Racconto inserito nel volume collettaneo Italo. Storie di animali di prossima pubblicazione.
1.
Flora, la gazza ladra
Racconto di Piero Carbone
Quella sera
ho pianto.
Per una gazza ladra.
Nonostante mi vergognassi un po’ di quel pianto, ho appeso al muro della
stanzetta una sua foto sotto vetro. E le ho dedicato una poesia.
Quasi fosse
una persona a cui può legarsi un ventenne.
Ero
studente universitario e mentre facevo un giro in bicicletta vidi un ragazzo
che seduto su uno scalino giocherellava con un uccello dalle penne nere e dalla
coda bianca. Era una scena abituale al mio paese vedere nel mese di maggio
ragazzi trastullarsi con uccelli di primo volo o sottratti ai nidi dai genitori
per regalarli ai figlioletti. – Lo vuoi? - mi disse quel ragazzo. – Tanto, lo
devo buttare. – Lo presi.
All’indomani,
Flora, la gazza ladra che ancora non aveva messo su tutte le penne per volare,
fece con me il suo primo viaggio dentro una scatola di scarpe bucherellata, da
Racalò a Palermo. Una volta arrivati, le trovai una sistemazione nel soppalco
della stanzetta al Pensionato universitario “San Saverio”. Comprai del fegato al vicino mercato “Ballarò”. Presi la piccola gazza dal
soppalco, la poggiai sul davanzale della finestra e l’imboccai. Terminata
l’operazione, la riposi nella scatola senza coperchio. Appena una breve pausa e
subito a studiare.
Si avvicinava il periodo più intenso dell’anno accademico
con la sua raffica di esami. In tutto “San Saverio” i cervelli fumavano. Nel
pomeriggio c’era un silenzio surreale. Io portavo avanti lo studio di tre
materie contemporaneamente ma quella che mi appallava di più era la Teoretica. “Il pensiero
che pensa se stesso e nel gioco dialettico con l’infinito misura la propria
finitezza, etc. etc. etc.”. Roba da super intelligenti. O da depressi.
Un rumore per fortuna mi distrasse. Mi girai
verso il soppalco e vidi Flora scavalcare la scatola e dal soppalco lanciarsi
verso di me. Planò sulla mia testa. Saltò sulla spalla, beccò i lobi senza
orecchini, dalla spalla sul davanzale della finestra e infine sul terrazzo che
ricopriva i quattro lati del porticato. La mia stanzetta era al primo piano,
potei saltare anch’io sul terrazzo e riprenderla subito. Ma quando il giorno
dopo ripeté la stessa acrobazia, la lasciai passeggiare, libera, sul terrazzo,
sotto gli occhi rilassati degli studenti che si affacciavano dalle finestre dei
quattro lati interni del Pensionato.
Questo rito
durò una settimana; qualcuno incominciò a mormorare; qualche altro sibilò che
“l’amico dell’uccello nero dalla coda bianca” fosse esaurito o che addirittura
avrebbe “soffiato” al direttore del Pensionato quella presenza animalesca,
proibita dal regolamento. Gli impiegati della mensa, però, ogni giorno avevano
la premura di mettere da parte frattaglie di carne per lo studente del primo
piano. Fatto sta che appena gli studenti non videro per due pomeriggi di
seguito la gazza ladra trotterellare sul terrazzo, vennero a bussare per
chiedere sue notizie.
Dissi che si era spezzata una zampetta. Una studentessa
in medicina, con cui in seguito saremmo diventati amici, si offrì all’istante
di rimediare e fissò la zampetta rotta con uno stecco rigido. All’indomani, con
piacevole sorpresa, lungo il terrazzo, tutti gli studenti poterono vedere
divertiti la gazza incerottata e più saltellante di prima.
Dopo un
mese la zampetta era perfettamente guarita e l’esame di Teoretica era andato
benino. Mi rimanevano quelli di Filosofia morale e di Psicologia. Ero stanco,
ma Flora mi teneva occupato e mi faceva distrarre. Leggevo Kant quando la vidi volare per la
prima volta. Prese un’altra abitudine: subito dopo il pranzo, andava ad
appollaiarsi sul tetto del Pensionato e rientrava nella stanzetta nel tardi
pomeriggio, all’imbrunire. Solo allora chiudevo la finestra. E mi sentivo in
compagnia.
