DIECI
PASSI AVANTI, DIECI PASSI INDIETRO
“Era
molto ammirato da tutti, senza eccezione”.
Oscar
WILDE, Il Principe Felice.
- Ma gli uccelli ci andranno a cacare!
- Buttato lì sul marciapede…
- …come una prostituta.
- No, sembrerà che aspetta l’autobus, confuso con gli altri passeggeri.
- Senza neanche il nome, una targa.
- Non ce n’è bisogno, lo conoscono tutti.
Ci fu bisogno invece di ricorrere ad un allegro
referendum per stabilire se la statua del filantropo don Firdinannu i racalesi
la volevano con o senza piedistallo, dieci passi avanti o dieci passi indietro:
ad averla davanti la porta o si lamentava la banca o si lamentava la
parrucchieria. Di sicuro la volevano, specialmente dopo il secondo funerale.
Il
primo era passato sotto silenzio, ancora non era stato aperto il testamento, ma
dopo, apriti cielo!, i pianti, il dolore, il lutto cittadino.
Al primo funerale
non c’era andato nessuno, al secondo, anche la banda, le maestranze, la
Confraternita dell’Itria e le orfanelle che reggevano i giummi ai quattro lati
della carrozza. Le mamme affacciate sugli usci ravviavano i capelli sulla
fronte dei figlioli e dicevano:
- Fatti la
croce, passa don Firdinannu.
Don Firdinannu
lasciava la piccola casa dove abitava alla sorella con sette figli, il cavallo
e l’orologio con cassa d’argento al nipote più grande, tutto il resto, e cioè
la cospicua quantità di danaro ricavata dalle miniere di zolfo e di sale, ai
concittadini tutti perché si costruisse l’ospedale. .
- Se ci fosse
stato l’ospedale forse lui non sarebbe morto,
– commentava la gente al secondo funerale.
Se un
poverocristo stava male, bisognava recarsi a Canicattì o a Girgenti, e la gente
o non ci andava o moriva; anche se erano pochi i chilometri, per l’ambulanza
bisognava aspettare due ore. Vi si ricorreva nei casi estremi, tanto che la
gente associava il suono della sirena o a un incendio o a qualcuno che stava
morendo. Tuttavia, l’ospedale a Racalò, sinceramente nessuno se l’aspettava,
tanto meno dal più ricco e più tirchio del paese. Meritoria opera senza dubbio.
Non un solo racalese intanto solidarizzava con i poveri eredi che, invidiati
inutilmente, poveri erano e poveri avrebbero continuato ad essere.
Il funerale
non era ancora terminato del tutto che il Sindaco pensò alla statua. “Dobbiamo
onorare chi lo merita”, disse. Chiamò uno scultore di grido che aveva fatto
statue in tutte le piazze e giardini d’Italia
e gli affidò l’incarico.
-Mi
raccomando! Non badiamo a spese.
Dopo un anno
la statua fu pronta e venne collocata, senza piedistallo, in piazza, sul
marciapiede destro, di fronte la Matrice, ma ad averla davanti la porta o si
lamentava la banca o si lamentava la parrucchieria: la gente si sentiva spiata
da quella statua ad altezza d’uomo che
nella penombra sembrava un uomo veramente, con una mano sospetta in
tasca e l’altra protesa in avanti. Ci fu
chi cambiò banca e chi parrucchieria o anche marciapiede. Quella statua
inquietava: pur in mezzo alla gente, rimaneva in solitudine soffusa di mistero.
Prima delle elezioni, il sindaco non poteva inimicarsi nessuno, così la
fece impacchettare e, in attesa di tempi migliori, la spedì al mattatoio
comunale vicino la Fontana. Fungeva da deposito infatti l’antico macello, non
in regola con le regole previste.
Dopo le elezioni – un vero successo per il sindaco - la statua venne
ricollocata davanti la banca con una bellissima festa e concorso di autorità
d’ogni tipo; venne spostata un po’ più avanti dopo sei mesi per le solite
lamentele. I soldi del lascito erano stati depositati presso una banca
concorrente. Nei primi tempi, i genitori portavano i figli a vedere la statua
del benefattore e vi si facevano fotografare accanto. Era diventato un rito. La
statua, a portata di mano, invogliava a
confidenze impensabili, con l’uomo
rappresentato, quando era in vita: chi gli metteva la mano sopra la spalla, chi
gli faceva una carezza, chi gli aggiustava i capelli. I bambini per eccesso di
familiarità hanno financo danneggiato la sempiterna sigaretta che teneva fra le
dita, per non dire quello che facevano i randagi e quel tal barbone –
poveretto- che stazionava con una bottiglia di vino nei paraggi della
statua.
- E l’ospedale?
La cerimonia della posa della prima pietra, con la pergamena benedetta
e la medaglietta dell’Immacolata, venne annunciata e celebrata quattro o cinque
volte, memorabili rimasero i discorsi del
primo vescovo e dell’onorevole Frangiamore, ma dopo dieci anni dell’ospedale non se parlava
per niente. Lungaggini burocratiche. Impugnazioni dei parenti. Permessi,
contropermessi. I soldi del lascito nessuno li toccava; maturavano gli
interessi, di banca in banca.
La gente continuava ad ammalarsi e a guarire, o a
morire, come prima. Languiva la memoria di don Firdinannu quale preclaro,
generoso benefattore del paese. Le nuove generazioni non sapevano nemmeno chi
fosse. Se ne ricordava qualche anziano, qualche politico antico e il custode
del campo – unico acquisto - dove l’ospedale sarebbe dovuto sorgere.
Per mantenere la promessa elettorale e togliere ogni fastidio alla
gente, l’ennesimo sindaco di turno, ignaro e ignorante delle patrie memorie, di
patria riconoscenza, non appena insediatosi fece rimuovere la statua, che fu
fatta fondere in una fornace del trapanese dalle parti di Mazara, e riunì i
consiglieri in assemblea per decidere cosa si dovesse fare del metallo.
- Un’altra statua, naturalmente, - concluse il sindaco, con la ruota di
un pavone, - e sarà la mia.
-
La mia, - ripeté ciascuno dei consiglieri.
Ben meritato il premio quando la cronaca, cronaca che investe un paese intero e che riguarda il benefattore ufficialmente e generalmente noto per quanto ha potuto e saputo dare al paese tutto, comprese le nuove generazioni che non erano ancora nate quando il benefattore è morto. Si perchè anche i benefattori muoiono, in questo mondo. E allora la cronaca, elencazioni di semplici e comuni avvenimenti di ogni giorno diventa una prosa d'arte, entra nell'universalità e parla a tutti, in tutti i tempi, a tutti i Pasquali,Rose , Pippini che passano davanti al benefattore e a tutti gli altri paesi che si sono "coltivato" e meritato un benefattore.
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