Biggaspano canta. Roberto Sottile ci dice come e perché.
Dimora del Padrino, Lu giru di li vili
(G. Mirasolo, G. Riggio, F. Chiofalo), 2008
Un precedente post, nonostante il minaccioso titolo Marruggiati e pani duri, dedicato al testo rappato da Big Aspano, e proposto con il relativo commento di Roberto Sottile, ha riscontrato un notevole interesse, e continua a riscontrarne, accumulando visulizzazioni su visualizzazioni.
Avverrà lo stesso con Lu giru di li vili?
Marruggiu è l'impugnatura, il manico, solitamente di zappe, forconi e arnesi vari e marruggiati equivale a dolorosi e devastanti colpi di marruggiu, per "lisciare le schiene" ai malcapitati direbbe Manzoni.
Marruggiu e maruggiàti in quanto bastone, colpi di bastone, randello, randellate, evocano anche rustiche aspirazioni di rivalsa o ricorso a estremi rimedi (non solo contro le testardaggini asinine) o sanzioni comminate con spicciole sentenze: pigliari a marruggiàti; dari cuorpi di marruggiu.
Marruggiu, maruggiàti: per difendersi, per attaccare. O, ahimè!, per subire.
Marruggiu e maruggiàti in quanto bastone, colpi di bastone, randello, randellate, evocano anche rustiche aspirazioni di rivalsa o ricorso a estremi rimedi (non solo contro le testardaggini asinine) o sanzioni comminate con spicciole sentenze: pigliari a marruggiàti; dari cuorpi di marruggiu.
Marruggiu, maruggiàti: per difendersi, per attaccare. O, ahimè!, per subire.
Ma Lu giru di li vili neanche scherza!
Se vili sta per l'equivalente italiano "vile", plurale vili, "giru" sta per girone, tornata, turno, accolta dei vili. Brutta cosa. Ceffi di cattiva pasta. Ma anche ghetto di povere vittime. O vuoi vedere che sia alla fine una situazione assonante con altre abiezioni infernali di conio moderno?
Ma il contenuto non è fatto solo di parole, un interrogativo si attira Big Aspano: quale dei suddetti significati riuscirà ad esaltare meglio con il suo rap?
Il professore Roberto Sottile fa una sua analisi, inserita nel volume dedicato al dialetto nella canzone italiana negli ultimi vent'anni e che con Angela Castiglione e Liborio Barbarino, presenterà oggi 20 maggio a Palermo, nella sala di lettura della nuova biblioteca del Dipartimento di Scienze Umanistiche, ex convento di Sant'Antonino, in canora compagnia di tanti cantanti censiti, recensiti e studiati nel suo saggio: della musica, degli autori e dei testi, in riferimento alle diversificate scelte linguistiche, vengono fornite le coordinate storico-culturali entro cui collocarli.
Così scrive:
"La canzone è costruita attorno a tre blocchi testuali, ciascuno dei quali seguito dal ritornello.
Questo consiste nella ripresa di un proverbio-filastrocca della tradizione orale che denuncia come l’immobilismo dipenda dall’indolenza degli uomini che, privi di qualunque slancio verso il cambiamento, giustificano la loro immobilità con la mancanza di tempo.
Nel brano questi uomini indolenti – uomini vili – sono anche assimilati ai maggiorenti locali."
Una suggestiva tesi di fondo viene sostenuta, nel documentatissimo saggio, in favore del dialetto finalmente sdoganato nelle e dalle canzoni di tanti cantanti dalla generosa e straordinaria vitalità.
Così scrive:
"La canzone è costruita attorno a tre blocchi testuali, ciascuno dei quali seguito dal ritornello.
Questo consiste nella ripresa di un proverbio-filastrocca della tradizione orale che denuncia come l’immobilismo dipenda dall’indolenza degli uomini che, privi di qualunque slancio verso il cambiamento, giustificano la loro immobilità con la mancanza di tempo.
Nel brano questi uomini indolenti – uomini vili – sono anche assimilati ai maggiorenti locali."
