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lunedì 29 aprile 2019

RI-SORGI, MIA BELLA RACALMUTO. Auguri al Sindaco neoeletto e a tutti i consiglieri perché cooperino per la stessa causa, nella doverosa diversità dei ruoli


Auguri al neosindaco Vincenzo Maniglia 
alla sua squadra di assessori e collaboratori 
ai consiglieri della maggioranza
ai consiglieri della minoranza
ai cittadini tutti, eletti e non eletti, vicini e lontani,

con una sineddoche

ovvero
la voce di Luigi Infantino
e le parole del Conte nel Barbiere di Siviglia:


"Ecco ridente in cielo 
spunta la bella aurora, 
e tu non sorgi ancora 
e puoi dormir così?
Sorgi, mia bella speme, 
vieni, bell'idol mio..."

Atto Primo, Scena Prima







...e con il proposito di Nicolò Tinebra Martorana








La sineddoche (pronunciato sinèddoche, dal greco «συνεκδοχή» attraverso il latino «synecdŏche», in italiano «comprendere insieme»[1]) è un procedimento linguistico-espressivo, secondo la linguistica moderna, o una figura retorica, secondo la retorica classicistica.
...indica: 
  • la parte per il tutto: "tetti" al posto di "case", "scafo" al posto di "nave", "Inghilterra" al posto di "Regno Unito", "Olanda" al posto di "Paesi Bassi", "inglese" al posto di "britannico", "Monte Carlo" al posto di "Monaco",
  • il tutto per la parte: "America" al posto di "Stati Uniti d'America", "americano" al posto di "statunitense", cappotto di "renna", ovvero fatto con la pelle della renna;
  • il genere per la specie: "il felino" per "il gatto", "la belva lo azzannò" per "il leone lo azzannò";
  • la specie per il genere: "i grandi gatti" (big cats) per i felini come il leone o la tigre;
  • il singolare per il plurale: "l'italiano" all'estero per "gli italiani" all'estero;
  • il numero determinato per l'indeterminato ("mille" saluti per "molti" saluti)[3];
  • il numero indeterminato per il determinato: il libro ebbe "innumerevoli" ristampe.
In questi ultimi due esempi si ha anche un caso d'iperbole.
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

mercoledì 20 marzo 2013

DAL TEATRO ALLA FONDAZIONE


AVVISO IMPORTANTE: La manifestazione "Tinebra ritorna al Teatro di Racalmuto" che si doveva tenere al Teatro Regina Margherita si celebrerà presso la Fondazione Sciascia. 

1.



NIENTE SI IMPROVVISA, TUTTO SI PROGRAMMA

I grandi come i piccoli eventi sono sempre il frutto di tanti contributi. 
Per la pubblicazione, nel 1982, del libro di Nicolò Tinebra Martorana, Racalmuto. Memorie e tradizioni con Prefazione di Leonardo Sciascia, è stato determinante quello di Carmelò Mulè, allora assessore ai Beni Culturali del comune di Racalmuto. 
Un assessorato fin'allora poco ambito, il suo, e poco cercato dai politici, quasi inventato ai tempi del predecessore Matteo Pitrozzella con cui si iniziò a mettere su la sguarnitissima, anzi, l'inesistente biblioteca. 

Dopo la gestione Mulè, l'Assessorato alla Cultura è diventato il più ambito e prestigioso, perché si incominciò a percepire che "dava immagine". Ma questo scaturiva principalmente dal concorrere di tre forze: la convinzione dell'Assessore alla Cultura (sostenuto dall'Amministrazione), l'attivismo della Pro Loco, il sostegno di Sciascia. 



2.

La pubblicazione del libro del "giovane" Tinebra, nonostante i limiti, al dire di Sciascia, voleva essere l'inizio di un percorso, di un cammino che doveva portare alla valorizzazione della cultura e delle energie locali. 
I frutti di quella breve, felice e quasi concitata stagione saranno la riapertura del Teatro e l'inizio del progetto di restauro, la  mostra dei ritratti ad olio di personaggi racalmutesi dell'Ottocento, la mostra di fotografie su Racalmuto di fotografi affermati, i libri di Padre Morreale sulla Madonna del Monte e Padre Elia Lauricella, la grande mostra di Pietro D'Asaro, il ripristino delle novene di Natale e della Recita per la Festa del Monte, i prodromi della Fondazione Sciascia...

Si sarebbe potuto e  dovuto continuare nel segno di quel fortunato input ma l'ingranaggio chissà perché s'è guastato, fino a rompersi con il dissolvimento della Pro Loco, la morte di Sciascia, la mondanizzazione, diciamo così, della politica. 
Quello che doveva costituire "sistema", organico progetto proiettato nel tempo, incominciò a parcellizzarsi, insomma, traballò il continuum

Ci sono state tante stelle che non si sono costituite in firmamento.

