Rahal Mauth è etimo controverso di Racalmuto, corretto, integrato, stravolto, fino a significare l'opposto del senso originario.
Per storici e filologi anche l'etimologia di un nome può essere campo di battaglia, con tanto di vessilli e macchine da guerra.
Ma il Rahal Mauth di Calogero Restivo difficilmente verrà espugnato, smontato, contraddetto, perché la disciplina seguita per sancirne la veridicità esula da quella degli storici e dei filologi: egli stesso l'ha inventata, e si chiama nostalgia. Una disciplina così poco oggettiva e disciplinata da identificarsi con l'unicità della sua esperienza, col suo amore di esule "in casa" poiché, volendo, si è allontanato di poco dal teatro della sua infanzia, ma la distanza o meglio il lene distacco gli ha fatto acquisire una dimensione sognante e al tempo stesso più nitida dei ricordi, dei luoghi quotidianamente vissuti, delle passioni ravvicinate. Distanza fisica e lontananza nel tempo hanno un prezzo che viene ripagato dall'altezza della visione che ricompone nell'affettuosa geometria di un presepe la puntiforme realtà.
Rahal Mauth, storicissimo, poiché coincide con il periplo di un'esistenza, esula e trascende le singole vicende storiche. Semplicemente è. Semplicemente? Trenodia di un amore, ricomposizione di sparsi frammenti d'esistenza, di ieri e forse dell'oggi. Musica. Spiritualizzata musica. Parole come puro inchiostro e puro suono con cui ciascuno, a partire da quelli, nel ricordo di "quel" senso e di "quel" suono, può modulare i propri sentimenti e le proprie nostalgie. La vera poesia non è mai solo per sé.
Rahal Mauth
Rahal Mauth
Vorrei poter cantare di tue limpide acque
che lambiscono verdi sponde ed ombrose
di ruscelli garruli di pietre e ansia di ritorni
che sanno di neve disciolta nel pugno
di castelli di fiaba e di foreste fitte
che a stento il sole attraversa
desideri che in visioni il sogno trasforma.
Nella memoria stampato è il ricordo
delle tue case di gesso
strette accanto ai campanili
come pecore negli ovili
del passo dei contadini a sera
grave della stanchezza di secoli
del sorriso della tua gente
amaro e disincantato
di chi tutto ha visto e compreso
… e dei silenzi.
In te ho vissuto primi sogni e primi amori
e delusioni che bruciavano come ferri roventi
usati un tempo
per imprimere il segno del possesso
agli animali.
Estati eterne
che annegavano nell’afa e nella noia
ed inverni lunghi
che disegnavano lacrime di umidità
sulle pareti di calce.
Nelle notti che fulmini fendevano tenebri
con luce sinistra
e i tuoni ululavano con voce di lupi affamati
non ti accorgevi o non ti curavi
che abbracciato a me stesso
nel buio della mia stanza tremavo di paura.
Mi hai regalato illusione che al di là della gola
in cui le montagne quasi si toccano
ferro di cavallo
posato su un deserto di polvere e pietre
ci fosse il mare
fatto di porti vivi di vele e di barche
cullate da onde ammansite
e genti dalla parlata esotica
con cui inventare l’avventura.
Quando d’estate
dai balconi della mia casa
osservo i tramonti tinti di rossi accesi
che nemmeno nubi di passaggio
riescono a macchiare
mi sembra di riconoscere quelli
conservati intatti nei ricordi
che bambino seguivo con occhi incantati
fino agli ultimi orizzonti dal dirupo “La Guardia”.
Invidiavo gli uccelli
che spiccato il salto nel vuoto
planavano verso valle
in un volo silenzioso e leggero
di piume sull’acqua
cullate da onde appagate di moti tempestosi.
Certo era il sorgere del sole a vincere le tenebri
e le primavere
anticipate dal fiorire di mandorli
giù nella vallata
quando sulla montagna nubi danzavano ancora
al soffio anche violento di venti di tramontana.
C’era il sorriso di mia madre
quando stanco e deluso
ritornavo nel chiuso della casa
a rinvigorire di speranze le illusioni
che la vita ogni giorno annientava
come i fiori di pesco esposti ai raggi violenti
di estivo sole di deserto.
Intento ad inseguire sogni
ho incontrato la vita
che con lusinghe ed inganni
alternando voli a rovinose cadute
come fa il vento con le foglie morte
quando con sordi tuoni e freddi lampi
inventa la tempesta
ha reso vani i desideri di ritorni.
Ora so che ti appartengo come l’erba
nata da zolle dure come pietre
che cresce stentata
sui monti che ti comprendono
come i fichi d’india selvatici ed incolti
lungo stradoni polverosi
come le campane delle tue chiese
rauche sempre e stonate
anche quando suonano a festa
come i mesi d’inverno ricchi di nebbia
che infradicia le ossa dei contadini
asserviti ad una terra avara di raccolti
come i tuoi campi dipinti in estate
del giallo monotono ed intenso
delle stoppie riarse.
Di te ho nostalgia
delle tue strade strette e polverose
dei tuoi vicoli silenziosi
stampati nella memoria
come quadri appesi alle pareti
e degli affetti che custodivi.
Dalla raccolta di Calogero Restivo, Rahal Mauth (e le altre)
Immagini scannerizzate dal catalogo di Andrea Arcuri, Voci nel silenzio, a cura di Eugenio Giannone, Alcamo s.d. (Testi critici di Giovanna Calvo Di Ronco, Giovanni Cappuzzo, Pino Amatiello, Eugenio Giannone, Lucia Rocca, Cesare Sermenghi, Santi Correnti, Nuccio Mula, Anna Cacciola, Enzo Gonano, Miriam Argento, Piero Carbone, J. Jean, Gioacchino Mistretta, Juri Camisasca)
Ho abitato cosí vicino al mare , da riceverne gli spruzzi sui vetri delle finestre, quando era in tempesta . La mia casa oggi si trova ad una distanza piú sicura , ma continuo a vederlo tutti i giorni , ed é diventato per me una presenza cosí importante da non poterne piú fare a meno . Da Rahal Mauth non si vedeva cosí anch´io l´ho immagginato " Al dí lá della gola in cui le montagne quasi si toccano " . Bellissima poesia .
RispondiEliminaGrazie due volte: all'autore della bellissima presentazione e grazie al Signor Eduardo Chiarelli che con tanta cortesia rivolge parole di apprezzamento al (mio) modesto
RispondiEliminaomaggio al nostro "paese"
Ancora un grazie per la cortese attenzione e per la impegnata e accurata presentazione di un momento di accorata nostalgia.
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