giovedì 3 gennaio 2013

DOLCI E RIVOLUZIONARI PENSIERI

Le parole nuove a volte sono quelle già dette. Le strade già percorse, le esperienze già vissute, possono essere utili ad affrontare lo smarrimento di oggi. Ce ne dà lo spunto Nicola Lo Bianco tracciando il ritratto di un personaggio che molto ha dato alla Sicilia: Danilo Dolci, sociologo, poeta, scrittore, testimone soprattutto di sé stesso, delle proprie idee, della propria abnegazione spesa per il riscatto degli altri, che erano gli ultimi.   P.C. 




Juan Paul Sartre, Lelio Basso, Danilo Dolci, Novembre´66.
Dalla bacheca fb di Sereno Dolci





“Danilo Dolci (1924-1997) - Uscire dal tempo primitivo”
                            di Nicola Lo Bianco



La vita e l’opera di Danilo Dolci sono un esempio di come è possibile cambiare “costringendo” alla saggezza gli increduli, i sottomessi ridotti al silenzio, le autorità irresponsabili.
Probabilmente fu l’impressione dell’estrema miseria che ne ebbe da bambino, seguendo gli spostamenti del padre capostazione, a farlo tornare a Trappeto, vicino Partinico, un piccolo borgo marinaro tra le province di Palermo e Trapani. […]

La prima esperienza, abbandonati gli studi di architettura, è quella di Nomadelfia con don Zeno Saltini, a Fossoli, un ex campo di concentramento nazifascista, dove orfani, ragazzi sbandati, ex ladruncoli, potevano ritrovare una casa-famiglia.
Dopo quasi due anni , confermato nei suoi propositi e sulla scorta della domanda che sempre più lo assilla – “e il resto del mondo? -, abbandona, lui triestino, il Nord, e si trasferisce definitivamente in Sicilia “per capire un mondo che nessuno si sforzava di ascoltare”. […]
Aspiravo dice in Ciò che ho imparato – a “nuovo cielo e nuova terra”…volevo scoprire l’anima della vita”.

A pochi mesi dal suo arrivo a Trappeto, nell’ottobre del ’52, assume la forma assurda e tragica della morte del piccolo Benedetto Barretta per denutrizione.
E’ il primo digiuno di protesta, l’inizio di un infaticabile impegno per far risorgere consapevolezza e speranza “in una delle zone più misere e più insaguinate del mondo”.

Sono gli anni del banditismo, delle stragi dei contadini, della mafia latifondista e politica, della negazioni di bisogni primari: lavoro, istruzione, cibo, salute, violazioni di diritti umani che corrispondevano all’asservimento padronale e mafioso.

L’acqua, ad es., l’acqua, che di nuovo oggi c’è chi manovra per farne proprietà privata, era in potere della mafia, che la gestiva secondo suoi torbidi interessi, secondo amicizie ed alleanze, o costringendo “gli altri”, la massa dei contadini, alla subordinazione e all’ossequio.
Il giovane Dolci comincia a capire il “sistema”, e si rende conto che l’acqua, in un’economia estesamente agricola, è il nodo da sciogliere per creare una breccia nel dominio semifeudale.
E’ la grande sfida della diga sul fiume Jato, l’opera alla quale i siciliani legano immediatamente il nome di Danilo:un decennio di proteste clamorose, di scioperi alla rovescia, di studi sapienti e mirati, di conferenze che chiamano in causa l’inerzia dei governi.
Ma sono anche intimidazioni, denunce, processi, galera. […]

Nel mentre che continua la partecipazione attiva alla denuncia di ogni forma di violenza, di degrado, di umiliazione dell’uomo, sorgono l’Asilo-casa per i bambini più bisognosi, il Centro studi e iniziative, Radio Libera Partinico, “la radio dei poveri cristi”, la prima radio libera in Sicilia (libera, non privata), immediatamente chiusa dalle autorità.
Il Centro di Borgo di Dio (gloria delle parole), a Trappeto, diviene un laboratorio di elaborazione teorica e pratica dove prendono la parola non solo gli studiosi più qualificati, ma anche i diretti interessati: la gente del luogo, i contadini, i disoccupati, gli analfabeti, le tante famiglie abbandonate a se stesse, taluni ex banditi.
"La mia vita è la tua, la mia vita non può non essere anche la tua", è un principio fondamentale nell’operare di Danilo Dolci, morale, di metodo, di conoscenza: dar voce agli ultimi, partecipare dal di dentro alla loro vita, valorizzare le loro competenze e apprendere dalla loro saggezza, portare le cose più alte a confrontarsi con la loro cultura, ascoltare e costruire insieme.
Si trattava davvero, in quel tempo e in quei luoghi, di “portare i disperati alla luce”, perché, oltretutto, bisognava infrangere l’atavica diffidenza e lo scetticismo dei siciliani.
Il possibile “cambiamento” sta per Danilo Dolci nel rapporto intrinseco tra individuale e collettivo, nel conoscere meglio se stessi e l’ambiente in cui si vive.
La violenza, sia fisica che verbale, è bandita senza compromessi, perché “quando dici no alla violenza e alla menzogna, la lotta di liberazione è già cominciata”: c’è la ferma condanna dell’errore, ma respinge l’annientamento e l’umiliazione di chi lo compie, fosse anche l’uomo più bieco, perché “non ci sono nemici”, ma uomini che devono essere indotti al buon senso e al senso di responsabilità. […]
E’ l’acume di Pierpaolo Pasolini a scoprire, già in alcune poesie giovanili (’51) di Danilo, un fermento religioso che identifica “Dio con il prossimo come immediata collettività…ha riscoperto L’Altro nei più poveri, soli, diseredati…”.

Invero, Danilo Dolci è uno spirito religioso che opera laicamente, è l’uomo che vorrebbe coniugare un senso mistico-missionario della vita con la ricerca tutta terrena della verità.
La morale, ad es., non può essere imposta dall’esterno, perché risulterebbe una sovrapposizione ben presto vanificata dall’incontro con la realtà; è, invece, un impegno quotidiano, deve scaturire dal dialogo, dal confronto con l’altrui esperienza, dal lavoro proiettato sul sociale, dalla ricerca di un mondo più sano, insomma, dal mettere l’uomo nelle condizioni di poter scegliere liberamente il bene e non il male. […]

Che nell’animo di quest’altro maestro del Novecento ci fosse, al di sopra dello scopo umano, un senso divino dell’operare, ce lo dice indirettamente lo storico Giuseppe Casarrubea, che in quegli anni conobbe Danilo e collaborò con lui: -Tra i suoi grandi maestri citava: Cristo e Lenin, Gandhi e Capitini, San Francesco e don Zeno Saltini-.
E, del resto, è testimonianza comune che “Danilo fu sempre povero, e non disdegnò mai di esserlo”.

Nicola Lo Bianco




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1 commento:

  1. avete letto Dolci che intervista i Siciliani? Abbiamo un debito di riconoscenza con lui.

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