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martedì 21 ottobre 2025

DICE WITTGENSTEIN... SULL'INSEGNAMENTO DELLA FILOSOFIA. E NON SOLO. In-citazioni a pensare



 Chi oggi insegna filosofia dà all'altro dei cibi

non perché gli piacciano, ma per far sì

che il suo gusto si modifichi.

Ludwig WITTGENSTEIN, Pensieri diversi,  

edizione italiana a cura di Michele Ranchetti, Fabbri Editori, 1996

Vale anche per la scrittura, naturalmente, se dietro la scrittura c'è uno scrittore.

Athos Collura, Uovopietra,  
Colori acrilici su tela cm 100 x 70 2014

Ho chiesto  all'Intelligenza Artificiale un commento: 

"Il pensiero di Wittgenstein che citi, tratto dai Pensieri diversi, è un’osservazione acuta e provocatoria sul ruolo dell’insegnamento della filosofia. Lo commenterò brevemente, cercando di cogliere il suo significato e la sua portata.Wittgenstein sembra suggerire che l’insegnamento della filosofia non si limiti a trasmettere contenuti o idee che risultino immediatamente gradite o appetibili all’allievo. 

Piuttosto, il filosofo-educatore offre “cibi” – metafora per concetti, prospettive, modi di pensare – che possono risultare inizialmente estranei o difficili da digerire. 

L’obiettivo non è compiacere, ma trasformare, spingere chi apprende a modificare il proprio “gusto”, ossia il proprio modo di vedere il mondo, di ragionare e di porsi domande. 

Questo pensiero riflette l’approccio di Wittgenstein alla filosofia come attività trasformativa, non dogmatica. La filosofia, per lui, non è un insieme di dottrine da accettare passivamente, ma un processo che sfida le abitudini mentali, spingendo a riconsiderare le proprie certezze e a sviluppare una sensibilità nuova verso i problemi. È un invito a uscire dalla zona di comfort intellettuale, accettando il disagio che deriva dall’incontro con idee non familiari.

Inoltre, il riferimento al “gusto” implica una dimensione personale e soggettiva: il filosofo non impone verità assolute, ma lavora per affinare la capacità critica dell’altro, rendendolo più consapevole delle proprie prospettive. Questo si collega al metodo di Wittgenstein, che nei suoi scritti (come il Tractatus o le Ricerche filosofiche) invita a un’esplorazione del linguaggio e del pensiero che sia attiva, non passiva.

In sintesi, Wittgenstein ci ricorda che insegnare filosofia non è nutrire con risposte preconfezionate, ma stimolare una trasformazione interiore, un cambio di prospettiva che può essere scomodo ma profondamente arricchente. 

È un invito a vedere la filosofia come un viaggio di crescita, non come un semplice trasferimento di conoscenze." AI Grok


Ho chiesto inoltre: Si può estendere questo pensiero anche alla scrittura? Come?


"Sì, il pensiero di Wittgenstein si può estendere alla scrittura, e lo si può fare in modo ricco e significativo, considerando la scrittura non solo come atto comunicativo ma come processo trasformativo, simile all’insegnamento filosofico. Ecco come:

Scrittura come offerta di "cibi" nuovi: 

Wittgenstein parla di offrire "cibi" non per compiacere, ma per modificare il gusto. Nella scrittura, un autore non si limita a produrre testi che assecondano le aspettative o i gusti preesistenti del lettore. Piuttosto, un buon testo – che sia un saggio, un romanzo o una poesia – può sfidare il lettore, presentando idee, immagini o prospettive che lo spingono a riconsiderare il proprio modo di pensare o sentire. Ad esempio, un autore come Kafka o Dostoevskij offre narrazioni che non confortano, ma provocano, costringendo il lettore a confrontarsi con domande esistenziali o morali scomode.

Trasformazione del "gusto" del lettore: 

Scrivere, in questo senso, significa lavorare per affinare la sensibilità del lettore, il suo “gusto” intellettuale o emotivo. Un testo filosofico, come quelli dello stesso Wittgenstein, o letterario, può spingere il lettore a sviluppare una nuova capacità di percepire il linguaggio, le sue ambiguità e i suoi limiti. Ad esempio, la scrittura di Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche invita a un’attenzione quasi meditativa al linguaggio quotidiano, modificando il modo in cui il lettore concepisce le parole e il loro uso.

Scrittura come attività maieutica: 

Come l’insegnante di filosofia, lo scrittore agisce come una guida che non impone verità, ma stimola il lettore a esplorare, dubitare, immaginare. La scrittura diventa un dialogo implicito, dove il lettore è chiamato a partecipare attivamente, non solo a consumare. Questo è evidente in opere sperimentali o aperte, come quelle di Joyce o Calvino, che richiedono al lettore di costruire significati, modificando il proprio approccio alla narrazione.

