In omaggio allo scrittore e poeta Nat Scammacca, ripropongo l’articolo “Poesia dei bisogni” e “poesia dei signori” pubblicato sul n. 57, giugno 2006, della rivista Lumìe di Sicilia.
La sua attività letteraria, a cui nell’articolo si fa cenno, andrebbe studiata e rivalutata. Recentemente, Giacomo Pilati si è ispirato alla vicenda biografica dello scrittore e poeta siculo-americano per il suo romanzo Sulla punta del mare, edito da Mursia.
Sulla poesia del ‘900 in Sicilia
In
occasione della Giornata mondiale della poesia,
celebratasi nella scuola media statale “S. Quasimodo” di Palermo il 21
marzo 2006 con letture di poesie di Salvatore Quasimodo, Lucio Piccolo, Stefano
D’Arrigo, Gesualdo Bufalino e Ignazio Buttitta, ho approntato alcune
riflessioni generali sul Novecento poetico siciliano; è stata l’occasione per
sistematizzare tante sparse letture nonché conoscenze personali di fatti e personaggi
a cui mi hanno legato rapporti spesso di stima, qualche volta di amicizia. Alcune
di quelle riflessioni ho estrapolato per Lumìe.
Salvatore
Francesco Romano, nella sua Storia dei
Fasci siciliani, documenta che, nella Sicilia feudale e latifondista dell’Ottocento,
il poeta contadino era ritenuto sacro, “
...nel senso che a lui era consentito di dire tutta la verità senza che alcuno avesse da chiamarlo in giudizio o
perseguitarlo... Grazie a questa convinzione, il contadino siciliano, di solito
taciturno e reticente, in poesia dava sfogo pieno ai suoi sentimenti.”
Serafino
Amabile Guastella della Contea di Modica, detto il “barone dei villani”,
testimonia la persistenza della figura del poeta contadino a dispetto delle
rivoluzioni e delle ventate innovatrici della storia che avrebbero voluto
cancellarlo.
Egli
racconta che un contadino di Chiaramonte Gulfi, nel 1861, voleva recitare per
il lunedì grasso una “satira sanguinosissima contro il Sindaco”, ma il barone
lo sconsigliò per non fargli rischiare un processo di diffamazione o di “aver
rotta la schiena”. Il poeta lo guardò meravigliato come se avesse visto la
“donna a tre gambe” e per tutta risposta
gli rispose:
“In questa poesia dico o
non dico la verità?
E se dico la verità neanche il diavolo avrà a ridirci.
Mi farà rompere la
schiena, le mani non le ha lui solamente. […]
Codesta legge di non
poter aprire la bocca è venuta forse con i maledetti Piemontesi che Dio li
disperda tutti?
Neanche il re porco
(Ferdinando II) osò molestare i poeti del nostro ceto.
E ora che c’è Garibaldi
vorrebbero proibircelo?... E dicono che c’è la libertà. C’è la libertà di
assassinare il povero. Dicono che sono cessati gli abusi, gli abusi sono
cresciuti cento volte di più e per coronamento dell’opera, si pretenderebbe che
il poeta non potesse parlare… Mi manderanno in galera , ma come è vero Iddio
parlerò quanto San Paolo”.
Dunque,
era nei fatti che, persino sotto il
vituperato Borbone, esistesse una poesia dei bisogni - primari - libera di
esprimersi; una poesia che non si preoccupava di mediare l’urgenza del dire e
del denunciare con le buone maniere del convenuto decoro sociale, una poesia
ribellista, eslege, scombinatrice dei
giochi di società, utopista, se si vuole, intaccata nel suo slancio da un eccessivo
ottimismo palingenetico somigliante a tratti, nella furia di aggiustare o
sfasciare tutto perché tutto non andava, ad una furia adolescenziale.
Nel
Novecento, per le mutate condizioni politiche, economiche, sociali, non ci sarà
più la figura del “poeta contadino”, epperò quella che era una condizione
espressiva socialmente accettata si incarna, anzi, si trasmuta nell’ideologia e
nella prassi di un gruppo di intellettuali e di poeti, anzi di un Antigruppo.
