La vicina di casa zà Maicchiè, una vera affabulatrice, nell’infanzia ci recitava filastrocche, raccontava di Giufà, di mondi alla rovescia e altre storie che in parte avrei incontrato nei libri del Pitrè, alcuni frammenti sarebbero riaffiorati nel dire di mia madre, ma tante altre gemme sarebbero sparite per sempre, una per fortuna mi è riaffiorata inaspettatamente mentre compitavo il mio ennesimo post sul blog:
Mi puorti di grutta in grutta
comu lu sbadagliu di la vucca.
Mi conduci di grotta in grotta
come lo sbadiglio della bocca.
Nel racconto della zà Maricchiè si evoca la decisione di un
marito di sopprimere la moglie perché ritenuta, a torto o a ragione,
infedele. Appronta il carretto e invita
la moglie a montarvi su, per recarsi in campagna. Il viaggio è lungo, astioso, diverso
dal tragitto consueto, anzi, viene intercalato da soste in varie grotte, ritenute di volta
in volta inadatte per consumarvi agiatamente il delitto. Ogni grotta non è mai
l’ultima ma la penultima.
La moglie, insospettita, lancia un messaggio cifrato al
marito, con una constatazione che assume cadenza di due versi: Mi puorti di grutta in grutta / comu lu
sbadagliu di la vucca. Lo sbadiglio è una dilatazione incontrollata dei
muscoli facciali, ogni volta che uno pensa sia l’ultimo ne subentra un altro ancora e addirittura, per un effetto diapason, si replica in un'altra bocca. Si moltiplicano gli sbadigli e le bocche. Come le grotte ispezionate dal marito. Un rinvio tuttavia salutare, permettendo
di procrastinare la sentenza, impedendo di
celebrare il delitto. (E se la moglie fosse innocente!).
Questa storia mi pare possa
assumersi come metafora del
blog con tutti i suoi post (le varie grotte): finché si rinvia alla prossima
grotta c’è vita: se a un post non ne segue un altro e un altro ancora, il blog
è finito. La storia del marito che vuole sopprimere la moglie assurge a metafora non perché proiettata al delitto finale per espiare vere o presunte colpe, ma, semmai, perché destinata ad una conclusione, ad una
fine sempre rinviata.
Post come stazioni di una via crucis infinita o locande
disseminate lungo la via per prendere fiato e forze. I blogger, come il marito della
storiella, mandano avanti il carro metaforico, sospinti da celate e radicatissime motivazioni.
Vale, se non per tutti, certamente per alcuni.
Col pretesto di due versi, un modo di dire, un incontro, un
ricordo, partono alla volta di scorribande e vanno avanzando di post in post,
sconfinando frontiere linguistiche, attingendo alla memoria privata, rapinando
quella collettiva, illustrando a più non posso spariti ectoplasmi.
Immalinconiti dalle frustrazioni, accesi dagli entusiasmi, illividiti da risentimenti sempre in agguato e sempre risospinti sotto botole obliose, pungolati dalle indignazioni, insuperbiti dall'essere in potenza una potenza (a parole, con le parole), sempre pronti a bruciare il mondo e a sanarlo, stanchi, riflessivi, meditabondi, forse un po' depressi, forse un po' esaltati, addolciti, se va loro bene, da teneri sguardi del cuore e della mente.
Immalinconiti dalle frustrazioni, accesi dagli entusiasmi, illividiti da risentimenti sempre in agguato e sempre risospinti sotto botole obliose, pungolati dalle indignazioni, insuperbiti dall'essere in potenza una potenza (a parole, con le parole), sempre pronti a bruciare il mondo e a sanarlo, stanchi, riflessivi, meditabondi, forse un po' depressi, forse un po' esaltati, addolciti, se va loro bene, da teneri sguardi del cuore e della mente.
E si procede, di grotta in grotta,
di post in post, col blog che sta a fianco come nella vita sta a fianco
la vita, senza accorgercene, quale invisibile “cornice”. Diretti sempre alla
meta finale, e purtuttavia sperando di non arrivarci mai. O il più tardi
possibile. Semplicemente perché la meta finale coinciderebbe con la fine del povero blog ovvero con quell’ennesimo post a cui non ne seguirebbero altri. Colpevole o innocente, la sua cessazione verrebbe a coincidere con la sentenza di condanna.
Ma alla fin fine che cos’è un
blog?
E’ così importante da rinviarne la fine o temerla?
Tecnicamente è un foglio elettronico su cui si può scrivere a
scorrere, come si può scrivere sui fogli
di carta che uno dietro l’altro, rilegati, fanno un diario.
Nella sua
evoluzione, a partire dal confidenziario sigillato con lucchetto o dalla gazzetta clandestina dei
congiurati, un blog può essere ma non dev’essere per forza, univocamente,
diario tradizionale,
catalogo di letture, proiezione di ombre, tavolozza di sagome in controluce,
archivio di fantasmi, deposito di ricordi, crocevia di impressioni, piattaforma
di progetti, promemoria di incombenze, retrovia per ritempararsi le forze, rifugio esibito per rinfrancarsi lo spirito, brancatiana stanza di compensazione, base operativa per impreviste
sortite.
Zibaldone,
scartafaccio, minutario, brogliaccio di appunti domestici.
Il mondo visto
dalla finestrella dei personali pensamenti.
Alcova virtuale.
Sfogatoio
inconcludente.
Cerchio paesano.
Orizzonte apolide.
Piazza, bar,
cortile, circolo dei galantuomini, società di mutuo soccorso, accolta di sognatori, luogo aperto di
congiure, megafono pubblico, drappello difensivo da presunti torti.
Arena di astratti
furori. Ghigliottina. Gogna. Aspirina. Spada. Frusta. Sala del thè. Parvenza di democrazia. Paseo di
sgrammaticati. Rodeo di abilissime scritture. Sanatorio di inguaribili crucci. Laboratorio della città del
sole.
Niente di
rivoluzionario, o di eroico, alla fine. Ma se si vuole, un po’ di tutto questo.
Specchio deformato e, per forza di cose, deformante della vita reale.
Un passatempo,
insomma.
E qui bisogna
vedere come ciascuno decide di passare il proprio tempo.
Proprio o in
usufrutto? Il tempo vola, ruit, s’arrizzola ddrà sutta a pinninu,
precipita là in fondo al dirupo.
Macchè! E siamo
punto e a capo: un semplice foglio elettronico dove uno aduna quello che vuole.
Un luogo di raduno
delle scintille che un uomo può produrre nella notte dispersiva del vivere
quotidiano.
Quanto è bello
credere come Seneca a quel tale che indicando una "strada bellissima" gridava “Di
qua si sale alle stelle”!
Ma dalle stelle,
seppur virtuali, per non perdere il contatto con la realtà, è consigliabile qualche volta scendere e fare a ritroso la strada, scambiare due familiarissime chiacchiere con qualcuno: persone fidate,
amici, conoscenti (gli anonimi alla larga):
veramente bello!
RispondiEliminaGrazie.
EliminaPierù, perseverare...
RispondiEliminaMi autorizzi a leggerti ai corsisti di Lector? Lo ritengo importante per loro.
giuseppe giarratana
Onorato! Anzi, grazie.
EliminaRiscontro (benevolo) su facebook da Tina Ferlisi, che ringrazio:
RispondiEliminaCome sempre un bellissimo post, dalle storie antiche della nostra tradizione popolare tanta saggezza per il nostro mondo tecnologico.