Appresi del caso di Sciacca la prima volta,
studiando le origini del mio paese. Parlando di Giovanni III del Carretto, figlio di Ercole, così scrive Nicolò Tinebra Martorana nel suo libro Racalmuto.
Memorie e tradizioni:
“Questo barone visse assai lungo tempo a Racalmuto. E’
celebre nella storia di Sicilia, per avere preso parte non poca nel famoso caso
occorso fra suo zio Paolo del Carretto ed i Barresi di Castronovo, che, dopo
quello di Sciacca, è uno dei più sanguinosi.”
A
monte del “caso” ci stanno un’offesa, uno schiaffo e un agguato presso una
chiesa.
Se
si aggiunge la circostanza che Pietro Perollo, uno dei due protagonisti del
cosiddetto primo Caso di Sciacca, ha sposato Francesca del Carretto, la
familiarità con le vicende saccensi per un racalmutese è intrinseca e
scontata.
E qui si potrebbero fare
naturalmente parecchie digressioni.
Mi limito a segnalare, del Savasta, il Trattato secondo in cui si accenna la
cronologia di quelle nobili famiglie, che si ritrovarono in Sciacca nel tempo
di questo caso, dove ben cinque pagine della trascrizione
dattiloscritta sono dedicate alla Famiglia Carretti o del Carretto.
Ma
trascendendo il localistico aggancio storico, una riflessione ho maturato e che
voglio qui riproporre.
Il
caso di Sciacca non esisterebbe se la letteratura non se ne fosse occupata, se
i cantastorie non l’avessero cantato e divulgato fino a diventare anonima
locuzione, un modo di dire (l’annittaru
a Pirollu!), se non fosse diventato popolare cadenza, filosofico rammarico:
Casu di
Sciacca, spina di stu cori
di quantu
larmi m’ha fattu ettari!
Iddi si
lazzarianu comu cani
di Sciacca
‘un ni rimasi ca lu nomu.
Anche
Internet contribuisce a rendere noto un fatto che tanti probabilmente
ignorerebbero del tutto.
A riprova della suddetta affermazione, poniamo
in controprova una domanda: al di fuori di una ristretta cerchia di studiosi, chi
sa della “spietata (…) discordia fra i
Siscari e i Moleti in Messina, fra i Guerrera e i Paternò a Catania, fra i
Sanclementi e i Fardella a Trapani, fra i Naselli e i Montaperti ad Agrigento,
fra i Bonanno e i Gravina a Caltagirone”?
(A. Scaturro, Il Caso di Sciacca, Scuola
Tip. “Boccone del Povero”, Palermo 1951).
Eppure,
come sostiene sempre lo Scaturro, “molte città dell’Isola furono teatro di
sanguinose lotte che spesso, sotto l’apparenza politica nascondevano
l’animosità di famiglie potenti”.
Anche
per Raso
Li guerri
fratricidi nun si cuntaru;
Immaginate se invece queste storie, questi
casi fossero stati assunti e “de-formati” in qualche racconto di Borges?
Per
allargare lo sguardo, chi saprebbe la storia del Carro di Nimes se non fosse stata divulgata e scritta nel 1200
un’apposita chanson appartenente al
“Cycle” de Guillaume d’Orange e riguardante fatti di quattro secoli prima?
E
il caso di Sciacca?
Il corpus
dei fatti c’era già, in latino e in volgare, c’erano i documenti. Basta
consultare il relativamente recente libro di Pio Lo Bue del 1993.
Raso
lo sa:
Scaturru,
Ciacciu a autri ancora,
ogni
sforzu a tia lu dedicaru;
genti di
saggizza e di cultura,
chi li
misteri toi tutti studiaru.
Pertanto
il suo intento non è quello di gareggiare con gli storici o di contrapporre
documenti a documenti, ma molto più semplicemente di riscrivere i fatti in
siciliano.
Non
penso che la sua opera porti con sé novità di documenti inediti o originali, anche
se condotta, come ha scritto mons. Dimino, “alla luce dei documenti e delle
tradizioni popolari”; essa ricalca quanto assodato dalla storia, meglio: dagli
storici, dalla tradizione.
Eppure,
una novità quest’opera la porta: se stessa.
L’autore del resto declina ogni
responsabilità ermeneutica e dichiara:
cu
avia raggiuni lu dirà la storia.
Il
poeta, sebbene definisca storiografico
il proprio Poemetto, non si deve giustificare, anzi, può permettersi delle
libertà che lo storico non può.
Se, pertanto, non è la fondatezza documentale,
qual è allora la specificità del libro di Raso, visto che i fatti del caso di
Sciacca non sono invenzione personale e appartengono a tutti?
Il
caso di Sciacca ricalca universali strutture e movenze dei fatti epici.
Come
nell’Iliade, ad esempio, troviamo che in
principio la causa di tutto è una donna. Salvo poi scoprire che dietro
evidenti, semplici ragioni, ci stanno altre e più complesse ragioni; dietro i
singoli personaggi ci stanno popoli o fazioni di un popolo diviso e
contrapposto.
Ma l’aspetto più importante è che, al di là
delle divisioni rappresentate, nella diversità dei ruoli e della collocazione,
tutti si riconoscono nel racconto epico: tutti gli attori coinvolti
acquisiscono e rafforzano la loro identità: chi ascolta, chi legge. Chi scrive.
Ieri, sabato 18 gennaio 2014, sono stato a visitare Palazzo Mirto a Palermo. Nella fornitissima libreria c'era anche Il famoso caso di Sciacca del Savasta.
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