Visualizzazione post con etichetta Delia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Delia. Mostra tutti i post

giovedì 19 marzo 2020

PER UN COLPO DI FUCILE. Edicola o "figureddra" a Delia con voto di lumino perpetuo


L'edicola o "figureddra" o "cappelluccia" dedicata alla Madonna delle Grazie, che si trova in Corso Umberto a Delia,  è stata voluta dal padre del grande critico letterario Luigi Russo per grazia ricevuta, più precisamente, per colpo di fucile schivato.

Ce lo ricorda il grande studioso Cataldo Naro riportando un colorito testo dello stesso Luigi Russo che era originario di Delia.

Chissà se ancora oggi, in tempi di di dilagante e terribile coronavirus, viene perpetuato il voto di accendere ogni sera il lumino alla Madonna delle Grazie?

Ringrazio Paolo Busub per l'immagine dell'edicola fattami pervenire.

Edicola  o "figureddra"
della Madonna delle Grazie





in



mercoledì 28 agosto 2019

DELIA E SANTA ROSALIA. Presentazione del libro di Paolo Busub



Paolo Busub, autore del libro, scrive:


Carissimi, con immenso piacere vi annuncio la pubblicazione del mio libro "Delia e santa Rosalia - Tra devozione, culto e marchesato Lucchese". 


L'importanza del libro sta nell'essere riusciti, finalmente, a raccontare le origini del culto e della devozione della Santa a Delia. Per voi che non potrete certamente venire a Delia è prevista la diretta su Facebook. Per chi volesse acquistare il libro, lo trovate su Amazon nella versione ebook e cartacea al seguente indirizzo: https://www.amazon.it/s…



Gran parte dei contenuti del libro è costituita da  documentazione inedita e contribuirà, nel tempo, a far sì che Delia si riappropri delle origini storiche,  devozionali e cultuali della santa patrona. Il libro, più in generale, potrebbe portare ad un arricchimento per Palermo e i paesi che hanno eletto Santa Rosalia loro Patrona.

domenica 19 febbraio 2017

COLLEGAMENTO A "SGARBI PROPONE: LUIGI RUSSO E STEFANO VILARDO NELLA - STRADA DEGLI SCRITTORI -". Considerazioni critiche in un'antica Tesi di Laurea

 archivio e pensamenti SGARBI PROPONE: LUIGI RUSSO E STEFANO VILARDO NELLA - STRADA DEGLI SCRITTORI





Introduzione della mia tesi di laurea a.a. 1984/1985


Parafrasando un giudizio del Guellemin su Voltaire, si potrebbe provocatoriamente dire del Russo: “La pensée esthétique de Luigi Russo, ça n’existe pas” (1), gli si potrebbe riconoscere, tutt’al più, la formulazione e l’esercizio sicuro di una metodologia critica (non del tutto originalmente elaborata) (2).

            L’accostamento a Voltaire non avviene per banale analogia col filosofo francese essendo stato, il Russo, un “Voltaire siciliano” (3), l’analogia, semmai, vuole richiamare la funzione svolta da Russo in Italia nei confronti dello storicismo, analoga a quella svolta da Voltaire, in campo europeo, con le nuove idee filosofiche maturate in Inghilterra.

            Impegnato sul doppio fronte letterario e civile, il critico di Delia, vero polemista di eccezione, suscitò attorno a sé entusiastici ammiratori (4) e avversari irriducibili (5), fu la sua amicizia sincera e il suo giudizio implacabile, anche con gli amici (6).

Non ebbe mai la pretesa di essere un innovatore a tutti i costi, volle realizzare, piuttosto, l’ideale dell’uomo letterato che sa armonizzare le esigenze di un rigore ascetico, tipico dello studioso, con l’impegno etico-politico, secondo il più schietto insegnamento gentiliano e desanctisiano (7), dando esempio in sé del tramonto del letterato “sequestrato” dalla vita (8).

         Accettò il ruolo del critico e commentatore di testi non come un ruolo subordinato e secondario, ma con piena coscienza della dignità “autonoma” della critica (9).

