di Nicola Lo Bianco
Crescenzio
Cane, l’amico, il poeta, il pittore, il combattente, lo scontroso, il
diffidente, il polemico, l’arrabbiato Crescenzio, l’autore della
“sicilitudine”, ma anche l’ “ingenuo” Crescenzio, non è più tra noi: è morto
giovedì 13 dicembre in polemica pure con la morte.
Resta che la poesia, la pittura, gli scritti in prosa di
Crescenzio Cane sono un frammento vivo della storia di questa città e della
Sicilia, e, attraverso di essa ed esemplarmente, del Sud nostro e altrui:
dovunque c’è un Sud nel mondo questa storia gli appartiene.
La storia non Ufficiale, si capisce, omissiva e bugiarda,
ma quella della periferia, poco visibile ed oggi più che mai oscurata, la
storia degli emarginati e degli oppressi, quella dei poveri di fronte alla
storia dei ricchi, quella di chi in definitiva la subisce la storia e alla fine
ne paga il conto totale.
Opere di Crescenzio Cane |
A partire dal dopoguerra la vicenda umana e poetica di
questo nostro scrittore e pittore s’intrinseca con i grandi eventi che mutano
la fisionomia del paese: la fame e la miseria, l’emigrazione, le grandi lotte
popolari degli anni ’60 e ’70, la “mutazione antropologica”, l’indecenza degli
anni ’80, la depravazione economica politica ed intellettuale degli ultimi
venti anni.
I titoli delle sue principali pubblicazioni possono dare
un’idea del percorso letterario, radicato in una precisa realtà e coerente alle
scelte esistenziali dell’uomo: dal racconto-saggio “La sicilitudine” (’59)
(termine coniato dal Nostro e non da Sciascia come erroneamente si crede e si
scrive) a “La radice del Sud” (’60), dai “Papiri” (’65) a “Edicola concreta”
(’68); e poi “La freccia contro il carrarmato” (’71), “La bomba proletaria”
(’74), “Il cuore di Palermo” (’80), “Lettera alla Libertà” (’85), “La memoria
collettiva” (’87), i racconti de “La strada di casa”, le poesie de “I miei
ultimi settantanni” …
Coerenza e fermezza ideologica ( ideologia come trama di
pensiero e punto di vista sociale, non come bieco ideologismo, per favore) che
nel tempo probabilmente gli hanno nociuto.
Crescenzio era ed ha vissuto da proletario, aveva quattro
figli, un modesto stipendio, viveva in una casa popolare a Borgonuovo Sud.
E’ stato, dal punto di vista delle scelte culturali, un
autodidatta, lontano e alieno da fisime e combriccole letterarie, non faceva
professione di letterato.
Per volontà sua propria, o per diffidenza dell’ambiente
culturale, o per incompatibilità con il clima politico in atto, non so, da
alcuni anni Crescenzio si era isolato.
Eppure la sua poesia e la sua pittura sono state
accompagnate da contributi critici di notevole spessore: Barberi Squarotti,
Davico Bonino, Zavattini, Sciascia, Anceschi, Buttitta, La Duca, Manescalchi,
ecc. …
Per tutti valga la sintesi critica che trovo in un giudizio
di G.Zagarrio:
…la poesia di
Crescenzio Cane si impone per la sua capacità di tradurre il dramma
esistenziale e storico che stiamo vivendo.
L’ho scritto altre volte ed in contrasto con alcune
interpretazioni, a mio parere, parziali e riduttive: non è l’“ideologia” a
promuovere la scrittura di Crescenzio, ma la tensione alla liberazione, al
riscatto personale e sociale.
E’ la pienezza e la dignità dell’uomo, quando e dovunque
venga calpestata, ad accendere l’irrefrenabile impulso a tradurre poeticamente
la rivolta dei sentimenti e il suo tormentato pensare.
Un modo forse per esorcizzare, per trovare un centro di
gravità nel disordine di questo mondo, in ogni caso scrivere per Crescenzio non
è un composè di parole fiorite, ma un’emergenza esistenziale e stilistica: Chi
scrive deve andare avanti, fermarsi induce solo a sottoscrivere silenzio e
paura. (“Viaggio intorno
ai miei scritti”)
L’“impresa” del sapere si fa cosciente e determinata,
scrivere voleva significare una riflessione che facevo con me
stesso per arrivare ad una più chiara presa di coscienza del mio operato.
Ma è anche un cruccio scrivere senza la minima
speranza che il mio scrivere sarebbe servito a qualcosa. Un “cruccio” che è poi la forza esplodente della sua
poesia.
Nel poeta Crescenzio Cane non c’è alcuna intenzione di
formalizzare la vita, non c’è il perseguimento del “quoziente estetico”.
Egli vorrebbe anzi negarsi alla scrittura perché sa,
appunto, che “non serve”; ma non può, pena il rinnegamento di se stesso e della
classe sociale cui corporalmente appartiene.
Ciò che lo arrovella sta prima e dopo la parola scritta: il
concreto della vita che è “emergenza” e perciò la scrittura non può che essere
anch’essa “emergenza”. Assistiamo così al fascinoso paradosso di un linguaggio
che si pone al limite tra il silenzio dell’oblio e la dirompenza dell’azione.
Tra il “silenzio” e l’“azione” rimane sospesa e inappagata
l’aspirazione a un mondo liberato dall’ingiustizia e dalla protervia.
NICOLA LO BIANCO
dicembre ‘12
Foto proprie, scattate in occasione della visita a Crescenzio Cane il 21 marzo 2006
Mia precedente testimonianza:
Caro Nicola, ho avuto la fortuna di incontrare Crescenzio ,a casa sua ; ci andai con Franco Scalati al tempo di "Attore con ..." Trovai un uomo di una luminosa semplicità che però diceva cose a me ,che leggevo L'agitazione del sud ed Umanità Nova assolutamente familiari . Mi bastò he poi dicesse che avrebbe partecipato al blocco strade per l'acqua che mancava nel quartiere per capirne la pasta e la tempra .Si esponeva nonostante il lavoro che per mantenere la famiglia doveva svolgere . Ti abbraccio
RispondiElimina