione.”
Antonino Cremona venne antologizzato nel volume il dialetto di poeti, Edizioni Piovan del
1988, a cura di Giacomo Luzzagni, e in seguito nei due volumi poesia dialettale dal rinascimento ad oggi,
a cura di Giacinto Spagnoletti e Cesare Vivaldi, Garzanti Editore 1991, in cui venne
definito “autentico poeta nel panorama dialettale degli ultimi anni”.
Fu uno dei protagonisti di quel movimento del secondo
Novecento denominato Rinnovamento della
Poesia Dialettale Siciliana, che, sottolinea Salvatore Di Marco, è
storia interessante di idee e di poeti, di mutazioni culturali e inquietudini
sociali, di sperimentazioni e di esiti anche importanti però rimasti
sconosciuti a chi ha ritenuto che il solo pannello solare capace di dare nuova
energia alla letteratura siciliana dialettale fosse quello esclusivo di Ignazio
Buttitta, è ciò semplicemente perché lo si trovava già collocato più in alto
degli altri.
Antonino Cremona privilegiava le coordinate di un
testo poetico, ritenendo che “il testo è il suo stile, mai il suo argomento,
giacché il contenuto viene determinato dalle esigenze della scrittura.” E se
accadde l’inverso, “non si avverte nemmeno l’odore della poesia.” Soleva dire
che come poeta amava “esprimersi più che comunicare”, e ammetteva che la scelta
dialettale era motivata dalla “accortezza di esprimere i propri sentimenti e i
propri concetti nel modo più acconcio alla sensibilità.”
Volle scommettere
adottando il “girgentano” (un “proprio” girgentano) pur sapendo bene che
Alessio Di Giovanni lo aveva stigmatizzato come “la via più spiccia” (“Due vie
s’aprono oggi ai degni cultori del nostro dialetto: o scrivere nel vernacolo
natio o seguire, rendendola più moderna, più colorita e più mossa, quella
nostra vecchia e scaltrita lingua siciliana.
I nostri poeti e drammaturghi contemporanei ha seguito la via più spiccia scrivendo quasi tutti o in palermitano o in catanese o in agrigentino”, Alessio Di Giovanni nel saggio del 1896 Saru Platania e la Poesia dialettale in Sicilia), e questa fu la ragione – insieme al suo fisiologico rifiuto di associarsi a gruppi e scuole letterarie – per la quale egli non volle mai essere incluso organicamente nel Gruppo Alessio Di Giovanni, al quale tuttavia lo legarono sempre sia comuni e condivisi progetti di rinnovamento letterario, sia forti e duraturi sentimenti di fraternità (specie con Pietro Tamburello e Salvatore Di Marco).
La “lezione” tenuta all’Istituto di italianistica
dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, in data 11 Aprile 2003, ci
aiuta a intendere più compiutamente il pensiero di Antonino Cremona: “Ai
sentimenti sostituisco le sensazioni, ai valori preferisco le virtù, la morale
non mi garba perché tendo all’etica. Rinunziando a concetti che hanno del
molliccio, dell’appiccicoso, preferisco la limpidezza luminosa di quanto è
netto. Oggettivizzo quanto più possibile. Ho fatto un lungo, faticoso, dolorante,
percorso dall’io al tu e al noi sino a pervenire magari a una assenza grammaticale del
soggetto.”
Componente fondamentale della sua personalità – annota
Sergio Spadaro nel saggio l’espressionismo
mediterraneo di antonino cremona – era la sua ironia, che egli faceva
discendere direttamene dal suo conterraneo Empedocle, del quale aveva tradotto le purificazioni. Antonino Cremona al
riguardo riferisce: “Studiandolo, mi sono rafforzato del suo pacifismo,
dell’ira laica avversa ai sacrifici, della sua ironia e autoironia, della sua
contrarietà assoluta alla pena di morte. L’ironia non è solo un modo di
resistere ma pure uno strumento di conoscenza. L’autoironia è una possibilità
di autoispezione, per conoscere se stessi e per difendersi da se stessi.”
