Testimonianza per Maria Anna D'Agostino Mattiello
Se la pittura astratta della prima metà del
Novecento e l’avanguardia del secondo dopoguerra rifiutano la forma a favore,
potremmo dire, del colore in sé, c’è chi, pur riferendosi a quelle scuole di
pensiero, intraprende un personale cammino di ricerca artistica e piega quei
modi di fare pittura alle proprie esigenze interiori.
E’ così che in Maria Anna D’Agostino
Mattiello notiamo un’apparente contraddizione: quella di indicare alcuni suoi
quadri con titoli molto formali, descrittivi o narrativi addirittura, per poi svolgerli astrattamente.
Creano scontate aspettative titoli come
“Popoli e costumi”, “Veliero”, “Cuore”, “Missionari”, “Lento cammino”, “Esuli”.
Ma la D’Agostino non è una illustratrice, anzi, l’argomento annunciato è un
pretesto, il punto di partenza di un processo astrattivo che la porta nel mare
aperto del colore ove il cielo il mare i gabbiani sono calchi convenzionali ma
vuoti, invisibili, in attesa di essere colmati
e resi visibili dalla scelta dell’artista, da una mano che
brandisce pennelli bene intrisi o
trascina la spatola carica di
intenzionali impasti. Perché altrimenti la serie dei volti monocromi, gialli,
azzurri, rosa, e i missionari biancoceleste, e il veliero di un rossonero
materico? La pittura pensata diventa pittura vissuta.
Più consona pertanto appare la scelta di altri temi meno
concreti, quali “Torpore”, “Conforto”, “Libertà”, “Divinazione”. Ma anche qui,
perché la Libertà è un rossointenso assediato dal blunero e il Torpore un cordone scuro che si distacca
da uno sfondo chiaro di bianchi variamente venati e di gialli e arancioni quasi allegri?
In ogni caso, come sostiene Wittgenstein
nei suoi Pensieri diversi , e ben
s’attaglia alla libera pittura della D’Agostino, “i colori stimolano alla
filosofia. (…) I colori sembrano presentarci un enigma, un enigma che ci
stimola – senza inquietarci”.
Palermo, 2001
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