       L’arrovello degli idoli polemici, da una parte, e l’appassionamento per i “suoi”  autori e per le sue idee, dall’altra, gli facilitarono l’individuazione di un mondo d’interessi ben caratterizzato e la creazione di uno stile originale (10).

    Nonostante il tono vivace della polemica, la “reattività morale” (11) lo preservò sempre dalla retorica e diede forza di convinzione alle sue metafore.

     Animatore del dibattito letterario e politico, è stato uno dei punti di riferimento della vita culturale italiana per oltre un cinquantennio; si sentì investito di una missione di rigenerazione morale e si fece assertore dei valori della ragione e della storia in un momento in cui si era volontaristi in politica, frammentisti nella critica, estetizzanti in arte; in un secondo momento, si fece teorico e sostenitore di un cristianesimo laico quando gli parve che gli animi e le menti, invece di esercitarsi liberamente, si piegassero, sotto l’autorità ecclesiastica, al moralismo gesuitico, perché sempre paventò il ritorno di un nuovo oscurantismo controriformistico (12).

            Non privo di contraddizioni e di incertezze nella definizione delle proprie scelte filosofiche e politiche (13), rappresenta una figura di intellettuale da studiare e da capire ulteriormente se si vuole approfondire la conoscenza del panorama culturale della prima metà del Novecento (14).

            Lo scopo del presente lavoro, pertanto, mira a meglio delineare lo specifico del pensiero russiano nel dialogo con i maestri e gli avversari, e a determinare in che misura si tradusse in metodologia critica (15).



            Nella disponibilità a ridefinire le proprie idee va individuata una traccia del sistema critico-filosofico russiano: “E se qualcuno ci domandasse: ma quale il vostro punto di vista nuovo? quale la vostra critica? noi risponderemmo che il nuovo per il nuovo non è stata mai una ricerca scientifica o artistica valida e fruttuosa, e che, nel campo della critica, il nuovo è nel continuo porre nuovi problemi su nuove esperienze, e concretamente risolverli” (16).

            Ma sarebbe riduttivo vedere nel Russo l’occasionale riecheggiatore di temi e motivi trafugati or da questo or da quel pensatore, piuttosto, vorremmo dire il sistema di idee russiano un sistema aperto o composito proteso, senza averne la boria, a risolvere elementi filosofico-estetici desanctisiani, vichiani, crociani e gentiliani. 

Da qui l’importanza che riveste la sua opera (17). 

Non è possibile, infatti, avere scienza ed esercitare scienza, qual è la critica, con un apparato frammentario di idee non bene organato e senza un nucleo teorico che spieghi coerentemente quelle idee e se stesso.

            Certo, sarebbe più corretto parlare di metodo e non di sistema a proposito del Russo e della critica, ma, d’altra parte, sarebbe riduttivo affrontare uno studio su di lui sottolineando preventivamente le sue scarse attitudini speculative (18). L’indicazione, invece, del “sistema virtuale” nel Nostro, più che una suggestione, vorrebbe essere un concreto orientamento di ricerca.

            Quanto egli sia stato uno spirito sistematico si cercherà di precisare, sicuramente non è stato un frammentista alla De Robertis. L’itinerario mentale e umano dell’“irrequieto” Russo risulta, alla fine, una lunga fedeltà a se stesso pur nel difficile compito di revisione delle sue scelte culturali e politiche.

            Le valutazioni dell’opera complessiva e della personalità russiane sono state finora oggetto di disparati e opposti giudizi, oscillano da un Russo psittacus crocianus (così veniva definito in periodo fascista e da fascisti) a un Russo “reincarnazione gentiliana” (accusa rivoltagli dai crociani ortodossi), a un Russo “scrittore brillante e originale” ma poco originale come critico, a un Russo “maestro di vita e di metodologia critico-letteraria”, a un Russo “fossile della critica” (quest’ultimo, il più sommario e sbrigativo tra i giudizi finora registrati).

            Sul piano più prettamente politico è stato definito un “liberale di sinistra”, un “compagno di strada”, uno “storicista militante”, un “animatore della cultura d’opposizione”, il “campione della borghesia più intelligente e progressiva”, etc..

