Sarà bello vedere i ragazzi, preparati da dinamicissime professoresse che già l'hanno fatto in passato, cimentarsi con la Recita sulla venuta della Madonna del Monte.
E' la memoria rappresentata, che ogni anno, per un'intera comunità, assume il valore di una celebrazione.
Ripropongo soprattutto per i giovanissimi un post che orbita intorno alla festa tra tradizione e innovazioni, su fatti lontani nel tempo ma non a loro estranei, sicuramente non estranei alla loro identità.
Le vicende particolari di
Racalmuto e Castronovo di Sicilia si sono incontrate parecchie volte nella
storia: nel 1503, a proposito di un sacro simulacro rimasto miracolosamente a Racalmuto; fra il 1527 e il
1528, per uno schiaffo inferto da Paolo del Carretto, originario di Racalmuto,
ad un rappresentante dei Barresi, di Castronovo.
La prima
volta, se ci fu il prodigio, come attestano storici locali (B. Caruselli, N. Tinebra
Martorana) e non (G. Traina), ci fu anche il duello - secondo la tradizione
orale - a dirimere la questione insorta: Ercole del Carretto, “conte” di
Racalmuto, feriva Eugenio Gioeni, principe di Castronovo, e il simulacro della
Madonna, oggetto del contendere, rimaneva in terra racalmutese. Correva l’anno
1503 ed il principe Eugenio Gioeni, proveniente dall’Africa dove si era recato
per curarsi l’ipocondria, sbarcava a Punta Bianca etc. etc. etc. Di ncapu mari na navi vinìa, / facennu festa
e sparannu cannuna. / Ascontra Racarmutu pi la via / vonzi ristari ccà sta gran
Signura…
La seconda
volta, sullo spiazzo adiacente la chiesetta di San Pietro che costeggia la strada
a scorrimento veloce per Palermo, ha avuto luogo uno dei fatti più sanguinosi
nella storia di Sicilia, paragonabile, per efferatezza e teatrali colpi di
scena, al “caso di Sciacca”. Don Paolo del Carretto morirà ucciso nell’agguato
tesogli dallo schiaffeggiato Barresi. Né la faida si arresterà: altre vendette,
altri agguati e altri spargimenti di sangue saranno strascico inevitabile.
E sono
tornate ad incontrarsi, per la terza volta, nel 1986, a Racalmuto, in occasione della Festa del Monte, per
stringere un patto d’amicizia attraverso il simbolico abbraccio dei due
rispettivi sindaci. Scopo dell’incontro, il gemellaggio fra i due comuni; la
motivazione è semplice: se le storie dei
due paesi si sono intersecate per un diverbio e per una questione d’onore e di
puntiglio, c’è stato di nuovo spazio,
nella Storia, per incontrarsi in nome dell’amicizia. Dopo quattro secoli e
passa, è vero, ma perché continuare ad essere storicamente divisi se non persistevano i motivi del
rancore di quei “nostri” signori? Chi se ne ricordava più?
Anzi, a ben
riflettere, si può notare che le storie delle due comunità corrono su tracciati
invisibili e paralleli, che ora combaciano, ora si allontanano, per confluire
di nuovo in episodi di comune storia, di relate passioni, di contrastanti
interessi. Storie per certi versi confluenti, analoghe, corrispondenti. Si
guardi al carattere “berbero” – lo dico per suggestione del Tinebra Martorana,
- forte, tenace, del racalmutese e del
castronovese: così come emerge dalle loro storie, dall’avvicendarsi di mille
contingenze. Il Tirrito, nella sua storia di Castronovo, riporta l’ipotizzata
derivazione di Crastos, poi
Castronuovo, da un etimo greco con significato di “fortissimo”.
Sui motivi
e la genesi che hanno portato a realizzare il gesto del gemellaggio ci stanno
innanzi tutto la conoscenza e la simpatia di alcuni amici castronovesi: Totò
Mastrangelo, Tonino Ceraolo, Nino Di Chiara, il sindaco Salvatore Tirrito. Il
tutto nato, si può dire, da un quasi occasionale colloquio con Totò Mastrangelo.
Ma sulla congruità di stringere il pacifico sodalizio si è subito concordato
per altre ragioni, oltre che per l’amichevole conoscenza, e cioè per ragioni
storiche, culturali, folkloriche: la Festa del Monte appartiene ad entrambe le
comunità perché dal loro incontro è nata.
Per ratificare cotanti premesse,
la mattina dell’11 luglio 1986, venerdì del Monte, è stata convocata una seduta
consiliare straordinaria, aperta al pubblico, durante la quale è stato
ufficializzato il gemellaggio, presenti i sindaci e gli amministratori delle
due comunità.
Dopo
il simbolico abbraccio dei rispettivi sindaci e lo scambio delle pergamene, per
suggellare l’evento, il corteo storico detto u
Triunfu è stato particolarmente
articolato e sontuoso: apriva la processione il drappello rullante dei tammurinara; seguivano: centinaia di
giovani con torce e candele della pontificia cereria Gange; i gonfaloni
municipali; gli stendardi delle parrocchie, dell’azione cattolica, delle
confraternite, dei circoli ricreativi e dei sodalizi, delle altre associazioni
religiose e laiche racalmutesi; i bambini della prima comunione in abito bianco,
recanti un giglio e l’immagine infiocchettata della Madonna del Monte incollata
su un cartoncino, andavano cantilenando la
vugliddra la vuglidda la ciancianeddra, / dunni mi vinni, dunni mi vinni sta parrineddra; bardatissimi cavalieri, disposti ai due lati
del corteo, in costumi cinquecenteschi della rinomata sartoria teatrale Pipi di
Palermo, porgevano la mano alle damigelle e facevano ala a lu carruozzu, trainato da due ieratici buoi di Cammarata.
