Una volta mi è stato chiesto di commentare un detto racalmutese venuto fuori durante un incontro organizzato sul tema “Solidarietà e saper vivere in comunità”. La richiesta è stata così affettuosamente motivata: “Abbiamo quindi voluto saperne un tantino di più e siamo ricorsi alla lietissima collaborazione dello scrittore racalmutese etc. etc.”. Bontà loro!
A chiedermelo sono stati alcuni ragazzi che avevano dato vita ad un “foglio” locale, uno di quei giornali a “numero unico” o quasi nato sull’onda dell’entusiasmo giovanile quando nella fisiologica esigenza e voglia di affermarsi si vuol mettere sottosopra il mondo e contestarlo e rivoluzionarlo, per appropriarsene in qualche modo, in fondo.
In omaggio a quel garibaldino entusiasmo, ricambio con altrettanta affettuosa stima, fors'anche per ricavarne postume morali.
In omaggio a quel garibaldino entusiasmo, ricambio con altrettanta affettuosa stima, fors'anche per ricavarne postume morali.
Il combattivo manipolo che ricordo in ordine sparso era costituito da Salvatore ed Enza Pinò, Salvatore Picone, Florinda Collura, Annarita Formoso, Giovanna Macaluso, Giusi Ruggeri e Luigi Falletti che, prima di sbaraccare, eroicamente ha cercato di arginare la diaspora dei redattori, di alcuni volontaria di altri costretta. Discreto nume tutelare, Sergio Scimè.
A distanza di sedici anni, l’ormai laureata Florinda Collura fornisce la seguente testimonianza: “È stata un'esperienza bellissima, anche travolgente, visto che non avevo mai fatto parte di una redazione giornalistica. Mi è servita tanto questa esperienza sia perché si viene a contatto con le persone, si discute, si dibatte... e sia perché secondo il mio parere nella vita è importante esporre le proprie idee, i propri pensieri, ascoltare quelli altrui e sapersi confrontare l'uno con altro...!!”
Puntuali come ogni migrar di rondini, questi giornali o “fogli cittadini” di commento e cultura, compaiono all’affacciarsi di ogni generazione: diventano una bandiera, un partito sui generis, il luogo di ritrovo di un gruppo di amici, la pista di lancio verso le destinazioni più impensate. E ogni volta si assiste al pressoché identico spettacolo di reazioni degli adulti o della "concorrenza": sorpresa, sottovalutazione, sgomento, opposizione sotterranea, guerra dichiarata dietro formule beneaugurali di circostanza fino al tentativo di neutralizzare l’intruso con ammiccanti promesse.
Mi è accaduto diverse volte di partecipare al battesimo di queste “creature” e ogni volta, convinto della loro validità sociale e formativa, l’ho fatto con piacere, contribuendo con articoli, consigli e qualche volta rivedendo le bozze in tipografia; chi è immune da sviste e refusi?
È quasi fisiologico: esaurita la “spinta propulsiva”, alcuni di questi “abusivi” della professione giornalistica si disperdono lungo le strade della vita lavorativa con percorsi lontani da quell’esperienza di militanza pubblicistica.
Altri, nell’euforia di trasformare in lavoro stabile l’acerba effusione o "eruzione giornalistica", svendono quel sogno di intraprendenza giovanile per inseguire chimere simili più allettanti.
In conclusione, si può dire che solitamente questi fogli garibaldini esprimono la voce dei giovani, a cui, malinconicamente segue, quando resistono all’usura del tempo, e persistono, un silenzio da vecchi: un silenzio particolare, costituito stranamente da molte parole afone.
Né ho mai compreso, o voluto comprendere, la volontà di chi, appena messo piede in una redazione giornalistica vera, ha decretato, lontano dal paese, accavallando una gamba sull'altra, la morte del giornaletto su cui agli inizi aveva compitato le prime cronache paesane e che gli era servito da trampolino di lancio.
A tale distaccato e opportunistico atteggiamento opposi la ragione che un giornale è sempre positivo che viva, che ci sia, perché, sebbene per approssimazione, rappresenta la coscienza critica di una collettività, di un paese, in quel caso del nostro paese: paese particolare, a dire il vero, non solo per il suo retroterra storico
e culturale ma anche perché ai tempi nostri ha dato i natali ad uno scrittore
di irradianti echi e di vorticose curiosità giornalistiche.
In questo ambiente, per chi ha avuto naturali predisposizioni rabdomantiche, è stato molto agevole captare strategiche conoscenze.
Se non fosse stato per l'effetto Sciascia, molto probabilmente il giornalismo italiano non avrebbe avuto l'apporto di tanti valenti
giornalisti di cui pullulano le nostre amate plaghe, almeno nelle stesse forme e nelle stesse valenze. Chissà! Forse ci sarebbero state più circoscritte esperienze.
A questo paese pertanto un qualche merito bisognerebbe ascriverlo e con esso sarebbe doveroso sdebitarsi.
Figueres, Teatro-Museo Dalì, 2010
Comunque, da tutto si può ricavare una morale: la dimenticanza, a braccetto
dell’ingratitudine, può trasformare la voce di un giovane in un silenzio da
vecchi, e non un silenzio da misurarsi in decibel o in fogli bianchi ma in
strumentali ciarle pseudoadulte.