            Ripercorrere il cammino storico-formativo del Russo, ed analizzarne i risultati più maturi e le concrete scelte politiche, porterà naturalmente ad acconsentire con l’una o l’altra delle valutazioni che finora sono state approntate dai vari studiosi sull’opera e sulla personalità del critico siciliano.




            Piuttosto che tentare di dare una nuova formula definitoria, si preferisce studiare le ragioni che hanno portato alle definizioni già esistenti. 

Il giudizio finale, con cui al termine dell’indagine si converrà, non sarà più, forse, e come dice il Croce, “l’antico e il comune”.

sabato 3 agosto 2013

SICULITÀ DI RUSSO, SICULITÀ PER RUSSO





Nel volume Delia per Luigi Russo, a cura di Antonio Vitellaro, che raccoglie "tutte le iniziative organizzate dal Comune di Delia dal 1961 al 2011 per ricordare l'illustre concittadino", voluto e pubblicato dall'amministrazione di Delia presieduta dal sindaco Calogero Messana, si fa ricorso, nei discorsi introduttivi, alla categoria della "sicilitudine", riferendola al modo di essere intellettuale e siciliano di Luigi Russo: alla sua rielaborazione sentimentale e culturale attraverso la scrittura.



Non che la citazione non fosse opportuna, ma perlomeno accanto alla suddetta sicilitudine, elaborata dallo scrittore d'avanguardia palermitano Crescenzio Cane, assimilata da Sciascia e da lui pubblicata nel 1970 ne La corda pazza per Einaudi, resa popolare e quasi luogo comune dagli articoli dei giornalisti più che dalle interpretazioni dei critici, termine di cui Salvatore Di Marco non vuol sentir parlare per il troppo parlarne, banalmente e a sproposito, quasi trito luogo comune. Ha scritto Di Marco, quasi per inciso: "E non parlatemi di sicilitudine che è una brodaglia dove tutti hanno inzuppato il loro boccone di pane".  


Accanto al suddetto termine, dunque, si ponga anche l'altro, la "siculità": una categoria russiana da applicare allo stesso  Russo per provare a comprenderlo forse più fedelmente.


                                                                                                                           

LA “SICULITÀ” DI LUIGI RUSSO

Quando Luigi Russo identificò ed indicò una caratteristica culturale, una tendenza ideologica o un atteggiamento mentale con una città o una regione, adottò quella città e quella regione in senso metaforico; potrà quindi dire di ritrovare Firenze “dispersa in tutta l’Italia, e (che lo) insegue come un’ombra: miscuglio di scetticismo e di eleganza, di ateismo e di sottigliezza critica, di conformismo e di trivellante raffinatezza” (1).

Intese Napoli e Firenze come “metafore storiche”, la loro opposizione adombrerà il “conflitto necessario” tra la “grande ragione” e la “piccola ragione”, tra una cultura “di tipo vichiano, viva, piena di fede, animosa, antropocentrica” e una cultura “di tipo galileiano, col senso dei particolari sottilissimo, ma ormai un po’ stanca, senile, acentrica, con una sfiducia un po’ atea negli studi e nella letteratura” (2), la prima di indirizzo storiografico-dialettico, l’altra di indirizzo filologico-grammaticale; Napoli, laica e collegata alla cultura nazionale ed europea; Firenze, “paolotta”, provinciale e chiusa.


E parlando del Gentile, contaminatosi ideologicamente a Roma, “città dell’Apocalissi”, il Russo dirà Pisa, Napoli, Roma essere “semplici metafore biografiche, perché ciascuno ha la sua Roma dell’Apocalissi dentro, prima ancora di viverci e di mescolarvisi” (3).

Parimenti, per il Boccaccio, Pisa, Napoli e Firenze saranno le tre “città-mito” presenti nella sua vita e nella sua opera: la prima per i “rapporti misteriosi del sangue”, la seconda per la “fascinosa esperienza di sollazzi amorosi”, la terza per la lingua e la tradizione letteraria.