Un segno premonitore se ne ebbe proprio in occasione della presentazione del libro del Tinebra Martorana quando il Mulè, per i giochi e i rapporti di forza della politica militante,  venne rimpiazzato da un altro assessore, il giovane Rosario Alaimo Di Loro, che ora, benché anche lui propugnatore di altre iniziative, riconosce,  con grande distacco, onestà intellettuale e generosità,  che  alla presentazione del libro del Tinebra Martorana nel 1982, sul palco del riaperto teatro, ci doveva stare il suo predecessore che quell'evento, foriero di altri eventi,  aveva voluto e sostenuto.

Tornando all'oggi, grazie alla grande sensibilità e disponibilità dei commissari, con la  manifestazione "Tinebra Martorana ritorna al Teatro di Racalmuto", sebbene con la mancanza fisica di Sciascia, si sarebbe chiuso il cerchio nello stesso punto e nello stesso luogo in cui si era iniziato circa trent'anni fa.

Per motivi tecnici però, così come ha spiegato il commissario Filippo Romano, l'evento è stato spostato in un luogo altrettanto prestigioso qual è la Fondazione Sciascia.

 Pertanto, ancora una volta, l'antico progetto, iniziato dal connubio Tinebra Martorana - Sciascia,  ritorna allo stesso punto di partenza ma collocato ad un livello più alto in un ascensionale movimento elicoidale: la Fondazione rappresenta infatti uno sviluppo qualitativo e cronologico di un  iniziale progetto culturale per Racalmuto, che affonda le radici nel teatro "Regina Margherita" ancora "chiuso" nel 1982. 

Aggiungi didascalia
3.


Anzi, simbolicamente, il "giovane" autore di Memorie e tradizioni, conscio della propria natura di poeta va a rendere omaggio a Sciascia, nella  "sua" casa, con il libretto in mano delle poesie giovanili, e grato sotto tanti aspetti per gli apprezzamenti mostrati al suo precedente libro sulla storia di Racalmuto. 


4.

E ci va non da solo ma in compagnia di tanti amici, estimatori, artisti, studiosi... con un manifesto srotolato: dinanzi al quale, sbirciandolo, il caro Nanà di sempre si sarebbe fatta una delle sue solite, "filosofiche" risatine.


5.




La "Presentazione" di Carmelò Mulè alla ristampa del  libro di Nicolò Tinebra Martorana nel 1982 
  
Per esaudire una richiesta, in questi ultimi anni moltiplicatasi, e specialmente da parte dei racalmutesi emigrati, I'Ammmistrazione Comunale di Racalmuto ha deciso di promuovere la ristampa della storia del paese scritta dal dottor Nicolò Tinebra Martorana e pubblicata, in tiratura limitata, nel 1897. 
Opera giovanile e, per certi aspetti, datata: ma sostanzialmente valida e scritta con passione. Ad integrarla, si è aggiunta la voce “Racalmuto” del Dizionario topografico della Sicilia di Vito Amico tradotto e aggiornato da Gioacchino Di Marzo (Palermo, 1859).



6.

Si è creduto opportuno unire una silloge fotografica: del paese com'era, del paese com'è, di opere di Pietro D'Asaro, di qualche racalmutese illustre. 
Molte, del paese oggi, sono dovute a fotografi ben noti: allo scultore Mario Pecoraino, autore del bellissimo libro sugli Scultori del Cassaro, e a Ferdinando Scianna, autore di quel libro, che è ormai un classico nel genere, sulle Feste religiose in Sicilia (e gli si debbono quelle sulla festa del Monte in particolare). 
Ad entrambi va il nostro ringraziamento; e a Mario Pecoraino anche per la cura grafica di questo libro.

Ringraziamo anche la « Pro Loco » di Racalmuto per il reperimento di immagini del paese com'era; e Leonardo Sciascia per lo scritto introduttivo e per I'attenzione con cui ci ha seguito nella preparazione di questo libro.
                                              Carmelo Mulè
                                              Assessore ai Beni Culturali






7.




Post scriptum: 
Da Lampedusa giungerà una delegazione di speciali lettrici delle poesie di Nicolò Tinebra Martorana, costituita dalle studentesse del locale Liceo scientifico: Melissa Incorvaia 
Camilla Galazzo 
Rosalinda Brischetto 
Giorgia Russo 
Rossella Scozzari
Lucrezia Palmisano 
Elisa Tuccio 
Giovanna D'Ippolito 
Samantha Solina.  
Sono le allieve di Angelo Campanella che ha curato la pubblicazione delle poesie recentemente ritrovate.  Leggeranno la poesia "Dopo un amplesso". La precedente "lettura critica" è stata pubblicata nel seguente post: http://archivioepensamenti.blogspot.it/2013/03/nicolo-tinebra-martorana-lampedusa.html

8.