Una suggestiva tesi di fondo viene sostenuta, nel documentatissimo saggio, in favore del dialetto finalmente sdoganato nelle e dalle canzoni di tanti cantanti dalla generosa e straordinaria vitalità.
LU GIRU DI LI VILI
Testo
Cci voli cchiossà di chi..u chi ddiçiti
cci voli cchiossà di chi..u chi ffaçiti
avissi a pparlari si mi lu pirmittiti
chi ssi un vi muviti arristati runni siti.
Avissi a mmanciari ma ccà cc’è ssiti
e ffami
avemu suli e mmari e nno la forza ri
canciari
cu ll’occhi spirdati pi pputiri taliari
ma cu la vucca attuppata accussì un
putemu parlari.
(Doctor Jhò)
Lùnniri e mmàrtiri e nun ti pàrtiri
mèrcuri e gghiòviri e nun ti mòviri
vènniri pi gghiri e ssàbbat’â tturnari
ma sta carretta ccà cu si l’av’a ttirari.
Cci vonnu santi appizzati a lu muru
santi pisanti ri nnùmmaru unu
e ssi di ncelu nun scìnninu santi
viri chi bboli lu vili chi cchianci.
Sutta la rrama a ccògghiri mori
lu vili aspetta chi m-mucca cci cari
sbràzzati sura e nnenti l’ammazza
lu vil’un-zura s’è vvili di rrazza.
Assicùtalû travàgghiu unn’â pparlari
di ncapu lu çelu mi vagna
lu ventu m’av’âsciugari assà.
Intipatu cuntentu si ccari malatu
cusutu lu vili cunnuçi
fa prima si mmèttilu ncruçi sa.
ddocu lu lassi e ddocu lu pigghi
mancu lu riàvulu si l’arricogghi
lu vili è mma...u ddùppiu curnutu
puru u signuri ora u misi di latu.
Lùnniri e mmàrtiri e nun ti pàrtiri…
(Kool Magic Flow)
Pi vvinti carti cu si parti è un fo..i
nun-zi canta missa s’un ci sunnu sordi
càrica chiappi scàrica nervi
càrica còllari signuri e sservi.
Rìçinu c’a nnàvu..a simana poi
s’asiggi
senza liggi e ppariggi un tinci
stu fitenti di n’aricchia un-zenti
accussì ti la penzi? “um-mi riri nìenti!”
Allura comu semu cuminati pringipa’?
Ammutta stu carrettu agghiri ..à
compa’
ti vegnu a ttuppulìu sugnu chi..u
sutta cugnu
chi..u ca nun ci cala lu cutugnu
sugnu.
Cani ca nun canusci ca | cani di
mànnara
gente barbara quanto sperpera
servu e sservu sutta e ppa..uni
cu la fami agghiorna sutta stu
bbarcuni.
Cu la testa parti paisà chi cc’è?
cca cannìgghia un ci nn’è cu è gghiè
pu..a rana a sta ggente scarsa
fai da comparsa in terra arsa.
Lùnniri e mmàrtiri e nun ti pàrtiri…
Traduzione
Ci vuole di più di quello che dite
ci vuole di più di quello che fate
dovrei parlare se me lo permettete
che se non vi muovete restate dove siete
dovrei mangiare ma qua c’è sete e
fame
abbiamo sole e mare e non la forza
di cambiare
con gli occhi spiritati per potere
guardare
ma con la bocca imbavagliata così
non possiamo parlare.
Lunedì e martedì e non partire
mercoledì e giovedì e non ti muovere
venerdì per andare e sabato devi tonare
ma questa carretta qua chi la deve
tirare?
Ci vogliono santi attaccati al muro
santi di peso, da numero uno
e se dal cielo non scendono i santi
guarda che vuole il vile che piange.
Sotto il ramo a raccogliere muore
il vile aspetta che in bocca gli cade
sbracciati, suda e niente l’ammazza
il vile non suda se è vile di razza.
Inseguilo il lavoro non ne parlare
dall’alto il cielo mi bagna
e il vento mi asciugherà abbastanza.