Per lo stesso Russo, la lontana Sicilia, in cui nacque e dove aveva legami carnali, fu la sua patria ideale che arrivava fino a Napoli e formava polo di cultura storicista in contrapposizione alla patria “piagnonesca” e “leopoldina” Firenze-Pisa, dov’egli molto dimorò.

Nella misura in cui la “sicilianità” non la si faceva valere in senso metaforico (come a lui avveniva per le città di cui s’è detto) ma come il prodotto di un condizionamento storico-geografico alla Madame de Staël, il Russo non volle intraprendere simili ricerche riguardanti gli autori siciliani.


Il Russo non credette mai al “mito della sicilianità” come non credette all’altro mito della “toscanità”, perché entrambe “forme di mitologia etnica assai arretrate” (4). Quando volle caratterizzare in senso siciliano un autore, un’opera, uno stile, si avvalse del neologismo “siculità”. Egli parla di “provincialismo illustre, o siculità illustre, così come per qualche scrittore latino si parla di patavinità o di ibericità” (5).

La “sicilianità” aveva la pretesa di dare la caratteristica etnica del tipo siciliano, secondo le sorpassate teorie idealistico-romantiche, per cui si poteva concepire una “storia dello spirito siciliano”, e, in sede di storiografia letteraria, si poteva scorrere una letteratura per individuare “lo scrittore che (potesse) dirsi veramente il poeta della Sicilia” (6).


Il critico originario di Delia reagì sempre a siffatte ricerche care ai sociologi che volevano dare con le loro generalizzazioni “scientifiche” le caratteristiche ambientali, storiche, culturali della “sicilianità” a partire dal dato etnico. Tuttavia, trovandosi ad esaminare le opere di alcuni autori siciliani, fece ricorso alla nozione di “siculità” per indicare il carattere sicilianeggiante di un linguaggio, di un paesaggio, di un luogo, di una scena rappresentata, ispirati alla Sicilia, ma che non costituissero la deprecata “Sicilianità”.


La “siculità” nell’arte verghiana, ad esempio, ha rappresentato la risoluzione estetica originale dei rapporti tra la lingua immediata e lingua artistica, tra vicende biografiche e narrazione, mentre la “sicilianità” non permetteva di risolvere questi rapporti esteticamente. Con la nozione di “sicilianità”, infatti, si tendeva ad identificare dei contenuti “siciliani” con l’arte; la “siculità” trascende il contenuto (che in questo caso è il mondo siciliano) per ritrovarlo trasfigurato nella forma che sa creare il poeta.


Nel complesso rapporto che intercorre tra dialetto e lingua letteraria, il Verga perviene al segno più alto della sua arte quando, nell’ottica della siculità, sa liberarsi sia dal dialetto siciliano preso nella sua materialità sia dal “fiorentinesco”, dalle “fiorintinerie” e dal “fiorentineggiare”. 
La “siculità illustre” viene ad essere “l’idea platonica della lingua, a cui (lo scrittore) si sforza sempre di adeguarsi, non riuscendovi, per fortuna... mai pienamente”(7), “lingua degli angeli”, “lingua-mito” , “lingua ricordata” liricamente che nel contrasto e nella contaminazione con la "lingua parlata" genera uno stile, lo stile inconfondibile del singolo poeta.


Questa “idea platonica della lingua” verghiana non è realizzata attraverso un incastro di frammenti linguistici presi nella loro immediatezza dalla parlata quotidiana; essa è ben lontana dall’ “italiano regionale di Sicilia” con cui ci ha inondato e imbastardito in tempi a noi più vicini Andrea Camilleri, un italiano, il suo, realizzato in taluni casi attraverso l’ “adattamento fonetico” di parole dialettali all’italiano o attraverso l’adattamento dell’italiano alle strutture sintattiche dialettali. L’“italiano regionale” è di per sé un fenomeno preartistico. Si veda a tal proposito lo studio di A. Leone, L’italiano regionale di Sicilia, Il Mulino, Bologna 1982.