Foto 4, 6 e 8: Nicolò D'Alessandro, Processione a Palermo, china su cartoncino, 70 x 50 cm. 1985 

lunedì 18 marzo 2013

MUSICA MODERNA PER VERSI ANTICHI



Il maestro Domenico Mannella, sulla scia musicale  di collaudate ispirazioni, dagli arrangiamenti dei canti popolari al solenne inno a più voci per la Patrona del suo paese  eseguito la prima volta nel 1988 in Piazza Castello dal coro Santa Cecilia di Agrigento, si è lasciato pro-vocare, che in latino significa chiamare, dai versi ottocenteschi di un giovane poeta: di fiore in fiore, di verso in verso, si è propagato un effluvio di ariose note.  

Domenico lo ha raccolto, ricomposto in "arie da camera",  e ce lo offrirà in teatro il prossimo 23 marzo. 


Per comporre le loro opere, diceva il critico Luigi Russo, gli artisti vengono sollecitati dalle "goethiane occasioni", sono quelle che fanno venir fuori esiti artistici misteriosamente sopiti, questa volta a fungere da "goethiana occasione" è toccato ai versi "primaverili", casualmente ritrovati,  del racalmutese  Nicolò Tinebra Martorana.





fior di giaggiolo 
di menta 
di margherita 
di prato 
di viola 
di rosa 
di lino




Ingresso libero











sabato 16 marzo 2013

UNO STORICO POETA. Nicolò Tinebra Martorana




Bacheca del Teatro Regina Margherita di Racalmuto

Che il giovane Nicolò Tinebra Martorana fosse più incline ad “accensioni fantastiche, visionarie”   che non alla prosa storica “del Fazello, del Gregorio, dell’Amari”, era stato affermato da Sciascia in Prefazione alla ristampa di Racalmuto. Memorie e tradizione avvenuta nel 1982.



Prova provata ne è quella pagina ariosa e immaginifica sul Castelluccio preceduta dall’epigrafe del romantico Lord Byron, un brumoso poeta inglese che cantava: “i monti per me sono un sentimento”; e sentiva nostalgia dello “incorporeo pensiero”, dello “Spirito di ogni luogo”.


  In tutta la descrizione del Castelluccio e della campagna circostante vi alitano silenzi leopardiani e languori paesaggistici. Malinconie. Una struggente natura che si impasta di echi caduchi. 

E tuttavia, il Nicolò Tinebra che conoscevamo era soprattutto, o esclusivamente, quello legato al suo libro scritto in quanto storico o meglio sulla storia di Racalmuto. 



Uno “storico”, il Tinebra Martorana, diciamo così, episodico, di un libro solo,  che poi ha studiato medicina ed esercitato per tutta la vita professione medica.
Con il recente ritrovamento delle poesie inedite e pubblicate nel 2012 a cura di Angelo Campanella, si ha la documentale conferma di quella propensione poetica. 



Anzi, le poesie ritrovate che vanno dal 1891 al 1895 precedono di poco la pubblicazione del lavoro storico risultando propedeutiche ad esso che sarà pubblicato nel 1897: propedeutiche non nel metodo ovviamente bensì nello stile, nell’esprimersi per immagini, con sentimento, con fantasia, arrivando ad animare  con creativa immaginazione quello che avrebbero dovuto suffragare codici, pandette e documenti d’archivio a cui ricorre meticolosamente  lo storico di mestiere.



E viene il sospetto che il nucleo centrale delle sue ricostruzioni storiche e delle ricerche alla Biblioteca Lucchesiana di Agrigento, spesso citata, possano risalire al periodo liceale, coevo al periodo in cui scriveva poesie,  visto che nei registri del liceo classico “Scinà”, in seguito “Empedocle”, nell’a.s.1893/94, quando frequentava la seconda liceale, risulta un riferimento alla sua abitazione  in casa (alcune parole sono di difficile interpretazione, una è approssimabile a "Gueli") “del Barone”.



Probabilmente il domicilio ad Agrigento nel periodo liceale, in prosecuzione di quello ginnasiale - stando ai registri agrigentini (nessun Tinebra Nicolò di Salvatore e di Martorana Marianna in quelli racalmutesi, parzialmente consultati a causa di un recente atto di vandalismo) -, avrà facilitato la frequentazione della Biblioteca Lucchesiana. 



