Quando l'amico Marco Scalabrino mi ha invitato a partecipare alla manifestazione "L'arte incontra lo sport" mi è venuto in mente, chissà perché, il favoleggiare di giocatori di cui in paese, ancor prima delle corrusche squadre dette degli "Indiani" e dei "Pizzara", si narravano mirabilia, ma che io conoscevo e incontravo sotto quotidiane spoglie di operai, commercianti, artigiani o di... emigrati.
E sempre ho fatto fatica ad accostare le due facce di una stessa personalità come le due metà di un'unica moneta. Non c'era simmetria, non combaciavano. Epiche gesta e saracinesche di negozi da alzare a mane e abbassare a sera, virtuosismi calcistici e sale da estrarre in miniera.
Ho sempre riflettuto su queste "incongruenze", sempre riluttante a riconoscere che la dura legge della vita potesse infrangere i sogni più ambiziosi e le previsioni più rosee.
Di questo ho scritto nella poesia che l'occasione del prossimo reading trapanese mi ha suggerito.
Parziale anticipazione della poesia
Maluviersu si chiamava, lu
palluni
ci abballava notti e juornu
nni lu sangu.
Lu circavanu pi farici un
cuntrattu
e ijttari l’antri squatri nni
lu fangu.
Un ancilu pariva ca vulava,
jucava cu lu suli e cu la
luna...
***
Maloverso si chiamava, il pallone
gli danzava notte e giorno nel suo sangue.
Lo cercavano per fargli un contratto
e gettare altre squadre nel fango.
Un angelo sembrava che volava,
giocava con il sole e con la luna...
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