La “siculità” russiana, invece, indica un fenomeno poetico-linguistico, riscontrabile negli scrittori, nel nostro caso siciliani o sicilianeggianti, che si foggiano, a partire dal dialetto indotto congiunto all’italiano acquisito, una lingua adatta ad esprimere un contenuto poetico che le è inscindibile. 

“... Per noi le parole valgono non per sé ma per la sintassi di immagini in cui vengono alla luce” afferma Russo nel saggio su Giovanni Verga.


L’artista, infatti, a differenza del comune parlante (anche se colto), trascende l’idiotismo perché sa andare oltre la parlata comune e realizza la “classicità dialettale”, che è una classicità non solo linguistica ma anche poetica: “La ricerca della lingua si riduce ad essere ricerca dello stile” (8). La “siculità” diventa lo strumento linguistico che sussume l’atteggiamento morale e si materializza come procedimento stilistico attraverso cui il poeta o scrittore esprime la sua poetica e la sua moralità, sicché “il tribolo morale dell’artista diventa scrupolo di stilista” (9). Anche il sentimento vi s’embrica, un sentimento non gridato, non esibito ma sublimato in fragranza appena percettibile.

In tutta la letteratura siciliana, solo un’altra volta, oltre che nel Verga, si riscontra, per il Russo, la compiuta trasfigurazione della Sicilia storica e geografica nella “siculità”, e precisamente nel Gattopardo del Tomasi di Lampedusa. Se gli fosse stato temporalmente possibile, attraverso codesta nozione di siculità, magari sarebbero venute fuori altre “letture” emblematiche di autori a lui posteriori. Di Vincenzo Consolo molto verosimilmente. E di pochi altri.




© Piero Carbone. Rifacimento di un capitolo della tesi di Laurea "Dai modelli culturali alla poetica della 'colta barbarie'. Luigi Russo critico e polemista", anno accademico 1985/1986, relatrice prof.ssa Michela Sacco Messineo.

---------------

NOTE: 1. Luigi RUSSO, Francesco De Sanctis e la cultura napoletana (1860-1885), Sansoni, Firenze 1959, 3° ediz., pag. 236 nota. 2. Ivi. 3. IDEM, La critica letteraria contemporanea, vol. II, Sansoni, Firenze 1977, 5° ediz., pag. 333. 4. IDEM, Elogio della polemica. Testimonianze di vita e di cultura (1918- 1932), Laterza, Bari 1933, pag. 118 nota. 5. IDEM, Giovanni Verga, Laterza, Bari 1971, 5° ediz., pag.. 312. 6. IDEM, Elogio della polemica, cit., pag. 120. 7. IDEM, Giovanni Verga, cit., pag. 282. 8. Ivi pag. 302. 9. Ivi pag. 66.

precedentemente pubblicato in "Lumie di Sicilia", n. 58, ottobre 2006, a cura dell'A.CU. SI. F. (Associazione Culturale Sicilia Firenze):
http://www.sicilia-firenze.it/upload/files/lumie_n58.pdf

Foto proprie. 

lunedì 25 febbraio 2013

POLEMISTI DI IERI, POLEMISTI DI OGGI. E LUIGI RUSSO DI DELIA


         
         

Così scrivevo nella mia tesi di laurea oltre venticinque anni fa, Luigi Russo e la poetica della "colta barbarie",  ma nel rileggere oggi taluni passaggi credo se ne possano  trarre attualizzanti applicazioni. 

E' pur vero che le categorie o caratterizzazioni russiane, cambiano, trasformandosi nel tempo in altre imprevedibili e insospettate, ma non manca nuova materia da ricadere  sotto la mannaia affilata dei Russo di turno, ammesso che i novelli censori posseggano, del critico deliano, le alte doti intellettuali, il buon senso e la possanza morale.




 Scorrendo gli indici dei quattro volumi di prose polemiche che il Russo compose raccogliendo gli articoli pubblicati su varie riviste, ma soprattutto sulla sua “Belfagor”, notiamo che i temi attorno ai quali si coagulano i suoi interessi sono il trinomio politica-moralità-religione e l’altro trinomio intellettuali-educazione-cultura, con l’appendice dei ricordi e delle commemorazioni di amici e affini.




