RICORDO DELLA ZÀ MARICCHIÈ
Quando
si pensa alla zà Maricchiè, viene spontaneo
richiamare quell’episodio del vangelo di Luca in cui Gesù rivolgendosi
ad una delle sorelle di Lazzaro la esorta ad occuparsi delle
cose spirituali.
“Marta,
occupata nelle varie faccende domestiche, si fece avanti e disse:
- Signore, non
t’importa che mia sorella mi lasci sola a servire? Dille che mi aiuti. - Ma il
Signore le rispose: - Marta, Marta, tu t’inquieti e ti
affanni per molte cose; ma una sola è necessaria: Maria ha scelto la parte
migliore.”
Ebbene, si può dire che la zà Maricchiè,
così detta e così universalmente conosciuta, ovvero Maria Castiglione, nata nel
lontano 1908, di cui ricordiamo con affettuosa familiarità la figura piccola,
minuta ma energica, per metà della sua vita abbia fatto la parte laboriosa di
Marta e per l’altra metà quella mistica di Maria.
Nella
prima parte, diciamo così, della sua vita, la zà Maricchiè è stata la signora
Licata, moglie solerte e sodale del marito: a dorso della mula baia, rossa in
viso sotto un sole cocente, la testa fasciata da un fazzoletto bianco, si
indirizzava verso la campagna in contrada Garamoli-Roccarussa dove non si
risparmiava ad aiutare il marito curando l’orto e coltivando terreni. Chi
andava a trovarla, d’estate, veniva
colpito dalla sua perizia
nell’assolvere le incombenze campagnole,
da come teneva pulita la minuscola
casa d’abitazione detta in dialetto “cubbuluni”: piena come un uovo ed
ordinatissima.
Nel 1964 le
muore il marito e la zà Maricchiè, a cinquantasei anni, senza figli, dopo un
periodo di doloroso lutto, non si rassegna a consumare la sua esistenza nel
ruolo infruttuoso della vedova pensionata, senza motivazioni e senza interessi.
Incomincia a frequentare la chiesa parrocchiale, sicuramente esaudendo un
antico quanto intimo desidero. Sempre ricordava, con commozione, gli
insegnamenti religiosi ereditati dalla madre morta giovanissima.
Iniziata
dalla zà Ciccina e dalla signorina Salvina, alla frequenza del servizio
liturgico, alle mille pratiche di devozione, la zà Maricchiè, che pur aveva
frequentato solo qualche anno la scuola elementare, inizialmente timorosa e
impacciata, via via ha appreso alla perfezione a districarsi tra casule,
piviali, messe in albis, recite di rosario in dialetto e latini tantum ergo, ad impartire il catechismo
ai più piccoli; osservare i primi venerdì del mese in onore del Sacro cuore di
Gesù e i prescritti sabati mariani; allestire l’altare maggiore per le
Quarant’ore; adornare in modo quasi artistico il “sepolcro” del Giovedì Santo;
registrare gli iscritti al Terz’ordine carmelitano; aggiornare le pagelline
dell’Opera del Suffragio in memoria dei defunti...
Nel 1968
avveniva il cambio della guardia alla Parrocchia del Carmelo: a Padre Puma
succedeva Padre Martorana e la zà Maricchiè è venuta assumendo sempre più le funzioni di una
fiduciaria di fatto, tanto che è divenuta col tempo un’istituzione.
Ormai era
dedita a tempo pieno alla parrocchia dal momento che aveva assunto
generosamente l’impegno di assolvere gli aspetti pratici che il funzionamento e
il decoro di una chiesa parrocchiale richiedono: aprire e chiudere la chiesa,
suonare le campane, i manutergi e le tovaglie di lino da lavare e stirare alla
perfezione, pulire i pavimenti, spolverare i tappeti, governare i fiori, ecc.
In alcune di
queste mansioni la zà Maricchiè è stata a sua volta coadiuvata da altre
volontarie, giovani e meno giovani, ma sempre sotto il suo sguardo vigile,
sotto la sua diligente regia che esercitava con una sorta di autorità.
Si sentiva
responsabile anche della buona salute e della serenità del parroco che cercava
di “difendere” e preservare, come una mamma, cercando di filtrare a suo modo le
mille richieste a cui un parroco beneamato solitamente è sottoposto.
Si sentiva
insomma responsabile del buon andamento della parrocchia in tutti i suoi
molteplici aspetti.
In
conclusione, può dirsi sorprendente come la zà Maricchiè, calatasi con
naturalezza nella parte della evangelica Maria, non abbia ripudiato l'altra
dimensione, quella di Marta, anzi ha saputo sintetizzare e armonizzare le due
dimensioni.
Il suo umile
comportamento, alla fine, ha assunto inconsapevolmente il valore di una
testimonianza: quando a causa più della malattia che della vecchiaia, non ha
potuto più frequentare l’amata parrocchia, la sua assenza è stata avvertita da
tutti come un vuoto.
Epperò il
suo esempio non ha mancato di dare i suoi frutti in tante e in tanti
parrocchiani, giovani e meno giovani, a cui ha voluto bene e dai quali è stata
voluta bene.
Questo penso
sia il miglior ricordo che alla zà Maricchiè sarebbe piaciuto lasciare di
sé.
"Popolo im cammino" numero unco, 2003 [PDF]
Foto di mia proprietà
"Popolo im cammino" numero unco, 2003 [PDF]
lumie di sicilia n. 51 - Associazione Culturale Sicilia Firenze
www.sicilia-firenze.it/upload/files/lumie_n51.pdf
Ricordo della Zà Maricchiè - Ecclesia Racalmuto
www.ecclesieracalmuto.it/.../index.php?...za...
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