La toponomastica è il biglietto da visita di un territorio, di una regione, di una città. Talvolta ne designa l'identità sotto molteplici aspetti.
Proprio per questo abbisognerebbe di maggior cura e di maggior precisione.
Invece, e non solo a Nicosia, ci si imbatte in sviste ed errori o a risoluzioni che probabilmente si potrebbero evitare. La considerazione è generale, si capisce.
Quanti nomi arbitrariamente italianizzati, ad esempio per designare le nostre contrade!
Basterebbe ricorrere ad un'oculata ed opportuna, una volta tanto, consulenza.
O dare un'occhiata, gratuita, ai social network, per rimediare a immotivati oblii e a forzati stravolgimenti linguistici.
La toponomastica non è un terreno da scorazzare a cuor leggero.
Nel caso specifico, le osservazioni del prof. Salvatore Trovato sul proprio profilo facebook fanno risaltare un lampante esempio: anche se tutti i fiumi sfociano a mare, non tutte le designazioni toponomastiche seguono il corso naturale.
I vari commenti ne colgono il senso civico e rafforzano l'auspicio di correre ai ripari e di correggere quanto ci sarebbe da integrare e correggere.
Non solo a Nicosia, si diceva.
Proprio per questo vale la pena far rimbalzare il suo metodo scientifico, oltre facebook, anche su un blog.
Col suo permesso, pubblico.
(P. C.)
VIOLAZIONI TOPONOMASTICHE
di
Salvatore C. Trovato
La scalcagnata provinciale tra Agira e Nicosia (in Sicilia) riceve ogni tanto qualche rattoppo. Mai un rifacimento completo. Ma certi rattoppi – non si direbbe! – sono così devastanti sul piano storico e culturale da eliminare d’un sol colpo quello che storia e tradizione, in barba ad ogni barbarie, hanno conservato fino ai nostri giorni.
Così è del “Fiume Cimarosa” che ora, dopo il rifacimento del ponte che lo attraversa, è stato impropriamente ribattezzato col suo iperonimo “Fiume Salso” (del quale il Cimarosa è affluente), forse per evitare un immotivato riferimento al compositore campano Domenico Cimarosa.
Nella realtà quel “Cimarosa” rappresenta il tentativo, sicuramente dotto, di far rivivere l’antico idronimo preellenico “Kyamósorōs”, attestato da Polibio (I, 9,4), e che, in epoca araba è diventato wādī Giarāmī ‘fiume di Cerami’ (cittadina dalle cui vallate l’affluente proviene).
Sicuramente un eccesso di zelo – visto che in passato il nome era solo della tradizione orale – ha poi spinto a indicare il nome delle forre del torrente denominato in dialetto “Tin’ô dragö” e cioè “Tina del drago” con l’it. “Tino Drago”.
Quest’ultima forma reinterpreta il toponimo popolare come se fosse “(Aga)tino Drago”. Reinterpretazione sicuramente simpatica e divertente, se non cancellasse d’un colpo un’antica leggendaria tradizione. Quella per la quale nella “Tina del Drago” verrebbero scaraventati quanti osano sfidare le forze diaboliche che custodirebbero il tesoro nascosto nella Grotta del Nigrò sul castello della vicina Nicosia.
Quest’ultima forma reinterpreta il toponimo popolare come se fosse “(Aga)tino Drago”. Reinterpretazione sicuramente simpatica e divertente, se non cancellasse d’un colpo un’antica leggendaria tradizione. Quella per la quale nella “Tina del Drago” verrebbero scaraventati quanti osano sfidare le forze diaboliche che custodirebbero il tesoro nascosto nella Grotta del Nigrò sul castello della vicina Nicosia.
Questi sono i dati storici e culturali legati ai due toponimi inopportunamente violati. Ripristinarli sarebbe un atto di responsabile intelligenza.
Quest’atto, potremo sperarlo?
Quest’atto, potremo sperarlo?
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