Nell’amichevole
corrispondenza con Marco Scalabrino, poeta e studioso trapanese della nostra lingua, così egli mi scrive:
“Caro Piero, oltre a
scrivere le mie cose, io mi occupo, da tempo, dei nostri Autori dialettali
del ‘900 che, a mio modesto avviso, meriterebbero, tra i Siciliani e non solo, maggiori considerazione
e conoscenza. Ne allego un esempio.”
Sono talmente d’accordo e
in sintonia con quella che mi piace
definire “poetica del risarcimento” (seguendo il “filo rosso” delle notizie
sommerse, proporre o riproporre all’attenzione collettiva figure e fatti rimossi
o trascurati spesso per calcolo, qualche volta per insensibilità) che pubblico
con piacere l’esempio allegato e sicuramente non ne mancheranno altri.
P.C.
Vito Mercadante
di Marco Scalabrino
“Il personaggio – dichiara
Girolamo Li Causi, nello stralcio di una lettera del 1971 pubblicato a
Palermo nel febbraio 1988 sul numero zero del rinato Po’ t’ù cuntu – mi è vivissimo anche in questo
momento a distanza di quasi sessant’anni: minuto, vestito di nero, la cravatta
alla La Valière, colorito bruno, aria greve quasi di mestizia; lui già anziano
e io giovanotto.
Rimane in me forte l’impressione di una figura integerrima moralmente e
politicamente, universalmente stimata e quindi degna di essere rievocata e
restituita alla storia”;
“A 52 anni dalla morte – appunta Guglielmo Lo Curzio, sulla nota Zio Vito apparsa sulla medesima rivista – mi ritorna innanzi, vivo, sotto
il cappelluccio a ciambella, sempre nero come il vestito; l’argentea zazzera
romantica illumina il viso magro e bislungo, dove gli occhi neri, piccoli e
senza requie, ma d’una dolcezza inesprimibile, scintillano d’intelligenza sotto
la fronte spaziosa, sul naso piccolo e camuso, sulla bocca di una freschezza
quasi giovanile”;
“Severamente vestito di scuro – rievoca Pietro Tamburello, sul numero
di giugno 1988 del giornale di poesia siciliana – la
bella barba patriarcale, la bianca cravatta svolazzante sotto lo sguardo mite e
accattivante. Buono e gentile lo era sempre: quando gli andavo incontro e mi
accompagnavo a lui per qualche tratto lungo i viali di via Libertà, quando mi
accoglieva nella sua casa di via Gioacchino Di Marzo, quando ascoltava
sorridendo i miei spropositi e le mie ingenue poesiole di quel tempo. Tra le
mie cose più care conservo una foto [del 1933, riprodotta in calce all’articolo]
in cui, con Nino Orsini e altri amici, ci stringiamo intorno al suo sorriso nel
giardino della sua casa”.
Vito Mercadante nacque a Prizzi (PA) il 13 luglio 1873. A Prizzi ultimò
le scuole elementari, ma fu Palermo la città dove frequentò le scuole
secondarie e visse la frazione maggiore della sua vita. Interrotti gli studi di
Ingegneria, ma avverte il nipote prof. Vito Mercadante “si dedicò anima e corpo
agli studi veramente liberatori: quelli che avevano per oggetto la società, la
politica, i problemi del lavoro”, trovò impiego presso le Ferrovie dello Stato.
Nel 1902 pubblicò Spera di suli, un
volumetto in versi dedicato alla fidanzata che amò profondamente e che morì
giovanissima di tubercolosi. Nel 1904 fu la volta di Castelluzzo, una selezione di 14 sonetti in lingua italiana
composta in occasione della strage di contadini compiuta dalle forze
dell’ordine in località Castelluzzo, in quel di Trapani.
A seguito del terremoto del 1908 che rase al suolo Messina produsse L’omu e la terra e nel 1910 videro la
luce Focu di Muncibeddu, unanimemente
giudicato il suo masterpiece, e Lu Sissanta, un lavoro da storiografo
utile, rimarcò Gaetano Falzone, per apprendere il senso della vita di allora in
Sicilia. “Questa fioritura di scritti – osserva il prof. Vito Mercadante – non
dipende da un momento soggettivamente felice del Mercadante, bensì dalle
tensioni di anni particolarmente critici che richiedevano risposte perentorie
dai suoi protagonisti”.