Il
movimento letterario così detto fu attivo dalla fine degli Anni ’60 alla fine
degli Anni ’80. Nat Scammacca nel 1969 ne fissa in 21 punti la concezione
estetica.
Nel 2° punto si dice: “Non è la forma che crea il capolavoro ma l’atteggiamento del poeta
stesso”, laddove per atteggiamento, esplicita Lucio Zinna, “si intende la
posizione contestataria assunta da parte di un individuo”.
I poeti
dell’Antigruppo contestavano il potere sotto ogni sua forma non ultimo il
potere culturale, le camarille, le consorterie, i letterati distaccati dalla realtà
con il loro linguaggio esangue e lambiccato. Emarginali ovvero ai margini del
potere editoriale, giornalistico, accademico, venivano sistematicamente
emarginati; i fogli ciclostilati divennero mezzo e simbolo di resistenza
culturale.
Crescenzio Cane,
il poeta della “bomba proletaria” e della “sicilitudine” - è suo e non di
Sciascia, come pappagallescamente si vien ripetendo, il neologismo coniato
sulla falsariga della négritude di Léopold
Sédar Senghor, - nella prima metà degli Anni Settanta si scagliava contro “la
piaga cronica degli intellettuali siciliani” per avere perso il contatto con le
masse e la base popolare.
Nat Scammacca
propugnava l’etica populista foriera di cambiamenti e impeti rivoluzionari. Per
avvicinarsi alla base popolare bisognava privilegiare il contenuto, i bisogni
veri, e veicolarlo con immediatezza, con il linguaggio della gente comune, del
proletariato, nelle piazze, nelle scuole, nelle fabbriche.
Comunicabilità
e oralità erano gli aspetti salienti dell’anima populista dell’Antigruppo
rappresentata da Scammacca, dal marxista-leninista e a suo modo francescano Crescenzio
Cane, da Santo Calì che si arrocca strategicamente nel dialetto di Giardini
Naxos, da Rolando Certa autore della raccolta Sicilia pecora sgozzata, da Gianni Diecidue, Carmelo Pirrera,
Ignazio Apolloni, Pietro Terminelli ed altri.
Anche se non
appartenente programmaticamente all’Antigruppo, alla sua poetica e alle sue
pratiche possiamo associare Ignazio Buttitta. Il poeta in Piazza si intitola emblematicamente un suo libro e,
sulla copertina di un altro, Ferdinando Scianna lo ritrae mentre arringa
braccianti e iurnatàra in aperta
campagna. E si potrebbero aggiungere il non siciliano Danilo Dolci con la sua
sicilianissima raccolta Limone lunare. Poema
per la radio dei poveri cristi e la denuncia senza rabbia di Mario
Farinella. Ma più che stilare faziosi o difettosi elenchi di nomi si vogliono suggerire criteri per individuare e
accomunare ricorrenti caratteri poetici.
Opposta ai
poeti e alla poetica dell’Antigruppo è
la poesia che possiamo definire “dei signori”, per palati fini, tutta
prelibatezze linguistiche e rarefazioni mentali, la cui genesi è da ricercare
in una corte reale, quella di Federico II, perpetuatasi nei secoli seguenti
sotto cangianti forme fino a travalicare il Novecento…
Mi fa piacere rileggere questo lucido scritto. Passo il link anche a Nina Scammacca e a Glenda.
RispondiEliminaRiporto da facebook il commento di Salvatore Salamone, che ringrazio per l'attenzione:
RispondiEliminaCaro Piero Carbone, mi piace molto e condivido questo tuo ricordo di Nat Scammacca, il nostro grande amico poeta americano, ci manca tanto la sua voce e la sua poesia populista e anarchica, non faremo mai abbastanza per ricompensarlo del grande amore che ci ha dato. Un abbraccio Turi