C'è pure da dire che, anche a prescindere da mire carrieristiche, raramente i giornali “giovanili” sfuggono all’inesorabile legge secondo la quale appena diventano giornali di adulti, da adulti, e si stabilizzano, uccidono il sogno giovanile di libertà espressiva perché gli smaliziati redattori non fanno più “opposizione” e incominciano a “calcolare” quello che debbono o non debbono pubblicare indulgendo a reticenze e mistificazioni, trasformando le notizie e gli spazi cartacei e non cartacei in merce di scambio, in regali per gli amici e in pietrate per i nemici: oscillando tra prudentissimi silenzi e calcolati strepiti. Altro che coscienza critica! E' il funerale dell'iniziale entusiasmo.
Importante, comunque, è non invecchiare moralmente sotto i colpi e contraccolpi delle vicissitudini della vita reale, non incarognirsi nella dimensione sociale, fino a diventare cinici, come nel modo di dire che quei ragazzi della "Voce dei Giovani" tanti anni fa mi hanno chiesto di commentare sul loro giornale. Il detto era: La spina n capu di l'antri è moddra comu la sita.
La Pradera di Gaudì, 2010
Per non dimenticare: omaggio alla voce del tenore racalmutese Salvatore Puma (visualizzato ad oggi su you tube 441 volte):
http://www.youtube.com/watch?v=w9kBrIKDJi0
Puntuali come ogni migrar di rondini, questi giornali o “fogli cittadini” di commento e cultura, compaiono all’affacciarsi di ogni generazione: diventano una bandiera, un partito sui generis, il luogo di ritrovo di un gruppo di amici, la pista di lancio verso le destinazioni più impensate. E ogni volta si assiste al pressoché identico spettacolo di reazioni degli adulti o della "concorrenza": sorpresa, sottovalutazione, sgomento, opposizione sotterranea, guerra dichiarata dietro formule beneaugurali di circostanza fino al tentativo di neutralizzare l’intruso con ammiccanti promesse.
Mi è accaduto diverse volte di partecipare al battesimo di queste “creature” e ogni volta, convinto della loro validità sociale e formativa, l’ho fatto con piacere, contribuendo con articoli, consigli e qualche volta rivedendo le bozze in tipografia; chi è immune da sviste e refusi?
È quasi fisiologico: esaurita la “spinta propulsiva”, alcuni di questi “abusivi” della professione giornalistica si disperdono lungo le strade della vita lavorativa con percorsi lontani da quell’esperienza di militanza pubblicistica.
Altri, nell’euforia di trasformare in lavoro stabile l’acerba effusione o "eruzione giornalistica", svendono quel sogno di intraprendenza giovanile per inseguire chimere simili più allettanti.
In conclusione, si può dire che solitamente questi fogli garibaldini esprimono la voce dei giovani, a cui, malinconicamente segue, quando resistono all’usura del tempo, e persistono, un silenzio da vecchi: un silenzio particolare, costituito stranamente da molte parole afone.
Né ho mai compreso, o voluto comprendere, la volontà di chi, appena messo piede in una redazione giornalistica vera, ha decretato, lontano dal paese, accavallando una gamba sull'altra, la morte del giornaletto su cui agli inizi aveva compitato le prime cronache paesane e che gli era servito da trampolino di lancio.
A tale distaccato e opportunistico atteggiamento opposi la ragione che un giornale è sempre positivo che viva, che ci sia, perché, sebbene per approssimazione, rappresenta la coscienza critica di una collettività, di un paese, in quel caso del nostro paese: paese particolare, a dire il vero, non solo per il suo retroterra storico
e culturale ma anche perché ai tempi nostri ha dato i natali ad uno scrittore
di irradianti echi e di vorticose curiosità giornalistiche.
In questo ambiente, per chi ha avuto naturali predisposizioni rabdomantiche, è stato molto agevole captare strategiche conoscenze.
Se non fosse stato per l'effetto Sciascia, molto probabilmente il giornalismo italiano non avrebbe avuto l'apporto di tanti valenti
giornalisti di cui pullulano le nostre amate plaghe, almeno nelle stesse forme e nelle stesse valenze. Chissà! Forse ci sarebbero state più circoscritte esperienze.
A questo paese pertanto un qualche merito bisognerebbe ascriverlo e con esso sarebbe doveroso sdebitarsi.
Figueres, Teatro-Museo Dalì, 2010
Comunque, da tutto si può ricavare una morale: la dimenticanza, a braccetto
dell’ingratitudine, può trasformare la voce di un giovane in un silenzio da
vecchi, e non un silenzio da misurarsi in decibel o in fogli bianchi ma in
strumentali ciarle pseudoadulte.
C'è pure da dire che, anche a prescindere da mire carrieristiche, raramente i giornali “giovanili” sfuggono all’inesorabile legge secondo la quale appena diventano giornali di adulti, da adulti, e si stabilizzano, uccidono il sogno giovanile di libertà espressiva perché gli smaliziati redattori non fanno più “opposizione” e incominciano a “calcolare” quello che debbono o non debbono pubblicare indulgendo a reticenze e mistificazioni, trasformando le notizie e gli spazi cartacei e non cartacei in merce di scambio, in regali per gli amici e in pietrate per i nemici: oscillando tra prudentissimi silenzi e calcolati strepiti. Altro che coscienza critica! E' il funerale dell'iniziale entusiasmo.
Importante, comunque, è non invecchiare moralmente sotto i colpi e contraccolpi delle vicissitudini della vita reale, non incarognirsi nella dimensione sociale, fino a diventare cinici, come nel modo di dire che quei ragazzi della "Voce dei Giovani" tanti anni fa mi hanno chiesto di commentare sul loro giornale. Il detto era: La spina n capu di l'antri è moddra comu la sita.
La Pradera di Gaudì, 2010
http://www.youtube.com/watch?v=w9kBrIKDJi0
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