Nel 1911, il Nostro, che intanto a Palermo – informa il prof.
Mercadante – andava rappresentando “il punto di riferimento di quanti trovarono
impossibile uscire con dignità dalla situazione in cui erano immersi sia col
liberalismo di Giolitti che s’appoggiava alla mafia sia coi socialisti che
trescavano coi governativi”, elaborò l’opuscolo propagandistico La ferrovia ai ferrovieri. Totalmente
coinvolto nel sindacalismo rivoluzionario di matrice soreliana, inteso “come
filosofia, come scienza politica, come prassi, come estetica, come lotta di
classe, come strumento atto a mettere in moto quel mondo contadino considerato
l’unica forza sociale sana della Sicilia”, egli stesso si candidava – prosegue
il prof. Mercadante “come un modello di uomo nuovo in Sicilia: lottatore e
artista, intellettuale e capace nello stesso tempo di scendere con l’amore e
con la poesia entro i precordi del suo popolo per conoscerne le più intime
istanze, operatore politico e rispecchiatore, con l’arte, del movimento storico
che andava realizzando”.
Terminata la prima guerra mondiale, a Palermo “promosse le affittanze
dei feudi, istituì una cooperativa edilizia per i ferrovieri, la Panormus, combatté aspramente il
fascismo” e nel gennaio del 1920, con Francesco Guarratana, capeggiò i
ferrovieri scesi in lotta contro la politica antioperaia del governo. In
coerenza con le sue idee di giustizia sociale e di libertà, rifiutò la carica
di sottosegretario all’Agricoltura propostagli – al ministro Rossoni, che andò
a casa sua, fece trovare una stanza piena di garofani rossi e di ferrovieri
licenziati dal Fascio –, atteggiamento che gli costò il licenziamento da
impiegato delle Ferrovie. Fra il dicembre 1926 e il gennaio 1927 pubblicò sulla
rivista Sicilia la commedia
dialettale in tre atti Mastru Mircuriu,
ritenuta da Antonio Verzera un “piccolo capolavoro del teatro dialettale
siciliano”, che tuttavia gli venne proibito inscenare. Sorvegliato dalla
polizia, costretto a vivere con una misera pensione, morì a Palermo il 28 novembre
1936.
Antonio Verzera, il quale per primo
se ne occupò in maniera organica e nel 1965 portò alle stampe il volume Un poeta di Sicilia: Vito Mercadante,
colloca, ancorché con qualche riserva, il poeta nel secondo romanticismo.
Collocazione non accreditata dal prof. Vito Mercadante, studioso delle opere
dell’omonimo zio, il quale sostiene che l’opera d’arte non vada estrapolata
“dal contesto storico e geografico in cui si realizza” e che non si rende un
buon servizio al poeta salvandone schegge “in seno ad un genere minore quale è
la poesia dialettale”, laddove invece la sua è una poesia “di respiro europeo …
alimentata da una grande cultura e una forte avventura storica, pervenuta … in
Sicilia senza il tramite italiano”.
Focu di Muncibeddu, la riedizione del 1991 Sigma Edizioni Palermo,
voluta dal Comune di Prizzi, è custodito da una sopracopertina di maestosa
suggestione: l’immagine sconvolgente della lava rossa che, come un fiume
incandescente, scorre sinuosa a valle, ammirata da quattro persone in nero, di
spalle, fra le quali una donna con gonna e scialle. Registrata la lieve
discrepanza tra Focu di Moncibeddu,
come impresso nel frontespizio e subito all’interno del volume, Focu di Muncibeddu, come più
diffusamente utilizzato, e talora Focu di
Mungibeddu, il libro, 200 pagine circa e 90 testi in dialetto con “pura e
semplice traduzione, più fedele possibile, nella lingua italiana” a fronte
eseguita dal prof. Vito Mercadante, si apre con la riproduzione in bianco e
nero di una foto di Vito Mercadante.
