Quando si viene a sapere di casi di malasanità, noi siciliani sintetizziamo che quel tale o tal altro medico, autore del misfatto, è uno scarparu, un calzolaio, che scambia pance e bisturi per suole e trincetto, quest'ultimo definito dalla solenne enciclopedia treccani.it "arnese costituito di una lama d'acciaio affilata da una sola parte, e molto tagliente, più o meno ricurva, che serve al calzolaio per tagliare il cuoio".
Gli strummènti o salassi per sagnàri ossia cavare il sangue venivano praticati con l'ausilio dell'olio. Si accendeva sul bordo del
bicchiere un batuffolo di cotone intriso
d'olio, si appoggiava il bicchiere caldo dalla parte del bordo sulla pelle: il batuffolo si
spegneva e la pelle si sollevava.
Il barbiere improvvisato chirurgo, da storico discendente dei cerusici latini, faceva sulla pelle sollevata un'incisione a forma di croce da cui fuoriusciva il sangue "nero".
L'alternativa al salasso era la sanguisuga o sanguetta: attaccata alla parte malata, ne succiava il sangue. Chi per le strade vendeva o affittava le sanguisughe "ammaestrate" gridava:
S'unn'è luca è sagnisuca.
Se non è luca è sanguisuga. A due un soldo.
Le sanguisughe venivano usate come coadiuvante terapeutico nelle insufficienze cardiovascolari. Si applicava all'altezza del fegato.
Questi erano i rimedi a cui ricorreva la medicina popolare, oggi barbieri e sanguisughe sono esonerati dalla medicale mansione ma non certo disoccupati, i primi, richiesti di qua e di là come Figaro nel Barbiere di Siviglia, sono dediti ad estetiche performances, le seconde continuano nell'antico compito flebotomico in metafora, non palesemente.
Il termine luca, a cui venivano associate le sanguisughe, non voleva indicare un nome proprio ma rimandare a un modo di dire: fari luca significava "fare a ruffa e raffa" ovvero arraffare, prendere concitatamente, affrettatamente, più che si può.
In una famosa poesia, il settecentesco Giovanni Meli dice che un gatto fici luca nel divorare un sorcio.
Insomma, il banditore che noleggiava le sanguisughe gridando s'unn'è luca è sagnisuca voleva dire che se i poveri vermi non asportavano di colpo il sangue, assolvevano con eguale efficacia il loro compito anche se lentamente.
In fondo, sanguisughe erano.
Questi erano i rimedi a cui ricorreva la medicina popolare, oggi barbieri e sanguisughe sono esonerati dalla medicale mansione ma non certo disoccupati, i primi, richiesti di qua e di là come Figaro nel Barbiere di Siviglia, sono dediti ad estetiche performances, le seconde continuano nell'antico compito flebotomico in metafora, non palesemente.
Il termine luca, a cui venivano associate le sanguisughe, non voleva indicare un nome proprio ma rimandare a un modo di dire: fari luca significava "fare a ruffa e raffa" ovvero arraffare, prendere concitatamente, affrettatamente, più che si può.
In una famosa poesia, il settecentesco Giovanni Meli dice che un gatto fici luca nel divorare un sorcio.
Insomma, il banditore che noleggiava le sanguisughe gridando s'unn'è luca è sagnisuca voleva dire che se i poveri vermi non asportavano di colpo il sangue, assolvevano con eguale efficacia il loro compito anche se lentamente.
In fondo, sanguisughe erano.
oggi il barbiere che praticava Le sanguisughe come coadiuvante terapeutico ci ha lasciato.alla eta 90 ANNI. angelo marchese
RispondiEliminaLu zì Totu Mastru Bilàsi.
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RispondiEliminaDa facebook:
Per quanto riguarda il post relativo agli interventi di medicina tradizionale, ne ho buona conoscenza in quanto mio padre era barbiere come mio nonno e mio bisnonno, (se è stato a Montedoro magari si ricorda del salone che c'era in piazza e che ha chiuso alla fine degli anni '80).
In casa abbiamo ancora le attrezzature per fare i salassi e per l'estrazione dei denti. Con gli standard di adesso sono attrezzi che starebbero bene anche in un museo delle torture.
Saluti
Emilio Duminuco
Da Facebook, Calogero Messana:
RispondiEliminaDa voi si dice "sunn'è luca è sagnisuca" , a Montedoro si ripeteva il ritornello: "Sangisuca fani luca , sunn'è cà eni ddà" .
A Montedoro si dice(va): "sanci suca, PANI e luca, s'unn'è ccà è ddrà". Era un gioco che consisteva nel nascondere qualcosa in un pugno e mostrarli tutti e due (i pugni) al bambino, il quale toccava alternativamente prima l'uno, poi l'altro, recitando la cantilena. Dove finiva la cantilena si sperava di trovare l'oggetto nascosto.
RispondiEliminaSaluti, Nicolò Falci