“-
Ma siete siciliano, voi?
- perché no?”
Elio
Vittorini, Conversazione in Sicilia.
“Di un fotografo per comprenderne un altro. Di Richard
Avedon, americano, per parlare di Mario Virga. Siciliano. Perché no?
Racconta Richard Avedon: “Un uomo giovanissimo stava
disteso sul tavolo anatomico, aperto dalla gola a… fino in basso, con la cassa
toracica spalancata. I piedi sporgevano oltre il bordo del tavolo, come quelli
di un bambino oltre l’orlo del letto ed erano perfetti, inconciliabili con quel
cadavere fatto a pezzi”.
Quello che era stato il dramma di un uomo, per il
fotografo si risolveva in un reportage. Analoga operazione compie Mario Virga
ma con i Misteri di Trapani, il Festino, i “misteri” e i “festini” di tanti
altri luoghi: egli ritrae le nostre care feste religiose, cadaveriche,
annoiate, e le fa esplodere in deflagranti rossi, in psichedelici gialli, in
falsoazzurri setosi. Rivitalizza così ciò che era diventato anemico.
Specularmente, degli stessi avvenimenti religiosi abbiamo
immagini in bianco e nero che vorrebbero essere, nella loro immota compostezza,
più rassicuranti. Ma lo sono? L’umanità col suo debito mai placato verso il
trascendente sembra interpretata da un collaudato cast di attori.
Il Nostro, nel bel mezzo della festa, mentre il Santo
procede, osserva, partecipa, individua soggetti, sceglie pose: la smorfia di
chi erompe in canto, il gemito inaudito di chi è sovrastato dal sacro peso del
fercolo, la donna boteriana, l’aggrinzita anziana, l’uomo compiaciuto che
ostenta il gagliardetto, volti fanciulleschi che esprimono innocenti
malinconie, un cane beffardo che bellamente se la dorme.
Un campionario di espressioni è colto con la leggerezza
di un battito di ciglia. Cosa può importare, per il resto, se il fotografo,
tutto preso dal suo compito, immerso in quello spettacolo, si fa coinvolgere
dalla commozione religiosa – ammesso che ci sia – o resta distaccato magari
come Avedon?
L’importante è che fotografi, e sicuramente i “fotodrammi”
siciliani di Mario Virga andranno ad arricchire – con la loro peculiarità del
bianco e nero – un già ricco e prestigioso patrimonio di immagini che del mondo
siciliano finora ha espresso non soltanto l’esteriorità”.
Così scrivevo nel 1998,
presentando la prima mostra fotografica di Mario Virga al Palazzo municipale di
Caltanissetta. Affettuosa testimonianza
di stima, la mia, ma prefigurando uno sviluppo, un discorso che si sarebbe venuto dispiegando nel tempo.
Un discorso che, in margine ad
impegni professionali molto pratici,
l’ha portato ad allargare
l’orizzonte degli interessi tradizionalmente siciliani, guardando ad altri
modelli “non siciliani”, ad altri contenuti, ad altre sensibilità estetiche, ad
altro taglio nell’inquadratura della realtà.
Era questo il senso originario del
rimando all’americano Avedon, l’indicazione di un processo che l’avrebbe potuto
portare lontano dai “maestri siciliani”, a partire proprio da loro.
Scomponendo l’articolazione
dell’impianto cromatico e iconografico iniziale, infatti, Mario Virga, sia con
la rivisitazione delle Processioni religiose sia con gli scatti di Burano del 2012, attraverso i vitrei sguardi cromatici geometricamente definiti, potrebbe collocarsi su una traiettoria che
dagli iniziali fotodrammi siciliani permeati
di umanità lo fa pervenire ai “fotolemmi” ovvero ai particolari apparentemente
insignificanti di una realtà che però viene ricreata mentalmente in una
composizione che richiama molto la pittura, e quindi la foto artistica.
P.C.
M'imbatto oggi in un post interessantissimo su Richard Avedon che citavo a suo tempo quando ho presentato la mostra di Mario Virga.
RispondiEliminaEcco l'indirizzo:
http://nastasicilia.blogspot.it/2012/12/la-sicilia-del-47-richard-avedon.html