Filippo Salvatore Oliveri, nel saggio titolato Vito Mercadante un poeta attuale, pubblicato sul giornale
di poesia siciliana numero di dicembre 1991, corredato da una bella
caricatura del Nostro, dichiara: “Con amore e intelligenza, Vito Mercadante
seppe narrare la sua vita con senso critico, valutando anche la sua personalità
e il suo modo di essere religioso. Ma è il suo disporsi agli altri che acquista
dimensione e valore poetico, il suo indugiare sul miracolo della natura che
rinnova e rende libero il verso e il linguaggio della lirica dialettale. Focu di Muncibeddu è il capolavoro di
Mercadante, dove l’amore e la morte si ricompongono senza spezzare i fili della
macchina-memoria, del nostro tempo attanagliato dai motivi contingenti della
vita quotidiana.
Mercadante è sempre tra la folla, calato nel suo popolo, ne esplora l’anima, ne interpreta i sentimenti”; e il nipote prof. Vito Mercadante, in prefazione all’edizione in esame, assevera:
“Ci troviamo di fronte ad un’opera di grande livello artistico, non solo nel solco della poesia dialettale siciliana, ma anche nel percorso di quella nazionale di questo secolo. La prima affermazione che penso si debba fare nei confronti del Poeta è quella di una sua piena intelligenza della situazione in cui si trovò a vivere; la seconda è quella di avere tradotto quella intelligenza in un conseguente impegno di vita e nella costruzione di un personaggio che fosse pari alla necessità della soluzione di questa drammatica situazione”.
Situazione in cui tra gli anni 1893 e 1913: “il numero dei feudi aumenta e quello dei proprietari diminuisce, lo sfruttamento del proletariato agricolo si accentua da parte dei gabelloti. E fu proprio in questo clima che Vito Mercadante, attento lettore delle correnti di pensiero europeo, trasformò il gruppo giovanile del partito socialista in uno schieramento politico attestato sulla linea rivoluzionaria di George Sorel. In Focu di Mungibeddu non un fatto storico attrae l’attenzione del poeta, quanto invece la vita intera di un paese ricamata attraverso una vicenda d’amore.
Il Mercadante seppe rappresentare questo mondo contadino, che era le sue radici, il suo essere più profondo: egli, infatti, andava descrivendo tutti i casi fra cronaca e storia che accadono a Prizzi in quegli anni di forte tensione sociale e politica”.
Mercadante è sempre tra la folla, calato nel suo popolo, ne esplora l’anima, ne interpreta i sentimenti”; e il nipote prof. Vito Mercadante, in prefazione all’edizione in esame, assevera:
“Ci troviamo di fronte ad un’opera di grande livello artistico, non solo nel solco della poesia dialettale siciliana, ma anche nel percorso di quella nazionale di questo secolo. La prima affermazione che penso si debba fare nei confronti del Poeta è quella di una sua piena intelligenza della situazione in cui si trovò a vivere; la seconda è quella di avere tradotto quella intelligenza in un conseguente impegno di vita e nella costruzione di un personaggio che fosse pari alla necessità della soluzione di questa drammatica situazione”.
Situazione in cui tra gli anni 1893 e 1913: “il numero dei feudi aumenta e quello dei proprietari diminuisce, lo sfruttamento del proletariato agricolo si accentua da parte dei gabelloti. E fu proprio in questo clima che Vito Mercadante, attento lettore delle correnti di pensiero europeo, trasformò il gruppo giovanile del partito socialista in uno schieramento politico attestato sulla linea rivoluzionaria di George Sorel. In Focu di Mungibeddu non un fatto storico attrae l’attenzione del poeta, quanto invece la vita intera di un paese ricamata attraverso una vicenda d’amore.
Il Mercadante seppe rappresentare questo mondo contadino, che era le sue radici, il suo essere più profondo: egli, infatti, andava descrivendo tutti i casi fra cronaca e storia che accadono a Prizzi in quegli anni di forte tensione sociale e politica”.
Delineatone, per sommi capi, il panorama
storico-sociale-filosofico, cogliamo alcuni degli spunti che Focu di Muncibeddu ci offre.