Occhi antichi è un’opera significativa della poesia dialettale del
secondo Novecento siciliano. I temi protagonisti sono la memoria amorosa, le
tensioni della nostalgia, il segno dei destini ultimi dell’uomo contemporaneo e
delle sue sofferte futilità, la presenza di figure di uomini e di donne il cui
richiamo insiste sulla amarezza della loro condizione sociale.
Se ne riportano,
in calce, alcuni componimenti nella traduzione dell’Autore, tra i quali a la sagra di li ménnuli sciuruti che fu
il primo (“su commissione di Mario Dell’Arco”, precisa il poeta) e l’omonimo occhi antichi.
La memoria di Nino Cremona, poeta dialettale, autore
teatrale, saggista e critico letterario, redattore di riviste italiane ed
estere, merita di essere onorata, come convenientemente hanno fatto Salvatore
Di Marco e Sergio Spadaro nei saggi l’anima
girgentana nella poesia dialettale siciliana di antonino cremona e lettere per un poeta sopra menzionati. E
ciò nel tentativo di smentire lo stesso Antonino Cremona che, a proposito del
poeta niscemese Mario Gori in una lettera del 21 Aprile 1997, aveva amaramente rilevato
che “la Sicilia è un cimitero di dimenticati”.
un mortu
Ora ch’è
mortu si mancia la terra.
La malasorti
lu fici piniari
senza lu
vinu
e un pugnu
di furmentu
e na mnuzza ca
coci a minestra.
Morti di
longu cu li fasci nivuri
ci fici li
banneri nâ la porta.
Finì lu
diavuluni e la Madonna,
ca
s’arriposa
ad occhi
chiusi.
Li figli ca
nunn’appi nun li cerca
vermi vermi,
ca prima li tantiàva
nê mura dô pagliaru;
e nun la canta
la zappa ntra li timpi î malandata.
Li caddi di li manu arripudduti,
e li nasu affilatu. Bona paci.
Un morto. Ora ch’è morto si mangia la terra. / La malasorte
lo fece penare / senza il vino / e un pugno di frumento / e una mano che cuoce
la minestra. / Morte a lungo con le fasce nere / gli fece le bandiere nella
porta. / Finì il Diavolone e la Madonna, / ché riposa / ad occhi chiusi. / I
figli che non ebbe non li cerca / fra i vermi, ché prima li annaspava / ai muri
del pagliaio; e non la canta / la zappa fra le zolle della malannata. / I calli
delle mani / e il naso afflato. Buona pace.
godot
En attendant Godot sta morti
ca ‘un meni
ti dassi vampi di focu,
friddulina;
ti calliassi nê manu
l’occhi di
vitru. T’arriparassi
nô
fazzulettu di sita.
O morti
e bita. Sti
manu friddi
longhi, sti
taliatùri d’ogliu
ca mi
sciddricanu ncoddru
mentri
avvampi, stu coddru tisu
cu la testa
ô ventu. Tutta
t’arriparassi
nê me iunti.
Ti quadiassi
cû sciatu.
Tu ’un ci
senti.
Godot. En attendant Godot questa morte / che non viene ti darei vampe di fuoco, / freddolosa; ti scalderei nelle mie mani / gli occhi di vetro. Ti riparerei / nel fazzoletto di seta. O morte / e vita. Queste mani fredde / lunghe, questi sguardi d’olio / che mi scivolano addosso / mentre avvampi, questo collo dritto / con la testa al vento. Tutta / ti riparerei nelle mie mani giunte. / Ti scalderei col fiato. / Tu non ci senti.
Marco Scalabrino
Ringrazio sentitamente Piero Carbone per la pubblicazione della mia nota su Antonino Cremona. A Piero e a tutti un cordiale saluto e gli auguri di un sereno anno 2013, Marco Scalabrino.
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