Blog di Piero Carbone (da Racalmuto, vive a Palermo). Parole e immagini in "fricassea". Con qualche link. Sicilincónie. Sicilinconìe. Passeggiate tra le stelle. Letture tematiche, tramite i tags. Materiali propri, ©piero carbone, o di amici ospiti indicati di volta in volta. Non è una testata giornalistica. Regola: se si riportano materiali del blog, citare sempre la fonte con relativo link. Contatti: a.pensamenti@virgilio.it Commenti (non anonimi). Grazie
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martedì 19 maggio 2020
domenica 10 agosto 2014
"L'ULTIMO UGLIARU" DI EDUARDO CHIARELLI
L’Ugliaru, di cui parla Eduardo Chiarelli, è il commerciante di olio di oliva. Una volta era ambulante. I contenitori pieni d’olio per la rivendita li trasportava manualmente, col carretto, con i primi mezzi motorizzati.
Nel “ricordo” di
Eduardo è sotteso un tono da epopea quotidiana, il tono dei ricordi e del
ricordare appunto. Sembra invenzione, sembra fantasia, ma non lo è, anzi, ci
lascia intavvedere squarci di una società lontana, diversa, che, invece, è, è
stata, semplicemente la nostra.
P.
C.
L’ultimo
Ugliaru
di
Eduardo
Chiarelli
(da Setùbal, Portogallo)
(da Setùbal, Portogallo)
A che serve il passar dei giorni, se non si ricordano
.
Cesare Pavese
Aveva atteso tanto quel giorno che preso dall´eccitazione non aveva smesso per un solo istante di parlare .
Raccontava di quando, con il carretto, non era possibile andare da Racalmuto a Ribera e ritornare in giornata, si doveva per forza pernottare per strada, o in qualche fondaco .
Dopo la guerra le cose cambiarono diceva, e quando raccontò al padre che con il suo furgoncino era andato e ritornato da Licata nello stesso giorno, quello non ci volle credere.
Rideva nel dire ciò, e nel rimembrare, sembrava che la sua voce resa stridente dagli anni e dalle Nazionali, fosse diventata più limpida e persino la sua pelle a squame quadrate, símile alla corteccia di un vecchio albero, quel giorno, sembrava pià distesa.
Pino, un giovanottone dalla bella barba scura, quelle storie le aveva già sentite tantissime volte, ma ascoltava in rispettoso silenzio, e si limitava a guidare e ad annuire col capo.
Sapeva che lo zio Carmelo era l´ultimo di una lunga dinastia di commercianti d´olio d´oliva, per centinaia di anni la sua famiglia aveva viaggiato per tutta la Sicilia, comprandolo e vendendolo. Ne era testimone il Cero, chiamato appunto “ di l´Ugliara “ che tutti gli anni sfilava in occasione della festa della Madonna del Monte .
E dopo aver passato per località dai nomi musicali , come Delia , e altre che evocavano sogni antichi , come Eraclea , passammo anche la spagnoleggiante Ribera, per puntare verso la Rocca di Caltabellotta, che con la sua mole si stagliava davanti a noi .
Ci fermammo un po’ prima, a Sant´Anna, un minuscolo paesino composto da poche case, due vie , e una piazza, e tutto così immobile e silenzioso che non ci fu bisogno del megafono per annunciare il nostro arrivo. Infatti non eravamo ancora scesi dal camioncino che cominciammo a sentire “Lu Racarmutisi arrivà ! “ e, mentre la notizia si propagava velocemente di bocca in bocca , nel contempo udivamo un gran rimescolio di pentole e tegami, e poco dopo da quelle piccole case che odoravano di letame e di carrubbe, cominciarono a uscire donne, per lo piú anziane, con in mano pentole, tegami, secchi , e le piú attrezzate con cafisi: da come reggevano i recipienti, si capiva che per quella gente l´olio d´oliva conservava ancora tutta la sacralitá che gli antichi gli attibuivano .
Quel liquido dorato era stato sin da tempi immemorabili la loro unica moneta di scambio, il loro tesoro, e con il Racalmutese lo avevano barattato, per formaggio, patate, sale , e una volta addirittura per scarponi militari.
Anche se quei tempi ormai erano lontani , quel giorno, eccezionalmente la tradizione si sarebbe ripetuta.
Lo zio Carmelo frattanto, seduto su una cassa di legno, si era già calato nella parte, e con una faccia molto seria faceva segno che si poteva cominciare.
Una alla volta le donne venendo avanti, gli porgevano il recipiente con l´olio affinché lui ne potesse costatare sia la qualità che la purezza, perché qualcuno avrebbe potuto “allungarlo” con altro olio non di oliva.
Questa operazione consisteva nel bere un sorso del liquido, e con comicissime boccacce, farlo passare rumorosamente da una guancia all’altra, in seguito, lo sputava, e dopo essersi pulito la bocca con il dorso della mano, deliberava quanto valeva per lui al chilo, dopo di che, il recipiente passava a Pino, che dopo averlo pesato con la stadera, calcolava rapidamente il contante a cui la donna aveva diritto, e così , in men che non si dica, come in un operazione alchemica, l'olio si transmutava in sapone da bucato, caffé o lucido per scarpe.
