Tegole antiche o canàla |
Aggiungevano sale all'argilla: di questo speciale impasto erano le tegole con cui si ricoprivano i tetti delle case. E il sale, si sa, è sapienza, intelligenza.
Con quest'arte antica Angelo Martorelli e suo fratello Pietro detto "il bersagliere" hanno steso un virtuoso manto protettivo sulle teste dei racalmutesi.
Con le tegole moderne non piove acqua nelle case ma, intelligenza parte, occorrerebbe un nuovo impasto che non lasciasse trapelare alcun tipo di dannose precipitazioni né in senso proprio né in senso figurato.
Tegole antiche e sopraggiunte tegole moderne |
Stoviglie, risalenti al periodo arabo del IX e X secolo, sono
state rinvenute presso la reggia kalbita di Maredolce a Palermo durante i
lavori di restauro. È risaputo che anticamente esistevano stoviglie in
terracotta da intendere ieri come oggi: il complesso dei pezzi di vasellame per
uso di tavola e di cucina. Fors’anche a Racalmuto, di origini arabe, gli
antichi stovigliai ne fabbricavano. Ma non vi sono reperti a testimoniarlo.
Anche il nome primevo di stovigliai o stovigliaj ha subito una
conseguente trasformazione: nelle carte del 1910 non troviamo più
“stovigliai” ma “tegolieri”.
Canalàra vengono detti a tutt’oggi i fabbricanti di canàla
ovvero di tegole, i coppi con cui una volta si ricoprivano i tetti delle
case, prima di essere soppiantati dalle nordiche tegole rosse.
C’erano anche
modi di dire legati ai canàla. I bambini dicevano Santa Nicola, Santa
Nicola, vi dugnu la vecchia e mi dati la nova e contemporaneamente
lanciavano sulle tegole stagionate delle case basse i denti da latte appena
disalveolati. San Nicola avrebbe provveduto a far ricrescere quelli nuovi.
“Avere un canale” significava e significa poter contare su
qualcuno cui raccomandarsi per ottenere un favore in analogia alle tegole che
incastrate tra loro in linea scoscesa fanno scivolare l’acqua piovana da una
tegola all’altra, fino a farla sfociare nella cannalàta, una volta
anch’essa in terracotta.
Questi e altri modi di dire sono divenuti sempre più rari come
rari sono ormai i tradizionali fabbricanti di tegole. A Racalmuto due anziani
fratelli, con segreta formula, continuano a impastare sapientemente tegole
semiconiche, con argilla e sale, ma anche mattoni quadrati per anticheggianti
pavimentazioni rustiche e mattoncini rettangolari, leggermente incurvati, per
costruire la volta dei forni domestici.
Nella bella stagione, dopo averli asciugati al sole, cinque,
seimila tegole, mattoni e mattoncini impilati un una cavità cilindrica scavata
a terra, vengono messi a cuocere con il forno infuocato ad oltre 800 gradi, per
tre giorni e tre notti. Se tira vento verso sud-ovest, il paese viene invaso
dal fumo e dall’odore dell’argilla cotta.
Al termine del terzo giorno è una processione verso lo
stabilimento dei canalàra detto Stazzùni: si vanno a riesumare antichi
sapori di cibi messi a cuocere sulla catasta di tegole ancora calde. Oggi,
l’uso delle tegole in terracotta è folklore, vezzo borghese, una volta
rappresentava una necessità oltreché una fiorente attività artigianale.
Tutti i tetti, tutte le pavimentazioni e tutti i forni delle
case racalmutesi ricche e povere venivano riforniti dai canalàra che
erano, si può immaginare, molti e tutti bisognosi della materia prima:
l’argilla. Di ottima qualità e abbondante si trovava nei terreni in contrada Fontana,
nei pressi del Giardino dei Whitaker.
http://www.coppolaeditore.com/category/58-saggistica.aspx
http://www.criticaletteraria.org/2012/05/il-salotto-una-passeggiata-palermo-con.html
Ai giovani , che facevano gli " schizzinosi " per quanto riguardava la scelta dei fidanzati , o delle fidanzate , i piú anziani dicevano : " piglia e ti la v´affari a lu stazzuni " .
RispondiEliminaMolto usati una volta anche li maduna di crita, ad opera di li stessi canalara, per fare pavimenti ad un livello intermedio tra quelli pregiati in marmo o maiolica e quelli semplicemente di terreno battuto o " a giacatu".
RispondiEliminaOggi i pavimenti di crita con una levigatura e una successiva ceratura possono avere un indubbio fascino, se inseriti in un giusto contesto e per chi li sa apprezzare