Qualche volta le parlavo, specialmente alla vigilia degli esami, e avevo
la sensazione che gorgogliasse qualcosa in risposta.
Ma una
sera, ahimè, ritornando al Pensionato, dopo essere stato in pizzeria per
festeggiare l’esame di Psicologia, trovai una brutta sorpresa. Me ne accorsi
appena aprii la porta della stanzetta, guardando la finestra. Avevo chiuso
inavvertitamente le ante prima di uscire, non pensando che Flora era già
volata, come d’abitudine, sul tetto del
Pensionato. Avrà sicuramente tentato di rientrare prima di sera; forse avrà
sbattuto, facendosi male, contro i vetri della finestra chiusa. Speravo di
trovarla sul davanzale, su uno dei quattro lati del terrazzo, o che addirittura
si fosse imbucata in un’altra stanzetta con la finestra aperta. Attaccai
perfino un avviso in portineria. Niente. Nessuno l’aveva vista.
Nell’abbassare
la serranda, prima di andare a letto, avvertii una specie di vuoto, quasi
l’assenza di una persona vera. Piansi. Incominciai a scrivere. Riaprii la
serranda, preparai il caffè, e rimasi più di un’ora a guardare e riguardare il
terrazzo, il tetto del Pensionato, la palma immobile al centro del cortile
sotto una bellissima luna.
2.
A Flora
A la
carcarazzòtta c’addrivavu / e nun turnà cchjù.
Alla gazzaladra che ho allevato / e che non è più tornata.
Fusti pi mia un
suonnu.
D’unni vinisti un
sappi,
un misi di vita
assiemi
fusti ccu mia
sullena;
duoppu ti nni
scappasti.
Chistu un lu pozzu
cridiri
né ancora oi lu
sacciu
quali fu la to sorti:
la libbirtà o la
morti.
Ma si si’ ancora viva
spirticchja e
rumutusa,
nun ti scantari,
torna,
un fàriti apprïari.
E allegrami li jorna.
Fosti
per me un sogno. // Donde venisti non l’ho mai saputo, / un mese di vita
insieme / sei stata con me giuliva;// dopo sei scappata. // Questo non posso credere / né ancora oggi lo
so / quale è stata la tua sorte: / la
libertà o la morte. // Ma se sei ancora viva, / scaltra e giocherellona,
/ non temere, torna, / non farti pregare.
// E rallegrami i giorni.
Le foto 1e 3, molto recenti, sono di Giuseppe Sardo Viscuglia, fotografo "naturalista".
La foto 2, senza pretese tecnico-estetiche, ritrae Flora sul terrazzo del Pensionato Universitario "San Saverio" a Palermo, 1980 o 1981.
La foto 2, senza pretese tecnico-estetiche, ritrae Flora sul terrazzo del Pensionato Universitario "San Saverio" a Palermo, 1980 o 1981.
confessa....hai anche tu un'anima nera...non è possibile tutto questo.................. :-)
RispondiEliminaMaria Angela Pupillo
RispondiEliminasu fb in data 10 maggio 2013:
Ho letto "Ho pianto per Flora" pubblicato nel volume di cui mi hai parlato, riflettendo bene sull'azione che è il file rouge del racconto: il "prendersi cura". Atto, questo, diretto a qualcuno o a qualcosa che coinvolge la persona che decide di agire su ogni piano emozionale: è l'azione in se stessa,indipendentemente dall'oggetto della cura, che è magica, perché comporta un decentramento per ritornare però a se stessi."Prendendosi cura" ci si fa automaticamente del bene, si lavora per un'automedicazione interiore. Se ognuno potesse rendersi conto della capacità di trasformazione insita nel prendersi cura di qualcosa, il mondo stesso si trasformerebbe. All'istante.