         Il raggruppamento dei temi corrisponde alla intensità della loro frequenza ma ancor di più ad una facilitazione di ordine espositivo, di fatto, i due trinomi tematici formano per Russo l’unica realtà dell’uomo completo che è artista e che è religioso, morale e politico, educando ed educatore: per lui la vita dello spirito non si divide in compartimenti stagno, la sua stessa polemica vorrebbe essere esempio politico di democrazia e di moralità, promotrice di cultura, azione essa stessa.

         I contenuti della polemica sono offerti di volta in volta dalle occasioni, ma è vero anche che il Russo è particolarmente sensibile alla polemica quando questa gli offre il destro per ribadire i suoi convincimenti teorici, il suo moralismo, per battere gli interni (prima che esterni) bersagli della sua mente, per accarezzare i suoi miti, per confermarsi nella sua fede.


         Le nozioni di metodologia, il rigore dei giudizi e i temi o motivi critico-polemici, in sede strettamente di polemica (particolarmente quella su riviste e giornali a grande diffusione) vengono ripresi e adottati ancora una volta, anche se mutato è il tono, che si è fatto irridente, canzonatorio, qualche volta avvelenato e/o velenoso.

Il “muliebrismo”, la “religiosità”, l’ “autobiografismo”, i valori della cultura siciliana e tutte le altre nozioni metodologiche, fatte valere questa volta come formule di senso comune e non dimostrativamente, tutti questi elementi li ritroviamo nelle prose polemiche, che vengono caratterizzate in senso umanistico. 

Anche nella polemica più aspra e più tecnicamente politica o di costume o sulla riforma della scuola, vi è sempre il letterato che scioglie la sua polemica in una prosa di esperto, fine letterato.



Lo stile è la spia del complesso mondo morale del polemista, della sua formazione, della sua professione di studioso, del suo gusto per le belle lettere. 
Ma forse il maggior pregio delle prose polemiche è nella dissimulata dottrina che traspare dall’andamento apparentemente “estravagante” e senza regole del discorso.

Lo stile, infatti, se non è una questione di tropi, ma, come diceva il De Sanctis, di pensiero e di umanità, rivela un pensiero che si è fatto agile e appassionato.
Abbandonato il tono medio e serioso, discorsivamente ragionante, della prosa critica più accademica, lo stile delle prose polemiche diventa più scorrevole e frenetico, e dà la sensazione di essersi sbarazzato di un peso: le immagini vengono caricate di originali significati , le citazioni e i riferimenti  estrapolati dal loro contesto originario vengono ad assumere un valore emblematico che bene illustra i nuovi contenuti e le nuove situazioni, l’aggettivazione è “umorosa”, i periodi si assottigliano di proposizioni, queste divengono essenziali in una coordinazione che vuole martellare una stessa idea ripetendola cento volte.



Nei movimenti di stile e di pensiero la polemica assume il carattere di una “esegesi dei luoghi comuni” dell’ideologia dominante e delle moderne mode culturali, filosofiche, politiche, estetiche, critiche, etc., ma di segno opposto a quella del francese Léon Bloy che ha scritto una tale esegesi agli inizi del nostro secolo. 

Se il Bloy, cattolicissmo, faceva convergere tutte le armi della logica e della caricatura contro lo stereotipo del “Borghese” laicista e ateo, lo storicista Russo (l’accostamento, per contrasto vale però per capire meglio lo stile del francese e del siciliano) rifrange il suo bersaglio polemico in una serie di figure-tipo:

 il “venticinquenne” o dell’incompiutezza; 
il “mistico-alfonso o del bigottismo”; 
il “poeta-puro” o dell’astrattezza; il “terzaforzista o terzaforzato” o dell’indecisione; 
il “cattolico-ateo” o dell’ipocrisia; 
gli “uomini d’ingegno” o del velleitarismo; 
le “anime belle” o dell’inconcludenza.





Foto proprie: busto di Luigi Russo, monumenti di Delia, targa commemorativa.

Sempre su Luigi Russo e la polemica:
http://archivioepensamenti.blogspot.it/2012/09/elogio-della-polemica_13.html