Il Primu di Maju, la primaverile festosa giornata dei lavoratori –
l’eccidio di Portella delle Ginestre e quel tragico 1947 sono lontani
dall’essere macchinati – nella quale tutti gli anni rinasce la spiranza
biniditta chi nun mori; circostanza propizia per interrogarsi e scuotere la
propria e l’altrui coscienza: Chi forsi è
liggi di natura? / Unn’è ca è scrittu ca li megghiu spicchi
/ l’havi a mangiari chiddu chi ‘un
lavura?
L’elezioni, servite oggi come allora: Nun mi canusci nuddu, tuttu l’annu / sugnu un viddanu, un tintu
scarpunazzu; / ora su’ tutti cca chi vennu e vannu, / cu’ mi tira la manu e cu’
lu vrazzu; / sinu ‘ncampagna mi vennu a circari, / nun c’è né vu’ né zzu’, ma
Vitu caru; / su’ tutti cirimonii e lu parlari / diventa meli ed era feli amaru.
E, tra le righe di queste tredici quartine di endecasillabi, egli ha modo di imbastire e noi scoviamo un ritratto della classe politico-amministrativa del tempo: lu sinnacu è un birbanti e l’assessura … ci sunnu cosi chi ‘un si ponnu diri, oltre che una sorta di autoritratto del suo carattere, inclusivo della veemente reazione fisica e dialettica nei confronti di chi gli proji la scheda e cincu liri: Ci sbattivu la porta ‘ntra lu mussu, / gridannu: Lu zzù Vitu nun si vinni, / ca è tuttu un pezzu ed un culuri, russu.
E il suo pensiero e il suo essere trovano integrazione, e si stagliano tersi, nel testo Lu cori, alle pagine 144 e seguenti: Iu pensu ca lu munnu è tali e quali / ca tali e quali su’ l’omini granni … ca semu sempri picciriddi, iu sentu / di la prima ura sinu ca si mori; / ’ntra chista vita, ch’è un ciusciu di ventu, / si pensa picca e cumanna lu cori. / Pi mia, sugnu accussì, nun finciu nenti, / portu lu cori supra di la manu; / amu cu tutti li mei sentimenti, / odiu comu lu turcu un cristianu. / Sugnu accussì! Si viu un picciriddu, / la facci zarca, ‘mmenzu di lu fangu, / chi trema, mentri chiovi, pri lu friddu, / sentu lu cori miu chi jetta sangu. / Ma lu suprusu, la supirchiaria, / lu tradimentu, fittu ’n cori resta, / ca nun lu soffru, pri la vita mia! / Mortu ammazzatu, ma ‘un calu la testa! / Tintu ddu foddi chi mi fici un tortu, / ca la so detta cu lu sangu è scritta. … Ma si ‘mmenzu a la furia di li trona, / ‘na vuci dispirata chiama aiutu, / curru, mi vegna tinta o vegna bona;
E, tra le righe di queste tredici quartine di endecasillabi, egli ha modo di imbastire e noi scoviamo un ritratto della classe politico-amministrativa del tempo: lu sinnacu è un birbanti e l’assessura … ci sunnu cosi chi ‘un si ponnu diri, oltre che una sorta di autoritratto del suo carattere, inclusivo della veemente reazione fisica e dialettica nei confronti di chi gli proji la scheda e cincu liri: Ci sbattivu la porta ‘ntra lu mussu, / gridannu: Lu zzù Vitu nun si vinni, / ca è tuttu un pezzu ed un culuri, russu.