Pieno zeppo, contento se si ammala
col fisico asciutto il vile tergiversa
fai prima a metterlo in croce.
Qui lo lasci e qui lo pigli
neanche il diavolo se lo prende
il vile è maestro doppio cornuto
anche il Signore lo ha emarginato.
Lunedì e martedì e non partire…
Per venti euro chi si muove è un folle
ogni cosa ha il suo prezzo
carica blocchi di tufo, scarica nervi
carica dispiaceri, signori e servi.
Dicono che tra una settimana si
riscuote la paga
senza legge due colori uguali non si
accoppiano
questo fetente da un orecchio non sente
così te la pensi? “Lascia perdere!”
Allora, qual è la situazione, signor
padrone?
Spingi questo carretto in là, fratello
vengo a bussare alla tua porta sono
quello sotto pressione
quello che non riesce a digerire
questo amaro boccone sono.
Cane sciolto
servo e servo, servo e padrone
con la fame fa giorno sotto questo
balcone.
Si impazzisce, paesa’, che c’è?
qua non c’è trippa per gatti per nessuno
lesina denaro a questa gente povera
Lunedì e martedì e non partire…
La canzone è costruita attorno a tre blocchi testuali, ciascuno dei quali seguito dal ritornello. Questo
consiste nella ripresa di un proverbio-filastrocca della tradizione orale che denuncia come l’immobilismo dipenda dall’indolenza degli uomini che, privi di qualunque slancio verso il cambiamento, giustificano la loro immobilità con la mancanza di tempo.
Nel brano questi uomini indolenti – uomini vili – sono anche assimilati ai maggiorenti locali. Così l’immobilismo, al quale fa riferimento la filastrocca popolare, diventa anche quello sociale e politico del quale sono responsabili i rappresentanti delle istituzioni.
Nel brano questi uomini indolenti – uomini vili – sono anche assimilati ai maggiorenti locali. Così l’immobilismo, al quale fa riferimento la filastrocca popolare, diventa anche quello sociale e politico del quale sono responsabili i rappresentanti delle istituzioni.
I tre blocchi della canzone corrispondono ad altrettante “voci”. La prima e la terza interpretano un
personaggio, rispettivamente (gli abitanti del)la Sicilia e l’operaio nella costante lotta contro il “padrone” per la rivendicazione e l’affermazione dei suoi diritti; la seconda voce descrive, invece, gli atteggiamenti e le caratteristiche dell’uomo vile.
Il primo blocco della canzone contiene l’invito (rivolto implicitamente anche ai politici) a fare e a dare di più per la propria terra. Di essa vengono evidenziate le bellezze e le potenzialità che, se non valorizzate, determinano il perpetuarsi del suo stato di abbandono. Questo determina la mancanza di progresso, la povertà e la miseria per la sua gente che, pur accorgendosi delle storture sociali, non può denunciarle perché tenuta sotto scacco e sotto ricatto dal potere locale:
cu ll’occhi spirdati pi pputiri taliari /
ma cu la vucca attuppata accussì un putemu parlari.
Nel secondo blocco l’uomo vile è anzitutto presentato come una persona che non brilla di luce propria:
egli ha sempre bisogno di qualcuno più potente che lo protegga e gli dia la sua benedizione. Le sue
caratteristiche di persona impassibile vengono sottolineate anche attraverso la riformulazione di un modo di dire tradizionale, di ncapu lu çelu mi vagna / lu ventu m’av’âsciugari assà (cfr. § 4.4.4.).
