sabato 16 gennaio 2016

LO CHAMPAGNE DI CLAUDE AMBROISE






Quando si "stappano" certi ricordi vengono su le bollicine

Subito dopo la morte di Sciascia venne a Racalmuto Claude Ambroise per commemorare l'autore di Candido alla Fondazione omonima. Al termine della relazione, mi complimentai e lo invitai a pranzo. Lui accettò congedandosi dagli organizzatori del convegno che forse tanto bene non presero quell’invito imprevisto.  Lo portai al Raffo, da mio zio Matteo. Venne anche Anne Cristhel Reknagel. 

Il verde e le acque del Raffo, a due passi dal Saraceno, si sa, sono incantevoli. 
L’ambiente in cui pranzammo era rustico. 
Mia zia tirò fuori qualche specialità. 
Claude era felice come un bambino in quella dimensione poco, anzi, per niente formale,  ammirava i frutti e la verdura appena raccolti, li odorava, quasi li palpava, addirittura si stava accingendo a prendere con le mani un ficodindia e forse a rigirarselo tra le mani per ammirarne la tavolozza dei colori ma lo fermammo in tempo intervenendo con coltello e forchetta. 
Il pranzo fu semplice, gustoso e “familiare”. 



Eppure, le premesse non avevano deposto bene. 
Alcuni mesi prima del convegno racalmutese, infatti, ero andato ad ascoltarlo ad Acireale, sempre per una commemorazione di Sciascia a pochi mesi dalla sua scomparsa. 
Al termine della conferenza il relatore invitò il pubblico ad intervenire. Io alzai la mano per chiedere la parola. 

E' noto che nei gialli di Sciascia ci sono morti ammazzati ed è naturale che sulla scena del delitto sopraggiungano magistrati e forze dell’ordine, ora siccome Ambroise aveva fatto riferimento anche a questo, io semplicemente e, a pensarci bene, forse semplicisticamente, dissi: - Con tutti questi morti ammazzati, poliziotti e carabinieri mi sono sentito in questura o in caserma.


Esternato il mio pensiero critico, mi sedetti, subito l’amico che era accanto a me e con il quale avevo fatto tanti chilometri per andare ad ascoltare il professore di Grenoble, mi tirò una forte gomitata sibilandomi nell’orecchio “con quello che hai detto hai chiuso con lui”, ma, accostando di nuovo le labbra all’orecchio, integrò  “o ti sei fatto un amico”. Ebbi un brivido di pentimento, ma ero fiero e soddisfatto della mia franchezza.



Al termine della manifestazione, in mezzo alla naturale calca, il professore Ambroise alzava gli occhi come se cercasse qualcuno tra la folla, ad un tratto alzò il braccio e con la mano fece cenno di richiamo a qualcuno, io ero terrorizzato perché guardava nella mia direzione, ma lui tolse di mezzo ogni incertezza, - venga, venga, - disse.  
Mi feci coraggio e andai. 
Diventammo amici. 
E mi diede appuntamento alla Fondazione di Racalmuto per il prossimo incontro. Incontro sfociato nell’invito a pranzo.
Dopo il pranzo, dunque, lo riaccompagnai in Fondazione per il prosieguo dei lavori.


A distanza di una settimana circa, mio zio mi fa sapere che era arrivato un pacchetto da Grenoble da parte del prof. Ambroise e che avrebbe voluto aprirlo in mia presenza. Io pensai subito si trattasse di libri. Invece, quando lo aprimmo, ci trovammo sotto gli occhi tanti tappi di champagne, erano di cioccolata, ripieni di champagne vero. Abbiamo brindato.







testo e foto ©piero carbone

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