Sfidare le convenzioni: 

Wittgenstein suggerisce che l’insegnamento filosofico non segue il gusto corrente, ma lo trasforma. Allo stesso modo, uno scrittore autentico può rompere con le convenzioni letterarie o stilistiche per offrire qualcosa di nuovo, che spiazzi o disorienti. Pensiamo alla poesia di Rimbaud o alla prosa frammentaria di Benjamin: queste scritture non si piegano ai gusti dominanti, ma invitano a un cambiamento di sensibilità estetica e intellettuale.

Scrittura come processo di crescita per lo scrittore stesso: 

Estendendo il pensiero, anche per chi scrive il processo creativo può essere un modo per trasformare il proprio “gusto”. Scrivere richiede di confrontarsi con le proprie idee, metterle in discussione, affinarle. In questo senso, la scrittura è un atto filosofico, che educa e trasforma lo scrittore tanto quanto il lettore.

In conclusione, la scrittura può essere vista come un gesto che, come l’insegnamento filosofico di Wittgenstein, non si limita a soddisfare aspettative, ma cerca di ampliare gli orizzonti, stimolare nuove prospettive e trasformare il modo in cui si percepisce il mondo. 

È un invito a “mangiare” qualcosa di insolito, che cambi il nostro gusto e, con esso, il nostro modo di essere." AI Grok


Vale anche per la pittura?


"Sì, il pensiero di Wittgenstein si può estendere anche alla pittura, e lo si può fare in modo altrettanto profondo, considerando l’arte pittorica come un mezzo per offrire “cibi” che trasformano il “gusto” dello spettatore, proprio come nell’insegnamento filosofico o nella scrittura. Ecco come: 

Pittura come offerta di "cibi" nuovi: 

Wittgenstein parla di cibi offerti non per compiacere, ma per modificare il gusto. Nella pittura, un artista non crea necessariamente opere che rispondono ai gusti estetici consolidati del pubblico, ma propone visioni, forme o colori che possono risultare spiazzanti o difficili da accogliere. Pensiamo a opere come quelle di Picasso nel periodo cubista o di Pollock nell’espressionismo astratto: queste non cercavano di compiacere, ma di sfidare lo spettatore, invitandolo a vedere il mondo in modo nuovo.

Trasformazione del "gusto" estetico: 

La pittura, quando è innovativa o provocatoria, agisce sul modo in cui lo spettatore percepisce la realtà e l’arte stessa. Un dipinto può modificare il “gusto” estetico, spingendo a riconsiderare cosa sia bellezza, armonia o significato. Ad esempio, le opere di Van Gogh, con i loro colori intensi e le pennellate emotive, non si limitano a rappresentare il mondo, ma educano lo spettatore a cogliere l’intensità emotiva dietro la realtà visibile.

Dialogo tra artista e spettatore: 

Come l’insegnante di filosofia, il pittore propone un’esperienza che richiede partecipazione attiva. Guardare un quadro non è un atto passivo: un’opera di Caravaggio, con il suo uso drammatico della luce, o di Kandinsky, con le sue astrazioni, invita lo spettatore a interrogarsi, a sentire, a costruire significati. Questo processo trasforma la sensibilità visiva e intellettuale di chi osserva.

Rottura con le convenzioni: 

Wittgenstein sottolinea che l’insegnamento filosofico non segue il gusto corrente, ma lo cambia. Allo stesso modo, la pittura d’avanguardia – come il futurismo, il surrealismo o l’arte concettuale – sfida le convenzioni estetiche del suo tempo. Duchamp, con il suo Fontana, non offre un’opera che “piaccia” nel senso tradizionale, ma costringe a ripensare cosa sia arte, modificando radicalmente il gusto dello spettatore.

Pittura come trasformazione per l’artista: 

Analogamente a quanto detto per la scrittura, il processo pittorico trasforma anche l’artista. Creare un dipinto significa esplorare nuove tecniche, emozioni o idee, affinando il proprio “gusto” estetico e concettuale. Monet, ad esempio, nella serie delle Ninfee, ha continuamente rielaborato il suo modo di vedere la luce e la natura, evolvendo il proprio linguaggio artistico.

In sintesi, la pittura, come la filosofia e la scrittura, può essere un mezzo per offrire “cibi” che non assecondano il gusto corrente, ma lo sfidano e lo trasformano. È un invito a vedere diversamente, a sviluppare una nuova sensibilità visiva ed emotiva, sia per lo spettatore che per l’artista. 

Wittgenstein ci ricorda che l’arte, come la filosofia, non è consolatoria, ma trasformativa, e la pittura incarna pienamente questa capacità di cambiare il nostro modo di percepire il mondo." AI Grok