L’uomo vile è talmente immobile e pigro da lasciarsi morire d’inedia, sutta la rrama a ccògghiri mori / lu vili aspetta chi m-mucca cci cari, e, per la sua mediocrità, è inviso non solo agli uomini, ma anche a Dio e perfino al diavolo. E a nulla serve indignarsi e provare a scuoterlo:
L’uomo vile è talmente inetto che preferisce ammalarsi pur di non andare al lavoro, cuntentu si ccari
L’uomo vile è talmente immobile e pigro da lasciarsi morire d’inedia, sutta la rrama a ccògghiri mori / lu vili aspetta chi m-mucca cci cari, e, per la sua mediocrità, è inviso non solo agli uomini, ma anche a Dio e perfino al diavolo. E a nulla serve indignarsi e provare a scuoterlo:
sbràzzati sura e nnenti l’ammazza
lu vili un-zura s’è vvili di rrazza.
malatu e, inoltre, è abilissimo a prendere tempo e a tergiversare aspettando che siano gli altri a fare per lui i compiti assegnatigli: cusutu lu vili cunnuçi.
Nel terzo blocco della canzone, l’operaio è presentato in contrapposizione al suo datore di lavoro,
contrapposizione che nel testo è anche esplicitata mediante l’uso di alcune antitesi (v. sotto). Il protagonista è sfruttato, sottopagato, pagato in ritardo e dopo insistite e snervanti richieste al “padrone” che lesina costantemente il denaro: pu..a rana a sta gente scarsa.
Sul piano formale, nella strofa iniziale ogni verso corrisponde per lo più a due frasi con coordinazione
copulativa e avversativa, mentre le due frasi conclusive presentano una struttura ipotattica abbastanza
semplice così da proporre una condizione linguistico-testuale che si pone, sostanzialmente, come mimesi del parlato in coerenza con una delle caratteristiche tipiche della testualità hip hop.
La filastrocca del ritornello (prevalentemente costituita da parole proparossitone) presenta in sé alcune
caratteristiche che ben si prestano a soddisfare alcune tra le più importanti peculiarità della scrittura rap,
come la rima ricca interna (màrtiri : pàrtiri; gghiòviri : mòviri) e la consonanza (gghiri : turnari).
Come nel ritornello, anche nella seconda e nella terza strofa si trovano molti esempi dei tratti formali del
testo rap: rima ricca interna (santi : pisanti, carti : parti), rima interna per ripetizione (sura : un-zura),
consonanza (mori : cari, viri : vili), assonanza – in punta di verso (santi : chianci).
Nella terza strofa la contrapposizione tra l’operaio e il datore di lavoro è amplificata da diversi elementi
antitetici (càrica chiappi scàrica nervi; signuri e sservi), alcuni dei quali tratti dal lessico e dalla fraseologia tradizionali, come la forma sutta e ppa..uni che fa riferimento ai due principali ruoli del gioco del tocco (cfr. § 4.4.4. per gli ulteriori numerosi elementi fraseologici tradizionali presenti nel testo). Tra le altre figure retoriche, si noti, sempre nella terza strofa, il chiasmo (sugnu chi..u sutta cugnu / chi..u ca nun ci cala lu cutugnu sugnu) e la metafora (cu la testa parti ‘impazzisci’, cca cannìgghia un ci nn’è ‘non c’è trippa per gatti’).
Da notare sono, infine, la frase «um-mi riri nìenti», “recuperata” dalla voce di Tony Sperandeo, e i due
versi in lingua «gente barbara quanto sperpera», «fai da comparsa in terra arsa», il primo con consonanza tra due parole proparossitone, il secondo con rima ricca interna.
Quanto al lessico, all’uso di parole dialettali “ordinarie” fanno da contrappunto qualche forma gergale,
vinti carti ‘venti Euro’, e alcuni arcaismi come càri[ri] malatu ‘ammalarsi’, asìggi[ri] ‘riscuotere la paga’, canìgghia ‘crusca’ e, soprattutto, pu..a[ri] ‘truffare, fregare qualcuno in genere non pagando i debiti’, accezione, questa, che il VS registra solo per l’area siciliana occidentale.
La canzone Marruggiati e pani duru
http://archivioepensamenti.blogspot.it/2013/11/rap-in-sicilia-o-in-siciliano.html
Libro e intervista del prof. Roberto Sottile
http://archivioepensamenti.blogspot.it/2013/11/il-dialetto-e-la-top-ten-libro-e.html
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