E il suo pensiero e il suo essere trovano integrazione, e si stagliano tersi, nel testo Lu cori, alle pagine 144 e seguenti: Iu pensu ca lu munnu è tali e quali / ca tali e quali su’ l’omini granni … ca semu sempri picciriddi, iu sentu / di la prima ura sinu ca si mori; / ’ntra chista vita, ch’è un ciusciu di ventu, / si pensa picca e cumanna lu cori. / Pi mia, sugnu accussì, nun finciu nenti, / portu lu cori supra di la manu; / amu cu tutti li mei sentimenti, / odiu comu lu turcu un cristianu. / Sugnu accussì! Si viu un picciriddu, / la facci zarca, ‘mmenzu di lu fangu, / chi trema, mentri chiovi, pri lu friddu, / sentu lu cori miu chi jetta sangu. / Ma lu suprusu, la supirchiaria, / lu tradimentu, fittu ’n cori resta, / ca nun lu soffru, pri la vita mia! / Mortu ammazzatu, ma ‘un calu la testa! / Tintu ddu foddi chi mi fici un tortu, / ca la so detta cu lu sangu è scritta. … Ma si ‘mmenzu a la furia di li trona, / ‘na vuci dispirata chiama aiutu, / curru, mi vegna tinta o vegna bona;
il triste fenomeno della emigrazione (si vedano i testi L’America
e Amarizzi) in quelle
notti, come tante altre all’epoca, di
lacrimi e di peni … di tragedi e di dulura … in cui erano li megghiu a l’America custritti
giacché, si erge il poeta a portavoce della miseria, delle privazioni, delle
soverchierie patite dalla sua generazione, né
casa, né crapuzzi mi lassaru … / li sbirri, lu guvernu e li parrini / macari lu
tabbutu mi nigaru … e malgrado egli ripeta a se stesso pirchì mi nni haju a jiri / si
sugnu bonu a qualunqui travagghiu,
in certi jurnati, in cui lo sconforto
lo sopravanza, puru a mia, puru a mia …
pinsannu a l’amici già luntani / ed a li cosi mii chi vannu sutta / cu tanti
malannati e tanti tassi, / la fuddia di l’America mi tira;
e, per affinità, l’insofferenza nei riguardi della ferma militare, da
prestare per trenta misi … ‘nca chi sunnu
un jornu?!, la quale, unita alla emigrazione, spoglia e smembra le
famiglie; è il caso di lu zzu Giuseppi e
la gnura Carmela: l’autri figghi a
l’America, ora pigghia, / veni lu re si tira puru a chistu!
Appressandoci alla conclusione di questa essenziale lettura, non
possiamo, ancorché brevemente, non accennare alla persona, Nuzza mia, Nuzza di cira,
e all’avvenimento che hanno segnato la vita di Vito Mercadante, sebbene nun dicu nenti, ’un mi lamentu, / pirchì a lu
munnu la facci chi arridi / comu fussi
cuntentu ci prisentu. La china,
“ventotto sono i sonetti del poema La
china”, proprio come il numero degli anni che aveva la sua fidanzata quando
morì e per cui il Mercadante vestì di nero tutta la vita”, è vilenu amaru, è la malattia, tussi chi lu pettu t’ha strazzatu, è la
morte di Nuzza.
L’invocazione all’amata: Lassalu
lu tilaru; la voglia di andare a lavorare che viene meno: nun haju testa stamatina … nun pozzu lavurari; il responso medico e
la presa di coscienza: Nuzza è malata, / malata di una ‘nfami malatia … di ddu malannu chi ‘un si po curari; l’incredulità: Malata? … possibili ca Nuzza havi a muriri! … possibili … ca la so giuvintù mi po spiriri?;
lo scoramento: iu sugnu pazzu e
sugnu comu un mortu; / nun haju cchiù né paci né risettu; la
preghiera alla Madonna di Tagliavia: dissi
lu credu e poi ‘na avemmaria; la rabbia e la disperazione: siddu mori tu m’haiu annegari … siddu mori tu m’haiu affucari … pri mia lu munnu sanu po siccari … pri mia lu munnu sanu po abbruciari.
L’elezioni
Nun mi canusci nuddu, tuttu l’annu,
sugnu un viddanu, un tintu scarpunazzu;
ora su’ tutti cca chi vennu e vannu,
cu’ mi tira la manu e cu’ lu vrazzu;
sugnu un viddanu, un tintu scarpunazzu;
ora su’ tutti cca chi vennu e vannu,
cu’ mi tira la manu e cu’ lu vrazzu;
sinu ‘n campagna mi
vennu a circari,
nun c’è nè vui nè zu’, ma Vitu caru;
su’ tutti cirimonii e lu parrari
diventa meli ed era feli amaru.
nun c’è nè vui nè zu’, ma Vitu caru;
su’ tutti cirimonii e lu parrari
diventa meli ed era feli amaru.