Allora non lo sapevo, ma dietro quell´operazione che io trovavo buffa, il vecchio commerciante, non si era servito appena dei cinque sensi, ma aveva fatto ricorso a tutta l´esperienza aquisita durante un intera vita.
E vedere tanta gente pendere dalle sue labbra gli devolveva quell´orgoglio e quella dignità che la società, ingiustamente, toglie alle persone anziane.
Per questo aveva aspettato per un anno intero quel giorno, per risentirsi seppur per alcune ore, di nuovo giovane, vivo e importante.
Andammo avanti così per tutto il giorno, barattando detersivi per olio, cosicché alla fine di quella lunga e calda giornata d’estate, sul camioncino, al posto dei prodotti di utilità domestica, torreggiavano due grandi recipienti colmi d’olio d’oliva.
Così stanchi, ma soddisfatti, partimmo, lasciandoci indietro il minuscolo paesino.
Avevo dieci anni, e guardando dal finestrino le zolle color terracotta delle campagne di Sant’Anna, pensavo: Sarà piú bruciata questa terra, o quella color cenere della mia Racalmuto?
Ma questi pensieri li tenevo per me, ai grandi certe cose è meglio non dirle.
Foto proprie
giovedì 10 gennaio 2013
CALZOLAI, BARBIERI, MALASANITÀ
Quando si viene a sapere di casi di malasanità, noi siciliani sintetizziamo che quel tale o tal altro medico, autore del misfatto, è uno scarparu, un calzolaio, che scambia pance e bisturi per suole e trincetto, quest'ultimo definito dalla solenne enciclopedia treccani.it "arnese costituito di una lama d'acciaio affilata da una sola parte, e molto tagliente, più o meno ricurva, che serve al calzolaio per tagliare il cuoio".
Gli strummènti o salassi per sagnàri ossia cavare il sangue venivano praticati con l'ausilio dell'olio. Si accendeva sul bordo del
bicchiere un batuffolo di cotone intriso
d'olio, si appoggiava il bicchiere caldo dalla parte del bordo sulla pelle: il batuffolo si
spegneva e la pelle si sollevava.
Il barbiere improvvisato chirurgo, da storico discendente dei cerusici latini, faceva sulla pelle sollevata un'incisione a forma di croce da cui fuoriusciva il sangue "nero".
L'alternativa al salasso era la sanguisuga o sanguetta: attaccata alla parte malata, ne succiava il sangue. Chi per le strade vendeva o affittava le sanguisughe "ammaestrate" gridava:
S'unn'è luca è sagnisuca.
Se non è luca è sanguisuga. A due un soldo.
Le sanguisughe venivano usate come coadiuvante terapeutico nelle insufficienze cardiovascolari. Si applicava all'altezza del fegato.
Questi erano i rimedi a cui ricorreva la medicina popolare, oggi barbieri e sanguisughe sono esonerati dalla medicale mansione ma non certo disoccupati, i primi, richiesti di qua e di là come Figaro nel Barbiere di Siviglia, sono dediti ad estetiche performances, le seconde continuano nell'antico compito flebotomico in metafora, non palesemente.
Il termine luca, a cui venivano associate le sanguisughe, non voleva indicare un nome proprio ma rimandare a un modo di dire: fari luca significava "fare a ruffa e raffa" ovvero arraffare, prendere concitatamente, affrettatamente, più che si può.
In una famosa poesia, il settecentesco Giovanni Meli dice che un gatto fici luca nel divorare un sorcio.
Insomma, il banditore che noleggiava le sanguisughe gridando s'unn'è luca è sagnisuca voleva dire che se i poveri vermi non asportavano di colpo il sangue, assolvevano con eguale efficacia il loro compito anche se lentamente.
In fondo, sanguisughe erano.
Questi erano i rimedi a cui ricorreva la medicina popolare, oggi barbieri e sanguisughe sono esonerati dalla medicale mansione ma non certo disoccupati, i primi, richiesti di qua e di là come Figaro nel Barbiere di Siviglia, sono dediti ad estetiche performances, le seconde continuano nell'antico compito flebotomico in metafora, non palesemente.
Il termine luca, a cui venivano associate le sanguisughe, non voleva indicare un nome proprio ma rimandare a un modo di dire: fari luca significava "fare a ruffa e raffa" ovvero arraffare, prendere concitatamente, affrettatamente, più che si può.
In una famosa poesia, il settecentesco Giovanni Meli dice che un gatto fici luca nel divorare un sorcio.
Insomma, il banditore che noleggiava le sanguisughe gridando s'unn'è luca è sagnisuca voleva dire che se i poveri vermi non asportavano di colpo il sangue, assolvevano con eguale efficacia il loro compito anche se lentamente.
In fondo, sanguisughe erano.
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