Contro un falso concetto e una falsa pratica della polemica, tante volte gratuita e strumentale, a cui purtroppo ci hanno abituato starnazzanti giornali, tv e web, mi piace riesumare come la concepiva Luigi Russo, la polemica, attraverso un brano tratto dalla mia tesi di laurea “Dai modelli culturali alla poetica della ‘colta barbarie’. Luigi Russo critico e polemista”, anno accademico 1984-’85, relatrice: ch.ma prof.ssa Michela Sacco Messineo.
Forse è superfluo ricordare che il termine “polemica” deriva dal greco pòlemos che significa “guerra”.
Sicuramente, è meno superfluo ricordare che al termine “polemica” vi è sottinteso il termine téchnè che significa arte, e dunque: l’arte della guerra con le sue regole, i suoi tempi e i suoi limiti. Altrimenti è guerriglia o sabotaggio. O, meno bellicamente, volgarità (non ricordo la traduzione in dialetto).
Della
polemica il Russo ha intessuto un “elogio” perché essa rappresentava per lui
l’esercizio delle regole della logica e della democrazia e non un “gusto estetico della polemica e della
stroncatura considerate in se stesse”.
“La critica, quella famosa
critica, di cui oggi si incomincia a scoprire ingenuamente la necessità è già
liberalismo, ed essa non è un fatto arbitrario, un post
factum, una cosa che può esserci e può non esserci, ma è la stessa
coscienza riflessa dell’azione, e però è un’azione più illuminata. E là dove
non si vuole critica, dove la si combatte come una nemica, sorge il surrogato,
la calunnia”.
E’
la storia ad insegnarci che “è sempre la
censura che genera gli scandali, e dove manca la libertà, fatalmente ivi nasce
una vita licenziosa”.
Il
Russo ha difeso sempre il diritto-dovere della polemica dai censori potenti
siano stati esimi professori prestigiosi come il Volpe, o politici come i
ministri Scelba e Gonella, e da quanti ritenevano eticamente corretto un Index librorum prohibitorum e nutrivano “nostalgia del rogo”.
E’
democrazia, ma anche salutare metodologia, discutere, dialogare e sottoporre al
vaglio della critica, anche di quella dei ministri, le nostre azioni e i
risultati delle nostre indagini scientifiche: la polemica, allora, diventa
occasione di chiarificazione e di arricchimento reciproco, non una lotta corpo
a corpo o concorrenza d’interessi; essa non
è priva di regole, che vanno cavallerescamente rispettate.
A
proposito della polemica, per certi versi esemplare, col Padre Gemelli, il
Russo lamenta: “Ma io non seguirò lui sul terreno delle ingiurie, dove
il Gemelli vorrebbe trascinarmi, protetto dalla impunità della sua tonaca
fratesca. Egli, per polemizzare degnamente con uomini di scienza e di lettere,
manca di stile, di quel tratto, di quella vis
spirituale, di quel buon gusto, che permette le più dure battaglie, osservando
le regole della buona guerra. Il nostro frate o viene meno alle regole più elementari del
giornalismo, rifiutando ospitalità all’avversario, per una rettifica di
carattere obbiettivo, o ricorre ad allusioni cattive...”.
Ai
metodi ricattatori, ingiuriosi o sleali il Nostro risponde “con le parole più dolci e cortesi” il cui scopo è solamente quello
di “persuadere
il Gemelli che i suoi stessi sistemi polemici sono una stonatura nel campo
scientifico e letterario. Quella che è polemica di idee e di tendenze, diventa,
per lui, senz’altro, ingiuria alla persona... La discussione, che è dialettica,
si converte, per loro (i chierici, n.d.r.), in querela stizzosa, predica
iraconda, scomunica apocalittica. E i ragionamenti degli avversari,
ragionamenti pacifici e obbiettivi, si tramutano nella loro fantasia in
bestemmie ed offese”.
Per
ristabilire la verità o per ripristinare la giustizia, la polemica è, dunque,
necessaria e doverosa: “La critica e la
polemica debbono essere organismo, sistema, come l’arte, come l’azione
politica, come ogni forma di attività che trascenda il particolarismo della
vita quotidiana”.
Polemica
diventa, in tal senso, sinonimo di lealtà, anche il nostro oppositore è momento
necessario della dialettica che ci fa pervenire alla verità. Il polemista vero “stringerebbe cordialmente la mano al suo
avversario, se tale gesto non fosse interpretato come una rinunzia alla lotta,
perché la sua battaglia è contro le cose e non contro gli individui, egli che
sconta in dure malinconie la necessità dei suoi attacchi e delle violenze
polemiche! Oh gran bontà dei cavalieri antichi! Eran rivali, eran di fè
diversi; ma è forse questa la caratteristica della polemica ideale: combattere
senza fiele e senza prezzo, e restare fedeli alla nostra parte, al nostro
mondo, senza crucci e risentimenti di persone, e come covando, nel fondo del
cuore, una forma di contrariato affetto e di ricoltosa stima per la stessa
nostra pretesa vittima”.
Eppure,
la polemica stanca ed abbatte perché coinvolge le persone e non solo le idee e
le situazioni da discutere e chiarire.
Opere di Luigi Russo da cui sono tratte le
citazioni:
Elogio
della polemica. Testimonianze di vita e di cultura (1918-1932), Laterza, Bari 1933
De
vera religione. Noterelle e schermaglie (1943-1948), Einaudi, Torino 1949
Il
dialogo dei popoli, “Il Sentiero”, Firenze 1953
Il
tramonto del letterato. Scorci etico-politico-letterari sull’Otto e Novecento,
Laterza, Bari 1960
Foto da Internet
veramente bello
RispondiEliminaSì, vero bravissimo Piero. Tu invero poi sai far polemica sempre forbita e sottile non credo immancabilmente gentile e cortese. E talora l'ironia dissolvente vale più di una volgare contumelia (questa sì, sempre da evitare). La polemica attinge da certi intimi succhi gastrici e si nutrica di ira, sarcasmo, disprezzo: inevitalmente giunge alla stroncatura dell'avversario (se riesce)o alla umiliante soccombenza. Ho presente il nostro Sciascia in quella polemica con il figlio di Della Chiesa sul Corriere della Sera: il nostro schivo Nardu arriva persino all'invettiva contro il suo "asino ragliante". Calogero Taverna
RispondiEliminaLa polemica, ma non solo, la satira, l’umorismo, l’ironia..- parafrasando uno spot di qualche anno fa di Tonino Guerra- sono il sale della vita. A proposito di ironia, ma si può benissimo dire per le altre figure richiamate: « L’ironie est une déclaration de dignité, une affirmation de la supériorité de l’homme sur ce qui lui arrive. »Romain Gary: dall’intestazione di un capitolo dell’ultimo libro di Lella Costa, Come una specie di sorriso (Piemme),
RispondiEliminaLo zolfo non si estrae più, dalle nostre miniere, ma speriamo che il sale possa ancora estrarsi...
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