Non ci si svincola con la volontà dai sogni.
François-René de CHATEAUBRIAND, Vita di Rancé, trad. di Giuseppe Aventi, Bompiani, Milano 1982
Titolo originale: Vie de Rancé
"Certo, quel pensiero di Chateaubriand è denso e bellissimo.
La frase completa nel contesto della Vita di Rancé suona più o meno così (la traduzione di Aventi è fedele):«L’uomo non si libera con un atto di volontà dai sogni che lo dominano.»
Chateaubriand la scrive pensando alla vita del monaco trappista Armand-Jean de Rancé, che dopo una giovinezza mondana, dissoluta e brillante, si converte radicalmente in seguito alla morte tragica della donna che amava (la duchessa di Montbazon).
Tutti si aspettano che quella conversione sia un capriccio passeggero, un accesso di disperazione; invece Rancé passa il resto della vita in un’austerità feroce, fondando la Trappe riformata.
Eppure – ed è qui il punto straziante – anche dopo decenni di silenzio, di cilici e di digiuni, Rancé porta dentro di sé l’impronta indelebile di quel mondo che ha rinnegato.
I sogni (intesi non solo come sogni notturni, ma come desideri profondi, immagini, fantasmi del passato) continuano a visitarlo.
La volontà può cambiare la condotta esteriore, può imporre disciplina al corpo e alla giornata, ma non riesce a sradicare ciò che è impresso nell’anima.
Chateaubriand, che scrive la Vita di Rancé nel 1844, quando è vecchio, malato, quasi cieco e profondamente disilluso, proietta su quel monaco qualcosa di sé.
Anche lui, cattolico realista, ha passato la vita a inseguire sogni (la gloria letteraria, l’amore impossibile per Madame Récamier, la restaurazione della monarchia legittima…) e sa benissimo che non ci si “svincola” davvero.
Puoi chiudere la porta, puoi murarti in un monastero o in un’ideologia, ma i sogni ti seguono come ombre.
È una frase disperata e insieme lucidissima: riconosce il limite della volontà umana di fronte alla profondità del desiderio e della memoria. Non è un inno al fatalismo, ma una constatazione amara: l’uomo è più grande (e più prigioniero) di quanto creda la sua stessa libertà.
In fondo è lo stesso Chateaubriand che altrove scrive:
«L’uomo non ha un solo e medesimo cuore per tutta la vita: lo cambia più volte come cambia la pelle il serpente.»
Ma anche cambiando cuore, i vecchi sogni continuano a sanguinare sotto la nuova pelle.
Una delle frasi più profonde – e più malinconiche – dell’intera letteratura francese dell’Ottocento." AI Grok
Penso a quella scena del film di Buñuel dove un monaco tutto dedito all'ascesi, apparentemente imperturbabile, riceve nel convento la visita di un'antica passione femminile e alla fine si avvia verso la propria cella barcollando.