Dietro il carroccio, che
trasportava il simulacro della Madonna adagiato su un letto di rose, le
autorità religiose e civili delle due comunità: arcipreti e rettore del santuario in cotta e
stola, sindaci con la fascia tricolore, marescialli e rappresentanti delle
altre forze dell’ordine in uniforme
d’ordinanza, assessori in carica e in
pectore, consiglieri, diaconi, collaboratori pastorali, suore dei vari
conventi, educande del collegio di Maria, orfanelle del Boccone del Povero, pie
signorine di chiesa con il rosario in mano.
In coda, il drappello della
delegazione castronovese e il restante popolo racalmutese. Tutti a cantare, tra
una posta e l’altra del rosario, Di
Trapani affaccià Maria di Gèsu / n coddru li marinara la purtaru / n coddru li
marinara la purtaru, mentre piovevano petali e fiori dai balconi adorni di biancheria
ricamata e vellutate coperte di sciniglia.
La banda suonava. Le percussioni dei tamburi grandinavano. Quando la testa del
corteo giunse in Piazza Carmelo, s’udì un frenetico scampanio mentre gli ultimi
fedeli uscivano dalla chiesa del Monte e chiudevano la chilometrica
processione, cingendo idealmente il paese con un sinuoso abbraccio. Sarebbero
dovuti arrivare cavalli e cavallerizzi danzanti dalla Festa del Taratatà di
Casteltermini, ma per motivi organizzativi non è stato possibile. Ci si accontentò
delle cavalcature locali.
Si vuole precisare che la festa
del Monte non è la festa dei cavalli o per i cavalli anche se ne fanno
strutturalmente parte in quanto attraverso muli e cavalli, connaturati alla
società contadina, si trasportavano le prummisioni
di grano e altri cereali fin dentro la chiesa dopo la devozionale acchianàta e si rendevano solenni: il triunfu del venerdì; la sfilata del
sabato fino a la pigliàta di lu Ciliu, distribuendo
ceci abbrustoliti; la processione della
domenica, sferragliando sui basoli, che sprizzavano scintille, addobbati con coloratissime
bardature, ciondolanti nappe, campanacci e drappi d’epoca, dietro il solenne carro
a forma di nave.
Solennità sì, ma a precise
condizioni, e lontani mille miglia da certi teatrini che sarebbero venuti dopo,
alludendo a quegli improvvisati quanto pericolosi caroselli equestri tra la
folla che poco hanno a che fare con la devozione e molto con il vacuo e
talvolta impudico esibizionismo, somiglianti più a un rodeo argentino che a una
nostrana processione religiosa.
Quando, alla fine degli Anni Settanta, la gloriosa Pro Loco
capitanata da Giovanna Lauricella si prodigò per rimpolpare la festa con la
partecipazione di cavalli bardati e
cavalieri in costumi d’epoca, visto che i preziosi quadrupedi in paese si erano
ridotti al lumicino vuoi perché soppiantati dai mezzi agricoli vuoi per
l’emigrazione dei contadini e dei carrettieri, si addivenne alla risoluzione di
noleggiare un determinato numero di cavalli regolarmente assicurati. In questo
modo il Conte del Carretto e il suo seguito poterono continuare ad arrivare a
cavallo sul luogo della “Recita”. Così è stato anche in quella del 1986.
Quell’anno, la Recita, che
ricostruisce l’episodio della “venuta” della statua della Madonna a Racalmuto,
registrò alcune modifiche e
integrazioni: la Contessa, la cui presenza era stata inserita qualche anno avanti
da un giovane poeta locale, venne condotta in portantina da quattro prestanti
giovanotti detti vastàsi, un termine
di origine greca che rimanda al verbo trasportare; il Principe Eugenio Gioeni e
i suoi scudieri sono stati interpretati da giovani attori castronovesi; Recita
e corteo storico sarebbero stati riproposti qualche anno dopo a Castronovo. Anche
la mostra fotografica di un naturalista racalmutese, sulla flora e la fauna
della montagna castronovese, ha seguito la trasferta della Recita e arricchito il dialogo culturale tra
racalmutesi e castronovesi. Il gemellaggio insomma è stato un avvenimento
memorabile oltreché significativo.
Significativo è ancora oggi, a distanza di ventisei anni;
rincuorante, trovare nel passato di un paese ciò che si vorrebbe trovare nel
suo deprimente presente, per risollevarlo: segni di violenza trasmutati in
segni di festosa amicizia collettiva e corale fede; prassi di violenza convertite
in pratiche di simbolica pace e laboriosa convivenza civile; storiche malerbe e
malsane zizzanie rimpiazzate da più commestibili alimenti di festevole
pasticceria.
E’ con questa pronuba “filosofia”,
foriera di prospero e pacifico futuro, che probabilmente vale la pena di
ricordare schiaffi e duelli del passato, come quelli intercorsi tra il nostro e
un altro paese del palermitano.
Piero
Carbone
- Uno schiaffo, un duello e... finalmente amici, in “Giornale di Sicilia”, 19.11.1986;
- La vinuta di la Madonna di
lu Munti (con E. N. Messana e N. Macaluso), 2a ed.
Edizione fuori commercio,
Racalmuto 1988
- http://castrumracalmuto.blogspot.it/search?q=oltre+lo+schiaffo lunedì 25 giugno 2012
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