giovedì 25 aprile 2013

"AMAMI, ALFREDO" O TI SPARO









Nelle feste religiose non possono mancare i fuochi d'artificio e la banda musicale; in quelle importanti di bande musicali, dette semplicemente "musiche", se ne "chiamano" due, facendole venire anche da paesi lontani, anzi, più è lontano il paese di provenienza tanto più prestigiosa è ritenuta la "musica".

 

Della festa alcuni aspettano soltanto la musica "a palco", si portano le sedia da casa o all'impiedi e si piazzano per tutto il tempo a inebriarsi di note, di arie, canticchiando, assecondando gli assolo, gli andanti, muovendo la testa, tamburellando con le mani, girandosi a destra e a manca per chiedere riscontro  con le ciglia inarcate e la testa obliqua a chi gli sta vicino. Ma la troppa passione può sfociare in altro.


Immaginiamo un dialogo tra due amanti della musica, sostenitori di due bande diverse, di due repertori diversi. Ma c'è poco da immaginare perché quello che è successo a Montedoro nei primi del Novecento sembra surreale, e chissà come sarà stato interpretato dalle signore londinesi a cui il racconto era destinato.

 

Materia del contendere: il diverso programma musicale delle due bande che suonavano a palco, e possiamo immaginare, questo sì, che nel sostenere la superiorità della verdiana aria "Amami, Alfredo"  all'altra belliniana "Casta diva", qualcuno abbia veramente perso la testa e non ci abbia visto più dagli occhi. 

Che per la musica si arrivi a tanto, durante una festa religiosa per giunta, sembra la negazione sia della musica che dovrebbe ricreare l'animo sia della festa religiosa che dovrebbe innalzare gli spiriti. 

E purtroppo non soltanto con la musica e la religione avviene di negare una cosa per il troppo presunto amore nel sostenerla.





Dal libro Vicende e costumi siciliani, pubblicato da Louse Hamilton Caico a Londra, in inglese, nel 1910 e tradotto e pubblicato in Italia soltnto nel 1982. Capitolo "La festa di San Giuseppe".

Dopo il primo pezzo, chiesta ed ottenuta l'autorizzazione del sindaco, si diede il via al grandioso gioco pirotecnico preparato su di una intelaiatura di legno appositamente costruita all'inizio della discesa, proprio dinanzi alla chiesa.

Durò a lungo, silenziosamente ammirato e apprezzato dalla folla che ora sciamava nella piazza, mentre le due bande si alterna­vano nell'esecuzione di allegre musichette, le improvvisate banca­relle continuavano a fare affari, le lanterne oscillavano rivelando le forme graziosissime delle rudimentali bilance e, nell'ombra, scintillavano gli occhi vivaci e i denti abbaglianti nei visi da arabi dei miei compaesani.



Spentosi in ciclo l'ultimo razzo colorato, il concerto ebbe inizio. Non c'era neanche un valzer nel programma e manifestai la mia delusione; si andò subito a cercare il "procuratore" che venne spedito dal capobanda per richiederne uno da parte mia. Il mio desiderio venne subito esaudito e mentre la banda lo ese­guiva - devo dire alla perfezione - echeggiarono degli spari e vidi la folla fuggire in tutte le direzioni.

Il Sindaco, che nei piccoli paesi è anche capo delle guardie, si precipitò fuori dal casino seguito da suoi cugini, gli altri uomini di casa ci spinsero dentro chiudendo le grandi porte-finestre, per paura - dissero - che una pallottola potesse raggiungerci, in piaz­za le donne e i bambini si dispersero urlando, e la banda sospese il suo pezzo. Ero eccitata e curiosa anche se capivo che qualcosa di brutto era accaduta. 

A poco a poco cessarono le grida e la con­fusione, e un uomo, qualcuno che abitava in un paese vicino, arrivò trafelato a portarci il resoconto dell'accaduto. Due "fo­restieri", di Serradifalco, un paese vicino, nella foga della loro lite a proposito delle due bande e dei due programmi di musica, avevano estratte le rivoltelle e fatto fuoco, per fortuna senza fe­rirsi. Il sindaco li aveva già consegnati tutti e due ai carabinieri perché li arrestassero e ora si dirigeva verso di noi, perfettamente calmo e controllato.
Riportammo fuori le sedie, la folla dispersa riappariva, dapprima timidamente, dagli angoli delle strade checonfluivano in piazza e poi, sempre più disinvolta, ricominciò ad affluire in piazza, i musicanti che nel frattempo erano rimasti pazientemente a sedere aspettando che il piccolo contrattempo fosse risolto, attaccarono un pezzo brillante e un'armoniosa atmsfera di festa riebbe il sopravvento.




Finito il concerto, il capobanda di Canicattì, a cui tanto piaceva chiacchierare, tornò a farci visita, e, fra i complimenti tutti, restò con noi fin dopo mezzanotte.

Ora la grande piazza bianca, fino a poco prima cosi affollata e rumorosa, si apriva ai miei occhi deserta e silenziosa nella luce dolce di una notte piena di stelle; di nuovo tutto era pace e quiete, e, a dirvi la verità, non mi dispiaceva affatto che la festa di San Giuseppe fosse finita.



Foto di Loise Hamilton Caico.

http://archivioepensamenti.blogspot.it/2013/01/non-scappo-dalla-sicilia.html

3 commenti:

  1. E' MERAVIGLIOSA QUESTA STORIA SONO TENTATO DI CREARE UN'OPERA COMICA SULL'ACCADUTO GENIALE IL TUO TITOLO "AMAMI ALFREDO...O TI SPARO" ..... LA DOBBIAMO METTERE IN SCENAAAAAAAAAAAAA

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  2. Federico Messana
    Hai colto un episodio che, nonostante stia rileggendo l'opera di Louise Hamilton, mi era sfuggito. E mi piace molto l'accostamento che ne fai. Fino agli anni cinquanta era frequente che avvenissero episodi del genere, e Louise ce ne da una rappresentazione magistrale. Come quando arrivava il cantastorie (ricordo Cicciu Busacca) e la gente correva in piazza portandosi dietro la propria sedia per assistere comodamente allo spettacolo. Ed anche in quelle occasioni qualche scazzottata ogni tanto ci scappava tra chi parteggiava per il poveretto colpito a morte, per i carabinieri o per il mafioso di turno. La Hamilton è secca ed usa pochi fronzoli nel descrivere certi episodi, ma per questo la sua prosa risulta fresca, immediata e comprensibile.

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