Stanotti, a mezzanotti,
era curcatu:
tuppi tuppi – Cu’ è ddocu? - Apri, minchiuni -
(Chi sunnu li patruna?) - Ora … curcatu
sugnu - Cca c’è lu sinnacu, putruni. –
tuppi tuppi – Cu’ è ddocu? - Apri, minchiuni -
(Chi sunnu li patruna?) - Ora … curcatu
sugnu - Cca c’è lu sinnacu, putruni. –
Lu sinnacu di notti,
cca, nni mia?!
A pedi ‘n terra affacciu
a la finestra;
lu sinnacu e l’amici ‘ntra la via,
lu puntuneri e na guardia campestra.
lu sinnacu e l’amici ‘ntra la via,
lu puntuneri e na guardia campestra.
Cu’ mi dici ca sugnu di
li fidi,
cu’ mi voli purtari a cunsiggheri,
cu’ mi prumetti li favi e li gidi,
cu’ ca mi livirà l’arti e mesteri:
cu’ mi voli purtari a cunsiggheri,
cu’ mi prumetti li favi e li gidi,
cu’ ca mi livirà l’arti e mesteri:
lu munnu sanu lu fannu e
lu sfannu;
e poi, cuntenti ca sugnu un minchiuni,
mi dunanu la scheda e si ni vannu;
iu mi stinnicchiu supra lu pagghiuni.
e poi, cuntenti ca sugnu un minchiuni,
mi dunanu la scheda e si ni vannu;
iu mi stinnicchiu supra lu pagghiuni.
Un quarticeddu ‘un passa
e sentu arreri
tuppi tuppi a la porta; apru, a cu’ viu?
Don Virticchiu, du’ mastri ed un camperi ...
teniti fermu cannarozzu miu!
tuppi tuppi a la porta; apru, a cu’ viu?
Don Virticchiu, du’ mastri ed un camperi ...
teniti fermu cannarozzu miu!
"Lu sinnacu è un
birbanti e l’assessura
sunnu latri di passu; un cunsiggheri,
scanciu di fari a la chiesa li mura,
ci fici l’oricchini a so muggheri;
sunnu latri di passu; un cunsiggheri,
scanciu di fari a la chiesa li mura,
ci fici l’oricchini a so muggheri;
e nautru ci accattò na
bedda vesta ...
ci sunnu cosi chi ‘un si ponnu diri;
ma nui, vui lu sapiti, genti onesta”
… e mi proji la scheda e cincu liri ...
ci sunnu cosi chi ‘un si ponnu diri;
ma nui, vui lu sapiti, genti onesta”
… e mi proji la scheda e cincu liri ...
Binidittu l’amuri chi mi
tinni!
Ci sbattivu la porta ‘ntra lu mussu,
gridannu: lu zu’ Vitu, nun si vinni,
ca è tuttu un pezzu ed un culuri, russu;
Ci sbattivu la porta ‘ntra lu mussu,
gridannu: lu zu’ Vitu, nun si vinni,
ca è tuttu un pezzu ed un culuri, russu;
e lu sapemu, tutti latri
siti,
lu sapemu pirchì v’arriminati,
quannu a la casa granni vi junciti
macari li maduna ci scippati.
lu sapemu pirchì v’arriminati,
quannu a la casa granni vi junciti
macari li maduna ci scippati.
Faciti li cuntratti a
fantasia
cu l’amici cchiù latri e
sbrigugnati;
pagati na crapuzza comu a mia
ed aviti li mànnari fidati.
pagati na crapuzza comu a mia
ed aviti li mànnari fidati.
Cumarca di latruna,
jitivinni,
ca tutti li sapemu, li magagni;
va jitivi a circari a cu’ si vinni;
iu votu cu la lega, su’ cumpagni!
ca tutti li sapemu, li magagni;
va jitivi a circari a cu’ si vinni;
iu votu cu la lega, su’ cumpagni!
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