L’ipotesi della coincidenza temporale, comunque,  porta ad accostare compitazioni poetiche e ricerche storiche. Come dire assommare in sé la doppia propensione del poeta e dello storico, a tutto vantaggio della prima.



  Il giovane Tinebra, il secondo cognome della madre lo aggiungerà successivamente, ne è ben consapevole, qualificando il suo lavoro non come “storia” bensì come una “breve reccolta di notizie”, e si augura che sia da stimolo presso “qualche concittadino” affinché “la patria mia… abbia alla fine una Storia degna di Lei e di gran lunga migliore a questa”.  


A rimarcare queste premesse, Sciascia affermerà che l’opera “manca di metodo, e tante cose vi mancano”, eppure, nel 1982, preferì si ripubblicasse l’edizione originale senza le “aggiunte” apportate dai figli del Tinebra, stese in calce al testo da padre Giuseppe Cipolla. Il contenuto delle "aggiunte" postume e gli autori ivi citati colmavano sicuramente lacune. Quella su Marco Antonio Alaimo, ad esempio, ribalta alcune precedenti affermazioni.
Ma il metodo  “storico” non poteva né voleva averlo il giovane Tinebra poiché dedito a tutt’altri studi e ad abbandoni poetici. 



Alla fin fine, dopo il rammarico della ragione, di cui si fa schermo, lo stesso Sciascia sembra assecondare con il sentimento “il filiale desiderio di far rivivere i secoli trascorsi” . E questo “desiderio” del Tinebra ha voluto si riproponesse così come era scaturito. Così come era ormai presente, secondo le sue parole pronunciate a braccio in teatro nel 1982, “nell’immaginario di tutti i racalmutesi”.                                                      P. C.




"La fortezza sorge maestosa a cavaliere di un monte ed a cinque miglia da Racalmuto. Sul suo sommo si addensano le nubi, il suo sommo indora il primo raggio del Sole. A guardarla bruna, massiccia, sembra lo spettro del passato, che parla alla tua   mente di tempi lontani lontani, di generazioni che sono nella polvere, di signorie e schiavitù, dileguate per sempre.
II luogo dove s'innalza e pittoresco: ai fianchi del masso su cui s'erge, sul declivio, si aggruppano qua e la massi di roccia bianca, che da lungi ti si offrono alia vista come branco di capre ardite.



Qual contrasto poi tra la mole maestosa che lotta con i tempi ed impera, e le tisicuzze casupole campagnuole che sorgono in quelle vicinanze!
Quando le colora 1'ultimo raggio di sole, sembrano vermiglie di vergogna.
Chi spinge dal nostro paese lo sguardo a quella fortezza, sente allietarsi 1'animo.



II monte Castelluccio risale dolcemente, perdendosi in graziosi ondeggiamenti, in piccoli seni e piccole alture. In primavera rosseggia gaiamente di lupinella fiorita, in estate il verde si alterna al gialliccio dei gambi delle messi segate. Da una parte vigne flessuose ed alberi rigogliosi, fra il verde di tanto in tanto fa capolino una casetta. L'altra parte si stende quasi piana e vi ondeggia nel giugno la bionda spiga.

Bella è la luna allorché la bacia serenamente col suo albore e ne rallegra la tinta cupa: sembra bellissima giovinetta, che posi le sue labbra dilicate sulla fronte ancora raggrinzata di guerriero, spiccato da poco dal conflitto ed ancora, fuor che il capo, chiuso nelle sue armi; sì che da quei due diversi aspetti fusi insieme, ne venga alcun che di virile e forte all'una e di gajo e grazioso al1'altro.


Belli e solenni sono i suoi silenzii, allorché ogni cosa dorme all'intorno, e solo remotamente alla campagna, s'ode cantare il grillo, re in quell'ora. Trovati sulle sue mura quando il vento fischia ed imperversa il temporale: udrai il genio del luogo, che ti parla con voce cupa e misteriosa.

Nel nostro idioma questa fortezza vien chiamata Castelluccio: il suo vero nome però è Giblina o Gibillina. Infatti cosi la chiama Fazello (1). Questo nome di Castelluccio le fu dato in opposizione al Castello, perché di mole più piccola.



La parola Giblina è tutta arabica, e il genitivo plurale di Gibel, monte, e significa dei Monti. Deve ritenersi dunque che i Saraceni chiamarono il monte Castelluccio Gibillini e che la fortezza sia stata poi battezzata con questo nome. Da questa origine trae pure il nome di Gibillini dato alia vasta contrada circonvicina.
Questa fortezza, così come esiste, sorse nel 1229 (2) durante l'impero di Federico... ".






Tratto da Nicolò Tinebra Martorana, Racalmuto. Memorie e tradizioni, 1982, pagg. 75,76.